E’ una terminologia militare (e anche abbastanza imprecisa) che descrive una manovra per la quale l’aereo vola così basso e sfrutta così bene le asperità del terreno da risultare invisibile ai radar nemici. Voglio usare questa metafora per indicare un fatto che a volte i teorici apocalittici del futuro umano dimenticano: è vero che noi siamo già ipercontrollati dagli algoritmi dei grandi software come Google e Facebook, è vero che l’uso delle carte di credito e delle ricevute elettroniche permette a banche e Stati di conoscere meglio di noi la nostra situazione economica (se aprite il vostro cassetto fiscale presso l’Agenzie delle Entrate scoprirete che conoscono già TUTTO di voi), ma è anche vero che questi occhi elettronici possono vedere solo quello per cui sono programmati. Voglio dire: basta lasciare a casa il telefono e agli occhi di Google tu semplicemente scompari. Puoi fare quello che vuoi, senza che il “sergente elettronico” possa saperlo. Ovviamente, devi volare sotto il suo radar. Se ti rimetti a comprare cose, a usare il telefono e in generale ad attivare interazioni col mondo mediate dalla tecnologia informatica torni sotto il suo controllo. In tutti i film polizieschi la prima cosa che un fuggiasco deve…
Quand’ero bambino non pensavo certo di fare l’insegnante. Vivevo in un paese della Bassa milanese, ero figlio di medici. A scuola avevo una maestra che adoravo; ho fatto in tempo a stare su banchi di legno massiccio, di quelli che si vedono nei film in bianco e nero, intarsiati da generazioni di temperini annoiati e irriverenti. Litigavo con i pennini in acciaio per realizzare i pieni e i vuoti delle lettere. Con i trentatre miei compagni, tutti maschi, si dividevano le merendine e si faceva a botte. Ma non ricordo vera cattiveria, né qualcosa di simile alla lotta di classe, per quanto il Sessantotto incombesse. Giocavo con tutti, dal figlio dell’amica del cuore di mia mamma ai figli dei portinai della villetta tre numeri civici più in giù nella via. A casa a partire dai sei-sette anni leggevo tutto quello che trovavo nella libreria in salotto, dai gialli di Ellery Queen in su. Verso i dieci anni tentai perfino di leggere un libro polveroso che nessuno apriva mai, con su scritto «Sofocle». Non ci capii nulla e lasciai perdere dopo due pagine. Raccoglievo uccellini morti che sezionavo con un bisturi ormai non più affilato ottenuto da mio padre; collezionavo foglie…
L’Unione Europea ha recente realizzato attraverso Eurostat un report su come maschi e femmine percepiscono la vita. Ecco i grafici che riassumono la Overall life satsfaction (attenzione, i dati risalgono al 2013!) Donne Maschi Cosa si può dire su questi grafici? Beh, prima di tutto che si individuano abbastanza agevolmente tre cluter (più uno): il gruppo dei paesei scandinavi, sia tra le donne sia tra i maschi, guida la graduatoria della percezione positiva della vita. Abbastanza a sorpresa, si aggiunge l’Austria (si, è la sigla AT, se ve lo state chiedendo) e, solo per i maschi, i belgi: due paesi cattolici, quindi, entrambi abbastanza piccoli, che si accodano ai paesi protestanti del nord. Il gruppone di centro (quelli con un punteggio da 6,5 a 7,5), dove ci sono un po’ tutti, dalla Germania alla Lituania. Ci siamo anche noi italiani, ma ahimè proprio in fondo e già un pochino staccati da Spagna e Francia, per non parlare della Germania. In modo un po’ soprendente, siamo superati anche dalla Romania. il gruppo dei pessimisti (Grecia, Portogallo, Ungheria, Cipro, Croazia): tutti paesi periferici, tutti paesi con gravi problemi struttuali. Ultima, staccatissima, la Bulgaria. Nel complesso, i maschi hanno una soddisfazione…
Non ci avevo mai pensato, ma la morte di un albero è tavvero terribile. Quando la sega del boscaiolo comincia a lavorare sembra che tracci una vera ferita nel corpo del vivente che è l’albero: solo che non esce sangue, e non provoca urla e gemiti, e perciò non sembra una ferita. Ma il taglio che si vede al minuto 2″02′ è proprio una ferita, precisa e nitida come potrebbe esserlo quello da di un coltello che taglia la iugulare di un bovino. Da quel momento tutto è ineluttabile. L’albero avrà forse cent’anni (e se non li ha ci manca poco), esisteva ben prima che fosse nato l’uomo che adesso si affanna attorno a lui (l’operazione dura in tutto circa 13 minuti). Eppura l’albero non può fare nulla per difendersi: e alla fine cade giù con gran fracasso.
Però mi chiedo se non avessi fatto meglio a stare di più nel mondo: mi pento pubblicamente, per esempio, di essermi sempre rifiutato di “fare politica”. Io vengo da una di quelle famiglie in cui la politica è “una cosa sporca”. Adesso che vedo lo sfascio di questa società che consegnamo ai nostri figli, mi pento di non aver fatto di più all’epoca, quando forse di poteva ancora fare qualcosa (certo, lo so: il mio contributo da solo non poteva “salvare il mondo”, e viceversa il rischio di compromettersi sul piano morale era molto, molto alto). In ogni caso, adesso mi pento di non aver fatto TUTTO quello che era possibile fare. Così come mi pento di non aver vissuto abbastanza: il momento della riflessione è essenziale, ma per definizione oggettivando la vita ce ne distacca. E’ la vera “malattia mortale”: per vivere da uomini bisogna attivare la facoltà della riflessione, ma la riflessione ci stacca dalla vita. Se vivo, non sono uomo; se vivo da uomo, non vivo più. Ciascuno deve trovare il proprio equilibrio tra questi estremi: io non me la sento di dire “cosa fare”, segnalo solo lo scoglio e la secca (spero in modo chiaro) ai…