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I caratteri delle esplorazioni europee


Testo

Il periodo storico che va sotto il nome di «età delle scoperte» e che si estende approssimativamente tra la prima metà del Quattrocento e la seconda metà del Cinquecento costituisce uno dei periodi sto­rici più importanti per la comprensione del mondo attuale. Quello che avviene è infatti un «evento epocale», così gravido di conse­guenze da essere decisivo per tutta la storia del nostro pianeta. Per la prima volta, culture che avevano vissuto «storie parallele» senza contatti reciproci o con contatti estremamente superficiali si incon­trano in modo profondo e duraturo: il mondo umano si avvia a di­ventare qualcosa di unitario e non più diviso.

Noi viviamo tuttora in una situazione condizionata e anzi mo­dellata dal modo in cui questo evento si è realizzato: una regione re­lativamente povera e frammentata politicamente come era l'Europa di quel tempo, ha preso l'iniziativa e ha stabilito contatti via mare con quasi tutte le altre regioni del pianeta, con le quali aveva avuto fino a quel momento rapporti estremamente saltuari o non ne ave­va avuti affatto. Non solo: nel giro di breve tempo alcune di queste regioni (come l'America centrale e meridionale) sono state sottopo­ste all'egemonia europea attraverso l'occupazione fisica del loro ter­ritorio e la distruzione dei regimi politici prima esistenti, mentre in altre regioni (quelle dell'India e dell'Indonesia) gli europei, non avendo ancora la forza per imporsi alle culture indigene, ne hanno monopolizzato i commerci più redditizi. Il quasi completo controllo europeo di queste aree, oltre a quello dell'Afri­ca e dell'Oceania, sarebbe stato raggiunto nell'arco dei tre secoli successivi.

Due quindi sono gli aspetti decisivi di questa vicenda: il processo di esplorazione e di espansione è stato unilaterale (nel senso che è stato ge­stito esclusivamente dagli europei) e si è svolto attraverso gli oceani. Il mare, e non la terra, si è rivelato il fattore di unificazione dell'umanità. Capire come e perché sia avvenuto questo fatto decisivo equivale a capi­re come e perché sia avvenuta l'esplorazione europea degli oceani.

 

Le ragioni dell'espansione europea

Le ragioni dell'espansione occidentale sono molteplici e comples­se.

Se noi ci allontaniamo dalla consueta percezione «eurocentrica» e consideriamo la situazione del nostro continente non in se stessa, ma in relazione a quella degli altri grandi centri economico-politico-culturali del pianeta (la Cina, il subcontinente indiano, la grande area musulmana), non possiamo non notarne la posizione periferi­ca e subalterna.

L'Europa del Medioevo si presenta come una re­gione piuttosto piccola in termini puramente geografici, isolata al­l'estremo Occidente dalla massa di terre emerse rappresentate dall'Eurasia e dall'Africa, relativamente povera sul piano econo­mico, debole su quello politico, arretrata su quello tecnologico-scientifìco. Certamente le condizioni generali di vita degli europei erano nettamente migliorate rispetto ai secoli precedenti, ma l'eco­nomia complessiva del continente rimaneva fragile: i raccolti erano esposti ai rischi delle siccità e delle alluvioni (non esisteva nulla di simile alle complesse opere di irrigazione del mondo cinese o ara­bo), le comunicazioni erano difficili (le strade dell'Impero romano erano ormai inservibili per secolare mancanza di manutenzione), la quantità di moneta circolante e di credito disponibile era ancora re­lativamente scarsa. La stragrande maggioranza della popolazione vi­veva nelle campagne e il surplus di derrate alimentari che produce­va era a stento sufficiente per alimentare gli abitanti delle città e il loro commercio. La frammentazione politica di origine feudale, poi, portava a uno stato di guerra endemica che dissipava inutil­mente le risorse disponibili. Dopo la grande rivoluzione agraria del Mille, infine, non si erano verifìcate innovazioni tecnologiche real­mente significative: le fonti di energia rimanevano quelle tradizio­nali (animali, vento, acqua), le rese dei campi non crescevano in modo apprezzabile e duraturo, gli strumenti dei campi e dei lavori artigianali rimanevano quelli abituali.

Complessivamente, quindi, esisteva una situazione di inferiorità nei confronti dell'Oriente, che gli europei immaginavano come un luogo di ricchezze incredibili, in cui l'oro, l'argento, le spezie ab­bondavano, e in cui trovavano incarnazione tutti i loro più profon­di desideri inconsci.

Proprio per questa asimmetria, reale e psicologica, è stato l'Occiden­te ad aspirare a raggiungere l'Oriente, e non viceversa. I cinesi e gli in­diani non potevano avere alcun obiettivo da raggiungere in Occidente, dal momento che la loro civiltà era complessivamente più evoluta e raf­finata, mentre la semplice curiosità scientifica non sarebbe stata certa­mente sufficiente a sostenere un'impresa così complessa (come non lo sarebbe stata per gli occidentali). Nel Medioevo i collegamenti tra i due mondi erano stati tenuti attraverso quelle esili vie di comunicazione che erano le carovaniere che attraversavano la cintura dei deserti caldi (in Medio Oriente) e freddi (nella Russia meridionale) che isolano l'Euro­pa dall'Asia. In questa fase erano stati i singoli mercanti o viaggiatori a spostarsi, come i Polo o Giovanni da Pian del Carpine, senza un piano organico. Le informazioni che venivano ottenute erano interessanti, ma incomplete: per realizzare le grandi scoperte non bastava­no le iniziative dei singoli, c'era bisogno di altri protagonisti.

Questi nuovi protagonisti si sono identificati negli Stati naziona­li, che a partire dall'inizio del XIV secolo si stavano imponendo sulle nobiltà locali. Il processo di centralizzazione e di burocratizzazione dello Stato aveva un costo elevato, dovuto sia alle nuove esigenze del­la corte sia alla necessità di mantenere eserciti sempre più numerosi.
I monarchi europei erano perciò alla perenne ricerca di nuove risor­se economiche, sia all'interno dei confini dei loro regni sia all'ester­no. Per questo, anche se inizialmente non disponevano delle risorse per organizzare in proprio i viaggi di scoperta, si dimostrarono for­midabili sponsor, capaci di coordinare gli sforzi dei singoli esplorato­ri, di offrire titoli e concessioni governative come incentivi econo­mici, di garantire soprattutto la continuità dello sforzo esplorativo.
Questo non significa che gli Stati nazionali siano sta­ti gli unici artefici delle esplorazioni: al contrario, essi non dispo­nevano ancora di forze sufficienti per agire in proprio e dovettero affidarsi a marinai della più svariata provenienza (il veneziano Ca' da Mosto lavorava per il Portogallo, il genovese Colombo e il fiorentino Vespucci per la Spagna, come il portoghese Magellano, mentre per l'Inghilterra navigavano i Caboto, originari di Gaeta).
Dal punto di vista dei navigatori, l'esplorazione fu una questione europea, cui parte­ciparono marinai di tutto il continente.

Perché le energie suscitate dal desiderio delle ricchezze orientali e incanalate dalla organizzazione statale potessero effettivamente di­spiegarsi occorreva, però, ancora che gli europei riuscissero a supe­rare un blocco psicologico che spesso li aveva trattenuti durante il Medioevo: l'antitesi e la contrapposizione tra economia e religione, affari e fede, guadagno e salvezza. Un esempio concreto delle con­seguenze cui poteva portare questa contrapposizione si ha nella fase iniziale delle esplorazioni portoghesi nel XV secolo, in cui i sovrani lusitani sembravano esitare tra l'esplorazione delle coste africane e lo slancio contro le città musulmane del Marocco settentrionale, e al­ternarono iniziative in un senso e nell'altro: dal momento che i mu­sulmani resistettero energicamente agli attacchi portoghesi, l'unico risultato della indecisione dei re lusitani fu quello di ritardare sensi­bilmente l'espansione lungo le coste africane.

Nel corso del Quattrocento avvenne la trasformazione culturale de­cisiva: gli europei si convinsero, a torto o a ragione, che la ricerca del­l'oro e delle spezie poteva essere conciliata con le fede cristiana, sia per­ché forniva nuove risorse per la «crociata» (intesa qui genericamente come «guerra santa» contro i musulmani), sia perché offriva l'occasio­ne per convertire nuove popolazioni al cristianesimo. Lo stesso Cristoforo Colombo, simbolo anche sotto questo profilo di un intero mondo culturale, teorizzava che i guadagni ricavati dalle sue scoperte sarebbero dovuti servire a realizzare una crociata per la liberazione del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

 

La dimensione tecnologica

Tutti questi elementi (desiderio di ricchezza, affermazione degli Stati nazionali, risoluzione del conflitto ricchezza-fede), tuttavia, sa­rebbero stati insufficienti senza una serie di innovazioni sul piano tecnologico, riguardanti sia le navi sia gli strumenti di navigazione.

In Europa esistevano due distinte tradizioni nautiche, una medi­terranea e una nordica, che si distinguevano sia per le diverse carat­teristiche costruttive delle navi sia per le differenti tecniche di navi­gazione. A partire dal XIV secolo, dopo qualche contatto ai tempi delle crociate, queste due tradizioni cominciarono a fondersi in una tradizione nuova, autenticamente «atlantica», che riassumeva in sé le caratteristiche migliori delle altre due. Ad esempio, le nuove navi (come le caravelle o le caracche) venivano costruite partendo dall'os­satura, come quelle mediterranee, e non dal fasciame, come invece quelle nordiche: tuttavia avevano il timone centrale fissato al dritto di poppa, come le navi del nord Europa. Lo stesso processo di fusione avvenne con le tecniche di navigazione: i marinai che compirono le esplorazioni, ad esempio, erano in grado di leggere le carte nautiche, come i loro colleghi del Mediterraneo, ma anche di usare lo scandaglio come i marinai delle coste inglesi e fiammin­ghe.

Su queste navi, infine, ven­nero imbarcati i cannoni, che le trasformarono in formida­bili strumenti bellici. Fino a questo momento le battaglie navali erano state nient'altro che scontri di fanteria trasferi­ti sul mare: le navi si avvicina­vano fino ad abbordarsi, e i soldati imbarcati cercavano di catturare la nave nemica com­battendo con archi, balestre, lance e spade. La presenza del­l'artiglieria mutò questo mo­do di combattere, favorendo gli scontri a distanza: anche una nave mercantile, se dotata di pochi cannoni, poteva diventare un avversario troppo difficile da affrontare. Pure i musulmani adottaro­no l'artiglieria a bordo delle proprie navi, ma scelsero delle soluzioni tecniche diverse da quelle occidentali: mentre gli europei puntavano su cannoni relativamente piccoli ed economici, ma robusti ed effica­ci, i musulmani si lasciarono affascinare dalle grandi dimensioni, co­struendo cannoni grandissimi, ma alla prova dei fatti non adatti al combattimento in mare.

Così nel corso del Quattrocento gli europei realizzarono navi in grado sia di compiere lunghi viaggi di esplorazione, sia di imporsi nei mari che venivano raggiunti, mentre contemporaneamente affi­navano le conoscenze nautiche, cartografìche e astronomiche che resero possibili le lunghe navigazioni oceaniche.

Proprio le carte nautiche rappresentano un interessante e impor­tante capitolo della storia delle esplorazioni. Senza lo sviluppo di una cartografia adeguata, infatti, le esplorazioni non sarebbero mai potu­te avvenire. La costruzione di una carta geografica, tuttavia, non è mai un'operazione neutra, in quanto dipende sempre da una particolare concezione dello spazio geografico. La storia dell'età delle esplorazio­ni ci permette perciò anche di seguire la storia del mutamento della concezione dello spazio che avevano gli europei.

La cartografia medievale conosceva tre tipi di carte:

• i «mappamondi» (mappae mundi) che rappresentano sia la terra nella sua totalità, sia solo l'ecumene (ossia la totalità del mondo ritenuto abitato);

• le carte regionali (di cui non parleremo in questa sede);

• le carte marittime.

 

I «mappamondi» risalivano probabilmente all'archetipo del mona­co spagnolo Beato de Llebana (vili secolo), che rappresentava il mo­dello per le cosiddette carte TO (Terrarum Orbis). Questo tipo di car­ta, di origine classica, rappresentava la sola ecumene, sotto la forma di un disco diviso a T da due assi: quello verticale indicava il Mediterra­neo, quello orizzontale i fiumi Nilo e Tanai (vale a dire il Don, che si supponeva essere il prolungamento del primo).

Questo schema rispondeva a una interpretazione teologico-antropologica dello spazio: all'interno dello spazio abitato, concepito come circolare e perciò per-fectus, completo, stava la Croce cristiana, simbolo della redenzione. Al centro era collocata Gerusalemme, luo­go d'inizio della storia della salvezza. Il vero scopo di questi mappa­mondi non era di aiutare a orientarsi sulla terra e sul mare fisici, ma facilitare la meditazione sul significato della vita umana. Il significato dello spazio che viene presentato è quindi essenzialmente simbolico.

Spetta alle città marinare italiane il merito di aver compiuto la ri­voluzione nel modo di concepire lo spazio, con la realizzazione delle prime autentiche carte nautiche. Il più antico documento di questo tipo giunto fino a noi è la cosiddetta Carta Pisana, databile al 1275 circa, che descrive con grande precisione le coste del Mediterraneo e del mar Nero, con uno schizzo delle coste atlantiche fino all'Inghil­terra. Non c'è più alcun misticismo: la carta riporta essenzialmente informazioni utili al navigante, come il nome dei porti, gli scogli e le secche (indicate con puntini rossi o crocette), le rotte. Con questo tipo di documenti appare nella cultura e nella civiltà occidentale qual­cosa di assolutamente nuovo, che riassume in sé una nuova percezio­ne della realtà. Lo spazio non è più descritto in modo simbolico, ma geometrico. L'atteggiamento nei confronti della natura non è più di contemplazione, ma di dominio: il mare è una via di comunicazione che va usata.

Tuttavia queste carte non erano esenti da difetti. La Carta Pisana, come tutte le carte medievali e rinascimentali, era una carta piana, cioè una carta che non teneva conto delle deformazioni che si hanno quan­do si cerca di trasferire una superficie sferica su un piano. Tali defor­mazioni, per un caso fortunato, risultavano comunque modeste nelle carte medievali realizzate in Italia e in Spagna: esse infatti sono in fun­zione della latitudine mentre il Mediterraneo si estende soprattutto in longitudine. Inoltre queste carte con ogni probabilità vennero realiz­zate, almeno all'inizio, unendo insieme carte precedenti che riprodu-cevano bacini locali come l'Adriatico o il Tirreno e in cui gli errori di distorsione erano minori. Quando però gli esploratori cominciarono a percorrere rotte lunghe molte migliaia di chilometri e soprattutto orientate in senso nord-sud (come avvenne quando i portoghesi cir­cumnavigarono l'Africa o Magellano aggirò il Sud America), il pro­blema della distorsione delle carte geografiche divenne realmente gra­ve: errori minimi si trasformavano in deviazioni dell'ordine di centinaia di chilometri. Nel corso del XIV e di quasi tutto il XV seco­lo il problema era destinato a rimanere senza soluzione, perché man­cavano gli strumenti matematici necessari per costruire carte nautiche adeguate. Solo alla fine del Cinquecento sarebbe stata realizzata la prima carta nautica del Nord Atlantico sfruttando il principio sco­perto dal cosmografo olandese Mercatore per poter disegnare carte cosiddette «isogoniche», cioè in grado di riprodurre su una superficie piana gli angoli reali esistenti sulla superficie sferica della Terra.

Quando apparvero queste carte, però, il grosso delle esplorazioni era già stato compiuto da tempo e il corso della storia si era ormai avviato in una direzione ben precisa.

Presentazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mappa concettuale

Le esplorazioni europee

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Link esterni

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Cadamosto
Spedizioni portoghesi
Rivoluzione nautica (testo del Lane)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note sulla pagina

Autore: Martino Sacchi
Numero battute: 15.776
Data di pubblicazione: 4 novembre 2010
Fonti: Il testo riproduce con poche variazioni il primo capitolo di: Martino Sacchi, Viaggi ed esplorazioni geografiche. XV e XVI secolo. Dai primi viaggiatori portoghesi alle rivoluzionarie scoperte di Colombo e Vespucci. La Nuova Italia, Firenze 1999, pag 126
Per citare questa pagina: https://www.ariannascuola.eu/joomla/storia/dinamiche-e-problemi/le-esplorazioni-europee/caratteri-generali.html

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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