Sono sempre stupito dalla capacità di Dante di dire le cose. Forse perché era il primo; forse perché se la tirava; forse perché la Commedia era fatta apposta per un parlare “alto”. Comunque stiano le cose stamattina sono inciampato, letteralmente (avevo aperto a caso una copia della Commedia) su questo verso Si che dal fatto il dir tuo non sia diverso (Inf. XXXII 11) C’è tutta una teoria gnoseologica condensata in questo verso, ma anche un’etica. Bellissimo. [immagine creata con MidJourney]
Invictus Dalla notte che mi avvolge, Nera come la cavità tra i poli, Ringrazio quali che siano gli déi Per la mia indomabile anima. Nelle grinfie feroci degli eventi Non mi sono arreso né ho gridato. Sotto le randellate della sorte Il mio capo è sanguinante, ma indomito. Oltre questo luogo di collera e lacrime S’intravede solo l’Orrore dell’ombra, Ma ancora la minaccia degli anni Mi trova e mi troverà, senza paura. Non importa quanto angusto è il passaggio, Quanto carica di punizioni la lista, Io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima. William Ernst Henley (traduzione di Nicola Guerra) Henley era un poesta e giornalista inglese nato a Gloucester nel 1848. A 12 anni di ammalò di tubercolosi, che degenerò nel morbo di Pott obbligando i medici ad amputarli una gampa per salvargli la vita. Nonostante queste mantenne una eccezionale vitalità: il figlio del grande scrittore Robert Louis Stevenson lo descrisse “un grosso, sanguigno individuo dalle spalle larghe con una gran barba rossa e una stampella; gioviale, sorprendentemente arguto, e con una risata che scrosciava come musica; aveva una vitalità e una passione inimmaginabili; era assolutamente travolgente”. Sembra che a lui Stevenson…
Naian Wang