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La battaglia di Lepanto

La battaglia di Lepanto, combattuta il 7 ottobre 1571 al largo delle coste greche, fu una delle maggiori battaglie navali del Rinascimento, nella quale circa duecento galee cristiane affrontarono circa duecentocinquanta unità turche e le sconfissero. Questa vittoria permise alle potenze occidentali di porre un deciso freno all'espansione ottomana,

Le premesse

Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, infatti, i turchi avevano sviluppato una sorta di manovra a tenaglia, i cui due bracci erano rappresentati dai Balcani e dal Mediterraneo. Sul primo di questi fronti i soldati di Istambul avevano riportato un'importante vittoria a Mohacs, in Ungheria, spingendosi verso i territori austriaci.

Sul mare i turchi a partire dagli ultimi anni del Quattrocento avevano sconfitti i cristiani in numerose battaglie navali, tra cui vanno ricordate quelle di

* Zonchio (1499)
* Prevesa (1536)
* Gierbe (1566)

Questa sequenza di sconfitte cristiane quasi ininterrotte spiega perché tra gli occidentali serpreggiasse un profondo senso di pessimismo: i turchi sembravano imbattibili.
L'unico episodio che sembrava offrire un segnale contrario era il fallito assedio dell'isola di Malta, che i turchi avevano inutilmente attaccato nel 1565.
Ma nonostante questa battuta d'arresto, la pressione turca sul Mediterraneo era ancora forte, e nel 1570 il sultano Selim II, dopo una pace di circa trent'anni, decise di attaccare l'isola di Cipro, uno delle ultime grandi colonie veneziane.
Il papa Pio V divenne subito l'anima di una lega che riuniva lo Stato pontificio, la Spagna e Genova per portare immediatamente aiuto ai veneziani. Ma la compattezza di questa lega era fortemente incrinata dagli odi e dalle rivalità delle potenze cristiane, e il suo impegno in campo militare ne fu fortemente compromesso.
I turchi non persero tempo: l'isola di Cipro venne rapidamente occupata da un esercito di centomila uomini sbarcato nel giugno del 1570 da una flotta di 160 galee e 200 navi circa e la capitale Nicosia si arrese il 9 settembre. Quando la notizia della caduta di Nicosia raggiunse la flotta cristiana, l'ammiraglio genovese Doria ne approfittò per ripiegare sulle sue basi, e la campagna navale di quell'anno ebbe termine
Solo la città di Famagosta, potentemente fortificata, resisteva ancora al comando di Marcantonio Bragadin. .
Fu allora la volta della diplomazia, che nel corso dell'inverno ricucì faticosamente gli strappi che il comportamento degli ammiragli aveva provocato. Grazie soprattutto agli sforzi dell'ammiraglio pontificio Marcantonio Colonna la lega venne finalmente ratufucata il 25 maggio 1571, ponendo le basi per una ripresa massiccia delle operazioni contro i turchi.

 

 

I veneziani avevano già ripreso il mare, agli ordini di Sebastiano Venier, un ammiraglio di settant'anni che però aveva conservato una grande energia. Con le sue 56 galee , 6 galeazze e due navi tonde Venier scese l'Adriatico e si fermò nella base veneziana di Corfù.

Da Creta intanto i veneziani organizzavano con una squadra di 60 galee una spedizione di soccorso a Famagosta, che ancora resisteva: nel frattempo però aveva ripreso il mare anche la flotta turca, molto più forte numericamente, per cercare di distruggere la flotta di Creta e sbarcare anche su quest'isola, e i veneziani preferirono tornare a Creta abbandonando Famagosta al suo destino.

La squadra turca, dopo qualche piccolo raid sull'isola, proseguì lentamente lungo la costa occidentale del Peloponneso puntando su Corfù. Venier dovette scegliere:

* aspettare il nemico e cercare di fermarlo con forze insufficienti (approssimativamente 1 contro 4),
* rinchiudersi in Adriatico per difendere i possedimenti veneziani
* oppure ripiegare su Messina, dove si doveva radunare la flotta della lega.

Alla fine optò per quest'ultima soluzione, e la squadra arrivò in Sicilia il 23 luglio, congiungendosi con le galee pontificie già arrivate il 20.

 

L'avvicinamento

 

Ai turchi si spalancò così la possibilità di dirigersi verso l'Adriatico, che fu messo a ferro e fuoco fino all'altezza di Curzola, ma a loro volta, spostandosi verso nord, lasciarono il mar Ionio momentaneamente sgombro: in questo modo la squadra di Creta poté ripiegare navigando "a golfo lanciato" o "alla francese", cioè senza costeggiare, su Messina, dove arrivò il 2 di settembre insieme a 11 galee di Gian Andrea Doria.
Complessivamente così i turchi, pur disponendo della superiorità numerica e pur avendo messo a segno molti successi parziali sulle coste dalmate, avevano perso l'importante vantaggio strategico derivante dal tener separate le squadre cristiane, ciascuna delle quali inferiori alla propria flotta.
Anche se erano penetrati in Adriatico e praticamente nulla li separasse da Venezia ormai indifesa, furono costretti a tornare indietro per il concreto pericolo di restare a loro volta intrappolati in quel mare dalla flotta cattolica, che cominciava a formarsi anche proprio grazie al tempo guadagnato da questo continuo manovrare avanti e indietro.
Don Giovanni d'Austria, messo a capo delle 44 galee spagnole, aveva potuto salpare da Barcellona solo a metà luglio del 1571. Bordeggiando le coste francesi e italiane, non perse l'occasione, secondo l'usanza del tempo, di godere a Napoli per una decina di giorni della calorosa accoglienza di "cavalieri, di dame e di tutto il popolo", come dicono le fonti. Arrivò a Messina solo il 24 agosto, accolto di nuovo da una festa sfarzosa: i cronisti del tempo descrivono un ricchissimo palco "messo a mare" ricoperto di drappi, di pitture e di iscrizioni sul quale don Giovanni passò alla testa di un sontuoso corteo per sbarcare dalla galea ammiraglia. Agli ordini di Don Giovanni si trovavano ora riunite circa 200 galee, più le sei galeazze veneziane e una decina di navi tonde, ma al briefing convocato il 24 apparvero evidenti le differenze tra gli alleati. Il re spagnolo Filippo II era fermamente intenzionato a non far combattere la flotta, e aveva circondato Don Giovanni di "consiglieri speciali" con istruzioni in questo senso, aiutati a loro volta dai genovesi: i Veneziani invece fremevano per andare a combattere, e trovavano l'appoggio degli uomini del papa.
Chi decise fu proprio don Giovanni: contravvenendo alle indicazioni del fratellastro, forse convinto dalla segreta promessa veneziana di un dominio in Grecia, o forse per desiderio di una gloria militare che lo riscattasse dalla posizione di inferiorità rispetto a Filippo II, in un secondo briefing tenuto il 10 di settembre con i circa settanta ammiragli, comandanti in capo, consiglieri della lega riuniti insieme cedette alle pressioni di veneziani e papalini e decise la partenza verso il nemico.
In ogni caso, egli dubitava dei marinai della Serenissima: con la scusa di rafforzare i loro contingenti di fanti imbarcati, ma in realtà per poterli controllare meglio, li obbligò ad accettare qualche decina di fanti spagnoli per unità.

 

 

 

 

 

Gli schieramenti

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La flotta cristiana lasciò Messina il 16 settembre e dopo dieci giorni di faticosa traversata gettò l'ancora a Corfù. Qui venne raggiunta dalla notizia che Famagosta era caduta in giugno e che tutti i difensori superstiti erano stati trucidati. Ma contemporaneamente la flotta turca, agli ordini di Alì Pascià, venne avvistata all'imboccatura del golfo di Corinto: subito don Giovanni ordinò di salpare l'ancora e di spostarsi alle foci dell'Aspropotamo, situate immediatamente a nord di questo golfo, erroneamente convinto di godere di una notevole superiorità numerica. Siccome anche Ali Pascià, che in realtà disponeva di 250 galee, aveva preso il mare deciso a dar battaglia, i due avversari si avvistarono reciprocamente all'alba del 7 ottobre all'imboccatura del golfo di Corinto.

La flotta cristiana tuttavia si trovava in una difficile situazione tattica causata dall'entusiasmo di don Giovanni: le sue navi infatti avevano passato la notte all'ancora davanti alla foce dell'Aspropotamo, e per avvicinarsi più rapidamente al nemico transitarono per uno stretto passaggio tra la costa e alcune isolette antistanti trovandosi esposte al rischio di essere attaccate dai turchi prima di potersi schierare. Ma il vento che spingeva in poppa questi ultimi cadde bruscamente, dando il tempo alle squadre genovesi, spagnole e veneziane di completare lo schieramento a mezzaluna, identico a quello già preso dai turchi. L'avvicinamento si concluse a mezzogiorno, quando le due flotte si trovarono a distanza di tiro e si schierarono.

Davanti a quella cristiana avevano preso posizione le pesanti e potenti galeazze veneziane, che si dimostrarono decisive in questa prima fase con i loro cannoni piazzati sulle fiancate. a lo schieramento cristiano, esteso per quasi 4 miglia, non era disposto esattamente secondo il piano di battaglia previsto. Sull'ala sinistra i veneziani guidati da Agostino Barbarigo si erano accorti che il nemico cercava di aggirarli sfiorando i bassi fondali, e nello sforzo di avvicinarsi alla costa per impedire questa manovra si erano lasciati indietro le galee più lente, che entrarono in linea solo più tardi.
Sull'ala destra Gian Andrea Doria si era slargato ancora di più, forse per prevenire una analoga manovra da parte dei turchi su quel lato, e aveva provocato una interruzione della linea di circa 800 metri. Anche le galeazze veneziane che avrebbero dovuto appoggiarlo erano rimaste indietro. Solo al centro, direttamente controllato da Don Giovanni, lo schieramento era impeccabile.

 

 

La battaglia

I turchi si gettarono all'attacco al centro a "voga arrancata" sperando di superare di slancio quei "castelli galleggianti" che erano le galeazze, ma vennero colti di sorpresa dalle bordate d'artiglieria che li colpivano d'infilata e a distanza ravvicinata, e il loro schieramento si scompaginò alquanto prima ancora di raggiungere la linea delle galee cristiane. La mischia

Contemporaneamente l'ala destra turca, guidata da Muhammed Scirocco, prese contatto con i veneziani acquisendo un prezioso vantaggio tattico iniziale: le galee ottomane riuscirono ad aggirare quelle di San Marco che, bersagliate da un intensissimo tiro di frecce, si trovarono in una situazione assai critica. La Capitana, la Provveditora, la Fortuna, la Sagittaria, la Tre mani e qualche altra vennero così attaccate contemporaneamente su due fronti. Ma l'ammiraglio veneziano, Agostino Barbarigo, fece virare la sua galea e attaccò la capitana nemica, aiutato da altre unità cristiane, mentre un paio di galee attardatesi nello schierarsi tagliavano corto e venivano a dare man forte.
Una galeazza infine, spostandosi con tutta la velocità permessa dalla sua mole, si andò a piazzare proprio sotto costa e con le sue bordate completò l'opera: l'ammiraglia turca venne spinta in secca e catturata, Muhammed Scirocco ucciso, altre galee incendiate, speronate, affondate o catturate dopo una mischia furibonda.

La battaglia di Lepanto. Autore anonimo. National Maritime Museum

Il dipinto qui riprodotto è di un pittore anonimo che ha ricostruito la battaglia con molta fantasia. Tuttavia è possibile distinguere le galee (come le navi in primo piano a sinistra) dalle galeazze (come l'unica nave, sulla destra, con una vela spiegata). Le coste tuttavia sono completamente inventate. L'immagine è ripresa da Wikipedia. Il quadro originale è conservato al National Maritime Museum di Greenwich (Londra)

 

I genovesi di Gian Andrea Doria, schierati all'ala destra, si erano infatti diretti come già sappiamo verso il largo, allontanandosi secondo alcune fonti fino a quattro miglia dal grosso della mischia. Lo scopo di questa manovra era forse quello di aggirare i nemici che avevano di fronte, secondo l'interpretazione più benevola degli storici, o forse quella di evitare il combattimento, come sospettarono subito i marinai delle altre squadre. I turchi che lo fronteggiavano, agli ordini di un rinnegato cristiano di nome Ulug-Alì, lo seguirono per un certo tempo senza cercare lo scontro, si disse per una serie di accordi segreti con gli spagnoli. Ma quando già la mischia nel settore di centro stava spegnendosi l'ammiraglio turco invertì bruscamente la rotta puntando contro le navi di don Giovanni, estenuate da ore di combattimento, che ora si ritrovavano di colpo circondate. Le poche unità toscane, papaline e veneziane che staccandosi prontamente dalla squadra del Doria cercarono di fermarlo vennero spazzate via: sulla Piemontese per esempio rimasero solo sette uomini vivi in tutto, mentre la Cristo Risuscitato preferì autoaffondarsi piuttosto che arrendersi. Ma il tempo guadagnato con questo sacrificio non fu inutile perché permise alla squadra di riserva di entrare in azione attaccando a sua volta alle spalle le navi di Ulug-Alì. Intanto anche Gian Andrea Doria si decise a riavvicinarsi al centro catturando qualche preda e circondando definitivamente quel che restava della flotta turca. Ulug-Alì capì che la partita era perduta: facendo forza sui remi riuscì a forzare lo schieramento cristiano e a mettersi in salvo con altre 16 galee.

 

Infografica

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Le conseguenze

Le conseguenze della battaglia

Lepanto fu una delle più grandi battaglie di tutti i tempi e certamente la più importante combattuta con le galee. I turchi persero circa 200 navi ed ebbero almeno 30.000 morti in combattimento e 8.000 prigionieri. I cristiani persero in tutto circa 15.000 uomini, ma riuscirono a liberare almeno 10.000 schiavi che remavano sulle galee ottomane.
Le conseguenze di lunga durata della battaglia però sono controverse. La stagione era avanzata, le navi avevano bisogno di essere riparate, gli equipaggi dovevano venir rimpiazzati: nonostante che la flotta turca non esistesse più, i cristiani non attaccarono né le coste della Turchia né Costantinopoli. Il sultano commentò che gli era stata solo "bruciacchiata la barba" e l'anno successivo ricostruì una flotta di galee.

Sembrava che si fosse persa una grande occasione, e molti storici, seguendo Voltaire, hanno concluso che Lepanto fu "molto rumore per nulla". Soltanto a partire dagli anni Cinquanta, seguendo le riflessioni dello storico francese Braudel, si è cominciato a rivalutare l'importanza di questa battaglia, soprattutto per le grandi conseguenze psicologiche. Lepanto non bloccò certo l'espansionismo turco, e i pirati della Mezzaluna continuarono per decenni a infierire sulle coste mediterranee. L'Impero ottomano era essenzialmente una potenza terrestre: una sola vittoria navale non poteva piegarlo. La Spagna inoltre, impegnata in Olanda e in Atlantico, non avrebbe mai potuto lanciarsi alla riconquista del Mediterraneo. Anche il suo intervento massiccio e decisivo nella campagna di Lepanto fu in realtà reso possibile da un attenuarsi dei suoi impegni sugli altri fronti. Ma dopo il 7 ottobre 1571 la marea montante turca, che sembrava inarrestabile dopo le battaglie di Zonchio, di Prevesa e di Jerba, subì una battuta d'arresto. La pirateria proseguì per decenni, ma la possibilità di una invasione dal mare svanì per sempre. La cristianità riacquistò una decisiva fiducia in se stessa e proseguì la lotta contro i nemici orientali con la definitiva certezza di poterli battere, come effettivamente avvenne.

Mappa

 

 

 

 

 

Gallery

 

arazzo lepanto In questo dettaglio dell'arazzo, conservato a Villa del Principe o Villa Doria Pampphilij a Genova, che illustra la navigazione della flotta cristiana lungo le coste calabresi si possono riconoscere le galee, con le tipiche vele triangolari e i remi spinti in fuori.
In questo arazzo, conservato a villa del Principe o Doria Pamphili, viene raffigurato lo schieramento delle flotte prima della battaglia. Si distinguono nettamente le galeazze veneziane, separate dalle navi cristiane (a sinistra). Il momento colto è l'inizio dello scontro, quando le due ammiraglie sparano un colpo in bianco (cioè senza palla) per segnalare ai rispettivi schieramenti di avanzare.
GLi arazzi di Doria Pamphili Questo arazzo, sempre della serie conservata a villa Doria Pamphili, descrive invece la mischia nel momento centrale della battaglia.
 stampa lepanto  In questa stampa di autore anonimo la posizione delle navi è resa in un modo piuttosto fantasioso. Lo schieramento delle due flotte non è rettilineo come nelle altre immagini ma piuttosto incurvato.
 La battaglia di lepanto della sala delle carte geografiche  In questo famoso affresco di Fernando Bertelli (1572) sono raccolti insieme diversi episodi della battaglia: gli schieramenti iniziali; la mischia nella fase centrale e infine la fuga, in alto a sinistra, delle navi turche sopravvissute.
 Vasari Lepanto

 Vasri raffigurò per Pio V nel 1572 la battaglia di Lepanto in due grandi affreschi, realizzati vicino alla Cappela Sistina. In questo, che rappresenta la situazione immediatamente prima della battaglia, la scena è divisa nettamente in due: in basso sono raffigurate delle figure simboliche, in alto le navi. 

Gli schieramenti sono rettilinei: un posto di rilievo è assicurato alle galeazze veneziane. Le galee sottili, invece, tendono a confondersi le une con le altre per il gran numero. La posizione reciproca delle navi è puramente indicativa e schematica. 

Le tre figure in basso a sinistra, sotto lo schieramento cristiano, rappresentano la Chiesa (al centro, con il Triregno e le chiavi nella mano sinistra), la Spagna (vestita da guerriero, a sinistra) e Venezia (con l'abbigliamento del doge).

Le figure in basso a destra, in corrispondenza dei turchi, sono la Morte, la Debolezza e il Timore (ovviamente condannate alla sconfitta).

   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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