La gig economy e le mance: la lotta di classe 2.0

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Il 25 aprile 2019 un collettivo di rider di Deliverance Milano ha pubblicato un lungo post che una volta si sarebbe chiamo “di lotta di classe”: i media si sono occupati di loro soprattutto per la minaccia rivolta ai vip di vendicarsi per il loro rifiuto di lasciare mance ai lavoratori che portano loro il cibo a domicilio, ma in realtà nel post si chiedevano anche una serie di rivendicazioni “sindacali”: «non possiamo più prescindere dall’avere diritti sindacali, #reddito incondizionato, salario minimo e una previdenza sociale adeguata». E ancora: «Pretendiamo che le nostre mance non vengano tassate, ad oggi viene trattenuta l’Iva quando il pagamento avviene (come la maggior parte delle volte) per mezzo del supporto di intermediazione digitale, quando dichiarate il contrario». 

Subito Deliveroo si è dissociata, precisando che il post è stato pubblicato sulla pagina Facebook Deliverance milano; sùbita si è levata la rivolta dei VIP, che giustamente lamentano la violazione dei diritti di privacy: e nessun media si è sottratto all’obbligo di dare spazio a queste risentite proteste. 

Ma il problema resta. E ci tocca tutti, perché tutti riceviamo qualcosa a casa, se non il cibo almeno qualche pacchetto Amazon. 

La domanda che pongo a tutti: voi date una mancia al fattorino che vi consegna il pacchetto a casa oppure no?

Orami conosciamo bene, attraverso le numerose interviste che sono state pubblicate, le condizioni di lavoro dei rider e in generale dei lavoratori della grande distribuzione 2.0 (ossia, appunto, coloro che consegnano i pacchi Amazon): se tutti noi lasciassimo uno o due euro di mancia a ogni consegna, questo avrebbe sicuramente un impatto non marginale sull’income complessivo del lavoratore. In sostanza con un gesto poco impegnativo da parte nostra e non obbligatorio, contribuiremmo a correggere almeno in parte una delle storture più insopportabili della società che stiamo costruendo

Una volta (nel secolo scorso) sarebbe scattata istantanea l’obiezione: se vuoi davvero migliorare le condizioni di queste persone, allora dovressti appoggiare la loro lotta di classe (o almeno la loro lotta sindacale per aver contratti più equi e vantaggiosi per loro.

Una possibile contro-obiezione, proveniente dal lato oscuro di ciascuno di noi, replicherebbe: più soldi ai rider (sotto qualsiasi forma, compresa le assicurazioni e le indennità) si tradurrebbero inevitabilmente in costi maggiori per noi. Perderemmo tutta quella meravigliosa comodità dell’avere la consegna del libro che cercavamo tanto il giorno dopo averlo ordinato su Amazon. Perché dovremmo farlo? In ultima analisi sono loro, i rider, che hanno accettato quel lavoro a quelle condizioni: sono adulti e vaccinati, sanno quello che stanno facendo. 

Perciò il problema resta. In questa piccola frangia dell’esistente, le masse i principi contrapposti (esistono diritti inalienabili, da un  parte; tutto è governato dal libero mercato, dall’altro) generano scintille: scoppierà un incendio?

 

Ps: del tutto a margine: RIDER, in questo contesto, indica il lavoratoree che utilizzando una bicicletta effettua consegne a domicilio, di solito di prodotti alimentari. La parola inglese indica in primo luogo il fantino, poi il ciclista e infine il motoclista; ha poi un significato tecnico nell’ambito legale. Si noti come è rimassto indietro il dizionario Sabatini Coletti nella versione digitale adottata dal Corriere della sera nel definire i “rider”: 
s. ingl. (pl. riders); in it. s.m. inv. (o pl. orig.) sport. Nell’ippica, fantino; anche, corridore motociclistico a. 1989

 

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