Riflessioni sulla città / 1
Filosofia / 28 Marzo 2021

La città è, nella sua essenza, un acceleratore di esperienze. Le case, i palazzi, le torri naturalmente servono a definire una città, ma ne sono come la “materia” aristotelica. Accanto, sopra, dentro gli edifici materiali, quell’insieme che i latini indicavano con la parola urbs, esiste la comunità degli umani (la civitas dei romani) che quegli edifici abita e anima, perchè li ha creati e anzi quasi secreti da sè come il luogo dove esistere. La città è un luogo dove gli uomini convivono a stretto “contatto”, ossia costruendo relazioni che si srotolano nello stesso modo in cui si dispiegano i viali, le strade, i vicoli. Anzi, direi che il complesso topografico stradale di una città è una stupenda metafora delle relazioni umane che uniscono le persone che ci abitano. Un viale periferico ad alta percorrenza a Milano o Roma esprime, con la velocità delle automobili che lo percorrono e la impossibilità di attraversarlo se non tramite i sottopassi o i ponti predisposti, esprime e anzi incarna un modo di vivere completamente diverso da quello espresso e incarnato da un carrugio ligure o una stradina di un villaggio della Valle d’Aosta.  Tutto ciò viene percepito istintivamente, senza fare un corso di…

Una questinoe etica
Riflessioni , Scuola / 3 Marzo 2021

C’è una questione etica che mi tormenta da tempo ma che la pandemia ha aggravato notevolmente. La scuola superiore italiana, nella quale insegno, ha da tempo abdicato a ogni pretesa di selezione. Anche le prime dichiarazioni del governo Draghi sugli ITS lo confermano: invece di mettere mano a una valorizzazione degli ITIS (come diceva Prodi) si preferisce ripartire da zero con un percorso parallelo alle università (ed esplicitamente gradito a Confindustria), contribuendo allo «slittamento in avanti» del momento in cui giovani possono prendere posto nella società inserendosi nel processo produttivo. Tuttavia, anche se noi insegnanti delle superiori non scegliamo più «i migliori» (qualunque cosa voglia dire), resta il fatto che i nostri ragazzi, prima o poi, poi verranno scelti: «uno verrà preso, l’altro lasciato» (Lc 17, 34). Ci sarà qualcuno che dirà: tu si, vieni a lavorare; tu no, non mi interessi. Il mio disagio etico è questo: chi glielo dice, ai ragazzi? Noi? La famiglia? I fratelli/amici più grandi? Lo devono scoprire da soli? (to be continued, of course…)