Lettura commentata di Baudrillard 4

«Non c’è alcun massa di consumatori e nessun bisogno emerge spontaneo dal consumatore di base: non c’è la possibilità che esso appaia nello standard package dei bisogni a meno che non sia già passato attraverso il selected package. ….i bisogni e le soddisfazioni filtrano verso il basso… in virtù di un principio assoluto, di una specie di imperativo sociale categorico che è il mantenimento della distanza e della differenziazione per mezzo dei segni. È questa legge che condiziona tutta l’innovazione sociale degli oggetti come materiale sociale distintivo “dall’alto vero il basso” e non, all’inverso (dal basso verso l’alto verso l’omogeneità totale) l’ascendenza dei redditi». In altre parole: non importa quanto guadagni, alla fine resti sempre nella parte bassa della scala sociale a meno che non ti adegui agli stili di vita creati dalle élite. Sembra quasi che questa categoria serva solo a questo: fungere da apripista, scegliere il percorso, inventare la via dietro la quale si incamminerà tutto il resto del gruppo.
Ecco forse questa immagine dinamica e «naturalistica» può servire a dare un’idea del perché le cose vanno così. Immaginiamo la società non come un insieme statico di persone fisicamente ferme su un territorio, ma come un grande branco in movimento: il semplice fatto che ci sia una direzione fa si che qualcuno starà in testa e qualcuno in coda. In testa, all’inizio, non ci saranno necessariamente i migliori: ma la selezione naturale opera rapidamente togliendo di mezzo i più stupidi. Questo non significa che quelli davanti siano i migliori in assoluto di tutto il gruppo: anzi, statisticamente si può ipotizzare che molti tra quelli che stanno in mezzo o addirittura in coda sarebbero altrettanto bravi o forse perfino migliori di quelli che stanno davanti a scegliere la direzione Però sono in mezzo, schiacciati dalla calca, senza nessuna possibilità di farsi sentire nel rumore di sottofondo della marcia. Anche se si accorgessero che la direzione è sbagliata, forse riuscirebbero a convincere chi sta immediatamente accanto, ma non potrebbero mai farsi sentire dai capi (a questo punto le persone che guidano gli altri vanno chiamati così), a meno che non riescano a risalire di posizioni fino a giungere a ridosso della testa del corteo. Intanto però i principes si sono accorti di quello che stanno facendo e si sono convinti di aver diritto alla loro posizione: quindi saranno ben poco propensi ad essere messi in discussione da un ultimo arrivato. Se quest’ultimo, in un atto di ribellione, riuscisse a scattare un numero sufficiente di persone dalla direzione principale di marcia, e a creare una sotto-tribù che lo segua, si ripeterebbe lo stesso schema: adesso sarebbe lui nella sezione di testa, quella delle élite del nuovo gruppo, nel quale, proprio perché è in movimento (anche se in un’altra direzione), ci sarà di nuovo una massa centrale che segue senza capire bene e un gruppo di coda, con i più deboli destinati a fermarsi per esaurimento delle energie.
Uscendo dalla metafora, sembra di capire che non c’è speranza di avere una società realmente democratica, in cui cioè tutti sono sullo stesso piano e hanno gli stessi diritti reali. Non a caso l’immagine utopica di Rousseau si riferisce a una società molto chiusa e statica, quella di una comunità di contadini svizzeri della fine del Settecento: «quando si vedono presso il popolo più felice del mondo dei gruppi di contadini regolare gli affari di stato sotto una quercia e condursi sempre saggiamente, ci si può impedire di disprezzare le raffinatezze delle altre nazioni…?». Dove il popolo «più felice del mondo» sarebbero gli svizzeri dei cantoni più interni e isolati: e coloro che partecipano alla gestione del potere sono rigidamente maschi adulti indigeni.
Nella realtà post-moderna di oggi immaginare una vita come questa è semplicemente irrealistico. Una società totalmente statica non sarebbe neanche desiderabile, né desiderata.
«Una delle contraddizioni della crescita è che essa produce sì nello stesso tempo dei beni e dei bisogni, tuttavia essa non li produce allo stesso ritmo: il ritmo della produzione dei beni è infatti in funzione della produttività industriale ed economica, mentre il ritmo della produzione dei bisogni è in funzione della differenziazione sociale». Questa affermazione è un vero shock: la società si inventa dei bisogni che non c’erano, per poi soddisfarli a pagamento. Credo che l’esempio perfetto per questa affermazione siano gli smartphone. Chi è arrivato all’adolescenza dopo il 2005 (anno di nascita dell’Iphone) non riesce nemmeno a immaginare di poter vivere senza: chi ha conosciuto il prima, sa che è perfettamente possibile e che il bisogno di essere sempre connessi è un bisogno indotto. Ma il fatto stesso che la società si inventi dei bisogni è terribile: significa che davvero non riusciremo mai a fermarci, ad essere in pace, a dire: «Adesso abbiamo tutto!» Ma anche la seconda parte è altrettanto interessante: le persone sentono di avere bisogni diversi a seconda della posizione sociale che occupano: per una questione di realismo, esse desiderano solo qualcosa che è solo un po’ al di sopra delle loro capacità in quel momento preciso. In questo modo, secondo Baudrillard, «aspirando un po’ al di là delle loro possibilità oggettive esse interiorizzano le norme ufficiali di una società della crescita». Chi ha un reddito annuo di 15.000 euro non può davvero desiderate di avere uno yacht da 100 metri di lunghezza; desidererà uno smartphone da 1000 euro, piuttosto, che effettivamente potrà acquistare sfruttando le opportunità offerte dalle compagnie telefoniche (che si riveleranno altrettanti cappi e lacciuoli per molti mesi). In generale, secondo Baudrillard, «meno si ha e meno si aspira (almeno fino a una certa soglia in cui l’irrealismo totale compensa l’indigenza)» e quindi il divario tra le classi sociali anche da questo punto di vista tende ad ampliarsi, anche se resta vera la regola per la quale le classi inferiori tentano di omologarsi a quelle superiori attraverso il consumo dei beni tipici di quelle superiori (o meglio, di quelle che le classi superiori consumavano prima di «passarle» a quelle inferiori).

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