Noi oggi siamo completamente immersi in un particolare modo di vivere il tempo e lo spazio e siamo istintivamente convinti che questo sia l'unico modo possibile di concepire queste entità, anzi che sia l'unico modo giusto per farlo. In realtà il tempo e lo spazio che noi consideriamo con tutta naturalezza «oggettivi» sono solo uno dei modi possibili che possono essere scelti per orientarsi tra gli oggetti del mondo e nel fluire del divenire.
La concezione del tempo e dello spazio nell'antichità per esempio era molto diversa da quella che nacque, si diffuse gradualmente e infine si impose in Occidente nella seconda metà del Medioevo. Certamente non è un fatto casuale che proprio mentre nelle città italiane e d'oltralpe si veniva gradualmente elaborando una nuova tavola di valori, in cui l'azione e il successo assumevano una posizione sempre più importante, cominciava a essere elaborata anche una nuova visione dello spazio e del tempo, il cui carattere comune consiste proprio nel «dominio» che essa permette su queste entità.
Sin dall'antichità esistevano due strumenti per misurare lo scorrere del tempo: la meridiana e la clessidra. La prima è assai semplice: consiste infatti di un bastone piantato al suolo (detto gnomone), il cui scopo è quello di rendere immediatamente percepibile il movimento del segnatempo per eccellenza, il sole, su cui si regola tutta la vita biologica della terra. La meridiana in altre parole si limita a «sfruttare» la natura: seguendo con attenzione lo spostarsi dell'ombra sul terreno (o, nelle meridiane più evolute, sul muro), e tenendo conto della stagione, si può conoscere con una buona approssimazione l'ora. In più, la meridiana permette di sapere con certezza quando scocca il mezzogiorno, che corrisponde per definizione al momento in cui l'ombra proiettata da uno gnomone verticale è più corta. Naturalmente questo tipo di «orologio» dipende totalmente dalle condizioni atmosferiche e astronomiche: non può essere usato di notte né quando il cielo è coperto.
L'altro strumento per la misurazione del tempo era la clessidra: nella sua forma più semplice si tratta di un recipiente da cui un fluido (inizialmente acqua, poi sabbia) fuoriesce tramite un piccolo foro e secondo un ritmo costante. La clessidra perciò «copia» la natura, ovvero è uno strumento che misura il flusso del tempo usando un altro flusso, costante e controllabile, il cui scorrere può venir visualizzato «pesando» la quantità di liquido. Il grande vantaggio della clessidra è quello di emancipare l'uomo dalla natura, dal momento che può funzionare anche di notte e col brutto tempo. Il flusso dell'acqua o della sabbia però non è mai assolutamente regolare, e perciò non può essere utilizzato per misurazione realmente precise su lunghi intervalli tempo. Questo segnatempo in ogni caso conobbe nell'antichità una grande diffusione e un notevole sviluppo tecnico. Per esempio lo scienziato e ingegnere greco Ctesibio di Alessandria (135 a.C. circa) costruì una clessidra molto complessa in cui il flusso d'acqua, riempiendo un cilindro nel corso di un'intera giornata, sollevava una statua la cui lancia indicava l'ora su una colonna. Un sifone provvedeva a svuotare automaticamente il cilindro al termine della giornata, facendo così abbassare la statua nella posizione di partenza. La misurazione del tempo era resa più complessa dal fatto che gli antichi dividevano sia il dì sia la notte in dodici ore, la cui lunghezza variava in funzione della stagione. In altre parole gli antichi erano così condizionati dalla natura che non riuscivano a immaginare un sistema di misurazione del tempo sganciato dall'alternarsi del periodo di luce e di oscurità. Di conseguenza le ore «diurne» erano molto più lunghe in estate che in inverno, e quelle «notturne» duravano di meno in estate che in inverno. Ctesibio cercò di tenerne conto, incidendo sulla colonna della sua clessidra una scala di misurazione del tempo variabile, in cui le ore erano rappresentate da intervalli maggiori d'estate e minori d'inverno; la colonna stessa veniva fatta ruotare automaticamente dalla clessidra con un complesso gioco di pesi e ingranaggi, in modo da utilizzare sempre la scala adatta alla stagione in corso.
Nel tracollo della civiltà classica con le invasioni barbariche (V secolo) gran parte delle conoscenze necessarie alla costruzione di questi strumenti andò perduta. In Cina, invece, si sviluppò una lunga tradizione di orologi ad acqua che culminò con la realizzazione, alla fine dell'XI secolo della nostra era, del miglior segnatempo costruito nel mondo fino a quel momento e attribuito all'astronomo di corte Su Sung. Si trattava in realtà di un orologio astronomico, pesante alcune tonnellate e alto complessivamente una dozzina di metri, che serviva a muovere una sfera armillare, ossia una riproduzione in bronzo del cielo e dei movimenti degli astri principali. Un certa quantità d'acqua riempiva uno dopo l'altro una serie di piccoli «cucchiai» fissati su una ruota di grande diametro: ogni 24 secondi circa il cucchiaio si riempiva e con il suo peso faceva scattare una serie di meccanismi che tramite pesi e contrappesi facevano girare la ruota di un piccolo angolo. Il cucchiaio rovesciandosi si vuotava, un nuovo cucchiaio veniva messo in posizione e il ciclo riprendeva. Il moto intermittente ma regolare della ruota veniva infine trasmesso alla sfera armillare e a una serie di statue che spostandosi indicavano l'ora. Alcune ricostruzioni moderne hanno dimostrato che probabilmente lo strumento riusciva a segnare il tempo entro un margine di errore inferiore al minuto al giorno, almeno per brevi periodi. Un risultato eccellente, dunque, di gran lunga superiore perfino a quelli degli orologi europei rinascimentali: e tuttavia l'orologio vero e proprio non nacque in Cina ma in Europa. La ragione può essere riassunta nel fatto che la cultura cinese non era affatto importante conoscere l'ora esatta. Il tempo apparteneva all'imperatore, non ai sudditi. Perciò il grande orologio cinese non venne riprodotto e diffuso, e gradualmente le conoscenze e le tecniche necessarie per costruirlo si persero.
Un segnatempo veramente efficace fu invece trovato in Europa. Uno degli impulsi più forti in questa direzione era il fatto che i monaci cristiani dovevano pregare a intervalli molto rigidi e spesso di notte, e avevano perciò bisogno di misurare il tempo con grande precisione. Costruirono perciò e perfezionarono intorno al 1000 delle «campane automatiche», basate anch'esse sul principio della clessidra, che pur senza essere dei veri orologi meccanici rappresentarono un decisivo passo in questa direzione.
Qui a destra invece vediamo lo stesso svegliarino in azione. |
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L'orologio meccanico vero e proprio comparve probabilmente solo alla metà del Duecento (le prime testimonianze esplicite risalgono però al 1321-25, data in cui venne costruito l'orologio astronomico della cattedrale di Norwich in Inghilterra), portando con sé una serie di importanti novità. Prima di tutto veniva mosso da pesi, e questo lo rendeva immune dei problemi legati al tempo e alla temperatura.
Ma la novità decisiva era il segnatempo vero e proprio, che misurava il tempo grazie a una sorta di battito intermittente e non più attraverso un flusso continuo. L'orologio meccanico non cercava più di «sfruttare» la natura per misurare il tempo, e neppure di «copiarla» creando un flusso controllabile e misurabile, ma al contrario introduceva il principio per cui il tempo viene misurato contando degli eventi che si ripetono a intervalli regolari e ravvicinati. Il vantaggio di questo sistema è che la misura del tempo diventa tanto più precisa quanto più rapidi e ravvicinati sono gli eventi ciclici che vanno contati, ed è svincolata dalle incertezze legate al flusso di un fluido.
Il «battito» veniva inizialmente fornito da un particolare meccanismo detto scappamento a verga. Si trattava di un sistema semplice e geniale, che permetteva alternativamente di trattenere e di rilasciare, secondo un ritmo stabile e regolabile in modo pratico, un corona dentata solidale con l'asse del tamburo su cui si avvolgevano i cavi dei pesi. Il cuore del meccanismo consisteva in un'asta, perpendicolare all'asse del tamburo, su cui erano sistemate due alette, a loro volta perpendicolari l'una rispetto all'altra, montate a 90° l'una rispetto all'altra, in modo che quando una di esse «si impegnava» (cioè si incastrava) nella corona dentata l'altra ne veniva sganciata. Quando questa aletta veniva sganciata dalla corona quest'ultima, non più trattenuta, avrebbe cominciato a girare sempre più rapidamente (trascinata dai pesi): ma veniva immediatamente bloccata dall'altra aletta. Il movimento, ripetendosi all'infinito, permetteva in pratica di sfruttare in modo progressivo e controllato l'energia gravitazionale dei pesi, e di renderla disponibile per «quanta» (unità discrete) che potevano venir contate facilmente. Il "foliot" era un'asta orizzontale, fissata alla verga e quindi in grado di muoversi insieme ad essa. All'estremità del foliot c'erano dei pesi ausiliari che non serivano in alcun modo per fornire energia al sistema, ma solo a regolarne la velocità. Allontanadoli o avvicinandoli al centro di rotazione, infatti, aumenta o diminuisce il "momento angolare" e quindi la velocità di rotazione, per lo stesso principio fisico per cui una pattinatrice gira più veloce quando chiude le braccia sul petto o rallenta se le apre.
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Nell'immagine qui sopra è schematizzato il sistema a foliot. Il foliot è l'elemento orizzontale indicato dalla lettera B nel disegno di destra. La corona dentata A viene mossa da un tamburo (non visibile) attorno al quale è arrotolato il filo che sostiene il peso. Il moto rotatorio del tamburo è demoltiplicato da numerosi ingranaggi ("treno") non visibili qui. Le due palette P e P' nel disegno di sinistra si impegnano alternativamente nei denti della ruota dentata A, bloccandone per un momento il movimento e scandendo in questo modo il tempo. |
Ecco un video che mostra il funzionamento del meccanismo:
Si tratta dell'orologio della cattedrale di Salisbury, in Inghilterra, attorno al 1386. Si vede molto bene il lento movimento alternato del foliot. I "tic" che si sentono sono le palette vanno a "impegnare" i denti della ruota dentata (ossia vanno a colpire i denti, producendo il rumore, quando l'asse su cui sono fissate ruota per effetto del foliot, ossia l'asta orizzontale che si muove in senso alterno). Tutta l'energia è fornita al sistema dai pesi che si vedono sullo sfondo. Dato che il meccanismo è adesso appoggiato per terra, il cavo cui è agganciato il peso viene fatta passare sotto una ulteriore carrucola (non visibile nle filmato) vicino al pavimento.
Inizialmente il movimento della corona, reso regolare dallo scappamento, veniva comunicato a un meccanismo che annunciava l'ora facendo suonare una campana. La lancetta delle ore, come la conosciamo noi, apparve solo in seguito, mentre quella dei minuti nacque più tardi ancora, attorno al 1475 (per la lancetta dei secondi bisognerà aspettare ancora un secolo almeno).
I primi orologi erano di grandi dimensioni (venivano montati in cima alle torri cittadine) e costosi, così che solo i sovrani o le città più ricche potevano permetterseli. Il passo successivo fu quindi in direzione della miniaturizzazione, resa possibile dall'introduzione, agli inizi del Quattrocento, della molla a spirale come fonte di energia.
Questi strumenti, però non erano affatto precisi: gli orologi di grandi dimensioni sgarravano di un quarto d'ora al giorno, mentre quelli portatili avevano un margine d'errore di una mezz'ora al giorno; entrambi dovevano essere regolati una o più volte al giorno, basandosi sulla meridiana, l'unico segnatempo in grado di fornire almeno un'ora assolutamente esatta (il mezzogiorno locale, quando l'ombra dello gnomone raggiunge la misura più corta). Non è perciò corretto affermare che gli europei adottarono l'orologio meccanico perché era più preciso degli altri: in realtà fu la mentalità meccanica che aveva cominciato a diffondersi dopo il 1000 nel nostro continente che rese possibile l'adozione di questi strumenti per la misurazione del tempo.
Il problema della precisione comunque venne risolto alla metà del Seicento dallo scienziato olandese Christian Huygens che utilizzò come segnatempo un pendolo oscillante. Usando pendoli lunghi tre metri, con un arco di oscillazione di circa 2°, si poteva ottenere una precisione di circa 10 secondi al giorno. Adesso il problema era di nuovo quello di ridurre le dimensioni. La soluzione venne trovata nel 1675 sostituendo al pendolo una molla (detta bilanciere) le cui oscillazioni elastiche isocrone (cioè di uguale durata) venivano usate come segnatempo. A questo punto anche gli orologi portatili raggiunsero una precisione dell'ordine dei cinque minuti al giorno, paragonabile ormai a quella dei nostri orologi. Con questa invenzione la disciplina del tempo diventava possibile per tutti.
Testi di riferimento:
D. Landes, Storia del tempo
Mondadori, Milano1984, pag. 476
C.M. Cipolla, Le macchine del tempo, Il Mulino, 2003
Approfondimenti
Un interessante articolo sull'orologio di Dondi è stato scritto da Aldo Bullo
Il sito ufficiale del Museo dell'orologio di Chioggia (dove è conservato un esemplare dell'orologio di Dondi del XIV secolo)
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Ricostruzione al computer del movimento del foliot. Tutti i meccanismi sono semplificati al massimo per mettere in rilievo il movimento alternato della verga, le cui palette alternativamente bloccano e rilasciano la ruota dentata. |
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Qui la ruota dentata è disposta orizzontalmente, perché la funzione di segnatempo non è svolta dal foliot ma dal pendolo che si intravede sulla sinistra. Si vede molto bene il movimento alternato delle palette. Video di JOALLERIE GUILLOSSON. |
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In questo breve video l'orologio moderno ricostruito è verticale. |
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Adesso siamo in grado di ammirare e di comprendere il funzionamento del più antico orologio meccanico arrivato fino a noi, quello della cattedrale di Salisbury in Inghilterra. |
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In questo prezioso video di un orologio meccanico medievale ricostruito oggi si può apprezzare a orecchio l'andamento non regolare delle "pulsazioni" dell'orologio. Video di Jo Vall. |
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Lo stesso orologio del filmato precedente, con dettagli ancora più ravvicinati. |
Data di pubblicazione: 15 febbraio 2009
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Per citare la pagina: https://www.ariannascuola.eu/ilfilodiarianna/it/storia/dinamiche-e-problemi/la-tecnologia-nel-medioevo/90-la-nuova-concezione-del-tempo.html?showall=&;limitstart=