Testo
Sui manuali scolastici le prime esplorazioni portoghesi lungo la costa occidentale dell'Africa vengono spesso sottovalutate. In realtà esse ebbero una notevole importanza, sia pratica sia culturale, perché per misero di acquisire importanti basi commerciali e contribuirono in modo decisivo a smentire convinzioni cosmografìche profondamen te radicate nella mentalità europea.
Il Portogallo, nel corso del Medioevo, non era un paese particolarmente sviluppato dal punto di vista economico e nautico: a par tire dalla fine del XIII secolo assisteva al passaggio dei convogli di galee genovesi e poi veneziane che, lungo la rotta dal Mediterraneo agli scali delle Fiandre, potevano far tappa a Lisbona, mentre agli inizi del XIV secolo le prime navi anseatiche si spinsero fino alla capitale lusitana. In questo modo veniva a chiudersi
l'«anello marittimo» che, circondando l'Europa, favorì potentemente le comunica zioni e i trasporti da un capo all'altro del continente. Tuttavia i portoghesi non disponevano né di merci né di capitali per inserir si in questo tipo di commercio marittimo a lungo raggio; anche la pesca, esercitata nelle acque costiere, impegnava una percentuale modesta della popolazione. Inoltre il regno portoghese doveva fare i conti con un minaccioso vicino, il regno di Castiglia, che cercava tradizionalmente di sottometterlo. Schiacciati lungo le coste atlantiche, privi di risorse, i portoghesi decisero nei primi decenni del Quattrocento di espandersi nell'unica direzione rimasta libera, ossia il mare stesso.
Onde gigantesche si frangono contro Capo San Vincenzo, l'estremità meridionale del Portogallo
La prima fase: il superamento dei limiti tradizionali
L'obiettivo iniziale di questa espansione non era affatto l'India. I portoghesi si proponevano di trovare nuove terre da colonizzare, ma soprattutto di rintracciare la regione da cui proveniva l'oro che affluiva sulle coste mediterranee attraverso le carovane del deserto. All'inizio essi pensarono che questi obiettivi andassero raggiunti con la conquista del Marocco: nel 1415 venne così conquistata la città di Ceuta, sulla sponda meridionale dello stretto di Gibilterra. Si trattò però di una falsa partenza. I musulmani cercarono per anni di riconquistare la piazzaforte, che rimase pertanto bloccata e che non potè mai essere usata come base di partenza per i viaggi esplorativi. La strada giusta era un'altra.
L'animatore delle esplorazioni portoghesi in questo periodo fu il
principe Henrique, fratello del re, che fu detto il Navigatore anche se personalmente non partecipò a nessun viaggio di scoperta. Egli intuì che gli sforzi portoghesi dovevano essere diretti sul mare, in direzione sud. Per questo motivo Henrique organizzò una spedizione dopo l'altra, cercando di esplorare quanta più costa africana fosse possibile. Questo sforzo fu possibile perché Henrique era stato nominato nel 1420 "reggitore" dell'Ordine di Cristo, che in Portogallo aveva ereditato i possedimenti dell'
Ordine dei Templari, e aveva utilizzato le grandi risorse di questa congregazione per organizzare le spedizioni di scoperta.

Il Principe Henrique detto il Navigatore (da Wikipedia)
Già da tempo i portoghesi avevano occupato lo spazio marittimo degli arcipelaghi atlantici: nel 1402 era iniziata la colonizzazione delle Canarie (preceduta da un tentativo sfortunato alla metà del Trecento; le isole passarono in seguito sotto la sovranità castigliana); intorno al 1420 due portoghesi scoprirono (o riscoprirono) le isole di Madera e Porto Santo; quasi tutte le Azzorre, situa te nel bel mezzo dell'Atlantico, erano segnate sulle carte nautiche prima del 1439. In questo modo i portoghesi si conquistarono un vasto spazio marittimo e impararono a percorrerlo sfruttando i venti dominanti, effettuando navigazioni di centinaia di chilometri in mare aperto.
Tuttavia le isole non producevano oro, che era lo scopo di Henrique: per trovare quest'ultimo era necessario esplorare le coste africane, lungo le quali la navigazione presentava (e presenta) molte difficoltà.
Il litorale infatti è estremamente inospitale, con pochissimi approdi dove rifornirsi d'acqua; spesso si incontrano secche pericolose e la corrente che scorre paralle la alla costa da nord-est verso sud-ovest può creare gravi pericoli alle imbarcazioni. A partire da
, poi, cominciano a soffiare gli
alisei, venti costanti da nord-est, che rendevano difficile il ritorno. Questo capo, in particolare, rappresentava nell'immaginario collettivo dei marinai il limite del mondo abitabile e navigabile, un punto di non ritorno che non era mai stato oltrepassato a memoria d'uomo e che quindi non poteva essere superato.
Nel
1434 questo capo venne superato da un gentiluomo portoghese,
Gil Eanes, a bordo di una piccola imbarcazione (
barcha)che poteva naviga re sia a remi sia a vela.
Questo episodio poco noto è invece importantissimo, perché rese possibile tutto il resto: una volta dimostrato che al di là del capo si poteva navigare senza nessun problema, era solo questione di volontà e di resistenza.
L'esplorazione non poteva procedere con le
barchas usate da Eanes: cominciarono perciò a essere uti lizzate le caravelle, navi agili e di scarso pescaggio, lunghe una ventina di metri e attrezzate con vele latine (cioè di forma triangolare), che furono le protagoniste dell'era delle scoperte.
Caravella con vele latine
Con queste navi divenne possibile la cosiddetta volta do mar, il vero «segreto» dei portoghesi: una nave che fosse arrivata oltre capo Bojador, spin ta dai venti alisei dominanti in quella zona, non doveva cercare di torna re in Portogallo secondo una rotta diretta, ma doveva dirigersi su una rotta nord-ovest in pieno oceano Atlantico, fin quando non avesse incontrato, a latitudini più elevate, i venti dominanti che soffiano da ovest, e da questi venti si sarebbe fatta portare in patria. Le difficoltà erano soprattutto psicologiche, per la lunga perma nenza in mare aperto senza vedere terra: in realtà si trattava di una tecnica piuttosto sicura dal momento che sfruttava venti costanti e che sul loro percorso le navi potevano sostare in numerose isole (le Canarie, Madera, al limite le Azzorre). La prima testimonianza scritta della volta do mar risale al 1441, ma questa pratica doveva essere applicata già da tempo.
Il primo sfruttamento economico
L'esplorazione della costa continuò, anche se per molti anni non si riuscirono a ottenere significativi guadagni commerciali. In questo frangente si vede l'importanza della guida, anche indiretta, da parte del potere statale: un commerciante «puro», vista l'assenza di un ritorno in termini economici, si sarebbe fermato. I portoghesi invece continuarono. Dal 1441, anche per avere un qualche guadagno, i capita ni portoghesi cominciarono a rapire indigeni africani da rivendere in Europa come schiavi, una prassi che nei secoli successivi sarebbe stata ampliata enormemente. Nel 1442 venne fondata, vicino a capo Bianco, la stazione commerciale di
Arguim; due anni dopo Nuno Tristao arrivò alle foci del Senegal. Lo stesso anno venne avvistato anche Capo Verde, la punta più occidentale della costa africana.
Queste scopette furono importanti perché iniziarono a modifica re il quadro concettuale degli europei, in quanto dimostravano che l'ipotesi di origine classica, secondo cui le zone equatoriali erano inabitabili per il calore, era falsa. Al contrario, non solo si trovavano popolazioni numerose, ma anche una florida vegetazione. Il mondo era più grande di quanto pensassero gli antichi.
L'esplorazione portoghese conobbe una prima sosta tra il 1448 e il 1455, a causa di complesse vicende diplomatiche e di una crisi politica interna. Quando riprese, con il mercante veneziano Alvise di Ca' da Mosto, vennero subito scoperte le Isole di Capo Verde.
Il principe
Henrique morì nel 1460 e fino al 1469 non ci furono ulteriori viaggi di scoperta. Quell'anno il re Alfonso riprese l'esplorazione africana con una strategia del tutto nuova: diede l'appalto a un commerciante portoghese, Fernão Gomes, che si impegnava a esplorare con le sue caravelle 100 leghe (circa 600 km) all'anno di costa per cin que anni, ricevendo in cambio il diritto di sfruttare economicamente le sue scoperte. Fu fortunato. Quasi subito le sue navi raggiunsero le coste delle attuali Liberia e Costa d'Avorio, dove cresce una varietà di pepe (la malagueta) meno pregiata di quella orientale, ma pur sempte commerciabile con profitto. La costa africana in quella regione punta decisamente verso est, ma non abbiamo documenti che testimonino dell'intenzione portoghese a raggiungere le Indie: al massimo esisteva un vago progetto politico per cercare un collegamento ed eventual mente un'alleanza con il mitico
Prete Gianni, un sovrano cristiano che la tradizione diceva trovarsi da qualche parte in Africa. Le cara velle di Gomes raggiunsero poi l'attuale Ghana, dove veniva ricavato oro alluvionale, e si spinsero negli anni seguenti fino all'equatore, occupando le fertili isole di
Fermando Po, Principe e Sao Tome.

Miniatura del Prete Gianni, dall'Atlante della Regina Mary, British Museum (da Wikipedia)
Il consolidamento delle conquiste
Al suo scadere il contratto non venne più rinnovato, e i sovrani portoghesi si concentrarono sullo sfruttamento e la difesa delle regio ni scoperte. Il regno lusitano infatti dovette affrontare una lunga guerra con la Castiglia, le cui navi tentavano operazioni di contrab bando sulle coste africane: i portoghesi, nonostante la loro inferiorità in terraferma, vinsero sul mare e con l'importante
Trattato di Alcaçovas del 1479, pur cedendo le Canarie alla Spagna, ottennero che le acque a sud del 26° di latitudine fossero di loro pertinenza. Questo Trattato, come vedremo, ebbe importanti conseguenze sul prosieguo delle esplorazioni atlantiche.
Libero finalmente dalle preoccupazioni sul fronte castigliano, il sovrano portoghese Giovanni II fece costruire nel 1481 il forte di
São Jorge de Mina, in Ghana, per la protezione del traffico d'oro da quel la regione. Tra la fine del xiv secolo e i primi vent'anni del XV le cara velle (alla fine del Quattrocento queste navi effettuavano da dodici a quindici viaggi all'anno) trasportarono in Portogallo 700 kg d'oro all'anno, cui vanno aggiunti gli schiavi (circa 500), il pepe e l'avorio (da queste cifre resta escluso il contrabbando, di cui non si conosce l'entità). Si trattava quindi di un commercio ricco e florido, che andava protetto con cura. Il forte di El Mina venne prefabbricato a Lisbona, smontato, caricato sulle caravelle e ricostruito in Africa: esso inoltre rappresentò un modello per Colombo, che visitò il forte e ne costruì uno analogo sulle coste di un'isola caraibica.
Si chiudeva così, con l'occupazione di numerosi punti strategici sulla costa dell'Africa occidentale, la prima fase delle esplorazioni portoghesi.