In margine alla storia di Giulia e Filippo

In tutto il fiume senza fine di articoli e commenti sull’omicidio di Giulia Cecchettin c’è un dettaglio che mi ha colpito particolarmente.

Sulla cancellata della casa della ragazza un bambino di 11 anni, Emanuele, ha lasciato un biglietto:

Io prometto di non essere mai come Filippo

Il biglietto appeso sulla cancellata della casa di Giulia (Da ANSA, via Corriere CE)

Lasciamo perdere quello che non sapremo mai: se è stato davvero un bambino a scrivere da solo quelle righe, se qualcuno gliele ha suggerite o che altro. Concentriamoci sull’essenziale: una promessa, un impegno morale a rinnegare il male.

Non si può fare di più. Cosa sarà di noi, di ciascuno di noi, nei prossimi anni? Quali prove, quali tentazioni ci aspettano? Non possiamo prevederlo, e non possiamo prevedere come reagiremo. Il profluvio di interventi pubblici cui stiamo assistendo in questi giorni ha una premessa non detta: se ci impegniamo, se promuoviamo leggi nuove in Parlamento, se facciamo corsi di formazione nelle scuole (ah, che risata – amara – su questo punto!) allora sicuramente i femminicidi caleranno.

Invece no.

Si, certo, tutto serve, naturalmente. Ma solo nel senso che creano occasoni o forniscono punti di appiglio, nient’altro. L’idea quasi meccanicistica delle relazioni e delle reazioni tra gli umani secondo cui basti fornire un imput adeguato per avere l’output voluto è semplicemente falsa, perché tra imput e output si colloca il libero arbitrio. Nessuno di noi sa come reagirà quando sarà chiamato alla prova (qualunque essa sia, beninteso), e questo dovrebbe suscitare dubbi e angoscia, non rabbia e spavalda certezza.

Tutto quello che si può fare è quello che ha fatto un bambino di undici anni (posto che l’abbia fatto lui, naturalmente: ma la riflessione non cambia di senso): guardarsi dentro e davanti alla constatazione che anche io potrei fare cose terribili, promettere di non farle. Questo impegno con se stessi, impalpabile ma inflessibile, è tutto quello che abbiamo. Non ha un vero fondamento ontologico (e tanto meno sociale o legale). Si basa solo su se stesso e sulla volontà di rispettarlo. Chi ha un po’ di primavere alle spalle sa che non ci sono automatismi: la fedeltà è la libertà in azione ogni giorno, e gli impegni vanno rinnovati quotidianamente. Nulla è garantito, mai.

Sarebbe ridicolo, perciò, raccogliere i miei studenti maschi e far loro ripetere una frase del genere per combattere la violenza contro le loro compagne donne. Proprio per quello che ho appena detto, un impegno simile può nascere solo dall’intimo della coscienza, può configurarsi solo come un dispiegarsi della volontà del singolo, non può certo essere imposto dall’esterno.

Dall’esterno può solo arrivare l’esempio degli adulti, giocato giorno per giorno nella vita quotidiana e non fanfaronato nei talk shaw, che tale fedeltà alle promesse fatte a undici anni è possibile. In effetti cominciano a essere in tanti quelli che si accorgono della responsabilità degli adulti, ossia dei genitori ma anche di tutti coloro che in qualche misura, a seconda dei ruoli che giocano, rappresentano dei possibili modelli per i ragazzi. Sono queste persone le prime che dovrebbero lasciarsi scuotere o almeno interrogare dal biglietto di quel ragazzino (sempre che sia stato lui, naturalmente…)

Lascia un commento