Forse siamo ancora in tempo per cercare di trarre qualche insegnamento da questi mesi difficili. Perché, certamente, bisogna che non siano passati invano; e che qualcosa rimanga, e che possa modificare il qualche misura quello che verrà dopo. Sarebbe terribile se alla fine ci dicessimo: ok ragazzi, l’emergenza è finita, a che pagina eravamo rimasti? Io sostengo che questi mesi sono l’occasione per una specie di «esperimento filosofico» che mai avremmo tentato da soli e che potrebbe aiutarci a capire di più e meglio in che cosa consista il processo di apprendimento/insegnamento (certo: io parto dal presupposto che ci sia qualcosa da capire e da capire sempre meglio. Chi pensa di aver già capito tutto, in effetti, potrebbe anche fermarsi qui, con la mia benedizione). In sostanza si tratta di questo: adesso che abbiamo provato a imparare e a insegnare a distanza, possiamo confrontare questa esperienza con quella di prima, ossia l’imparare e l’insegnare in presenza. Cosa è rimasto uguale? Cosa è cambiato? Cosa manca nell’uno? Cosa manca nell’altro? Come quando si confrontano due grafici, o due fotografie scattate a distanza nel tempo, dovrebbero emergere somiglianze e difformità, permanenze o assenze (ovvero nuove presenze). Quelli che dicono «lezione in presenza,…
“è possibile mai che nessun giovane abbia potuto dire la sua in tutti questi mesi di vertici, verifiche, seminari a Villa Madama?” scrive Veltroni nel suo articolo dedicato ai giovani e pubblicato sul Corriere il 7 gennaio 2021. Giusto, ma vorrei anche dire: “è possibile mai che nessun insegnante abbia potuto dire la sua in tutti questi mesi di vertici, verifiche, seminari a Villa Madama?” Tutti parlano degli insegnanti, ma chi li fa parlare? Qualcuno è riuscito a rintracciarne qualcuno negli infiniti talk show che affollano le nostre televisioni? Qualche insegnante vero, intendo, non qualche politico o qualche sindacalista travestito da insegnante. Sarebbe facile notare che un insegnante vero insegna, non va a fare sceneggiate in tv. Vero. Come sarebbe facile notare che la stessa cosa si può dire per medici e infermieri (anche se in questo caso in realtà una sottocategoria di medici e scienziati, cioè i virologi e gli epidemiologi, sono stati intervistati fin troppo). Ma gli insegnanti proprio no. Non se li è filati nessuno.
Quando un certo tema viene presentato come «evidente», così evidente da non meritare nemmeno una spiegazione, allora occorre drizzare le orecchie e prestare attenzione. Perlomeno, dovrebbero farlo quelli che si occupano di filosofia, perché quando si danno troppe cose per scontate l’odore dell’ideologia sale a volute e riempie le stanze (reali o virtuali che siano). In questi giorni mi pare sia il caso della didattica, ossia del dibattito sul modo «giusto» di insegnare. Tutti sono a parlare bene della «didattica in presenza», contrapposta alla «didattica a distanza», la famosa (o famigerata) Didattica a Distanza che in un modo o nell’altro ha tenuto in piedi la scuola italiana durante l’emergenza Covid-19. Tutti dichiarano nostalgia, come la collega Zenone su una pagina di Facebook il 25 maggio 2020: Non voglio essere una Brava Maestra “a distanza”, voglio tornare ad essere una normale Maestra in presenza. Sì, in presenza, come quando si fa l’appello al mattino e li guardo, assonnati e con ancora i loro sogni attorcigliati tra i capelli. Il loro vociare stridulo che ti riporta alla realtà, ti fa sentire la nostalgia del silenzio, ti fa contare i giorni che mancano al prossimo Ponte. Il loro continuo movimento…