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Emanuele Severino interpreta la filosofia moderna

Emanuele Severino, Istituzioni di filosofia, Morcelliana 2010, pp. 23-26.

Questo interessante testo sulla storia della filosofia moderna viene presentato prima in forma integrale e poi con alcuni commenti.

 

Testo

Sin dal tempo di Galileo e di Cartesio, la fisica si è convinta che la natura, in quanto esiste indipendentemente dall'uomo, abbia una conformazione quantitativa. Gli uomini vanno d'accordo tra di loro quando devono stabilire dei rapporti quantitativi (ad esempio la misura della lunghezza e della larghezza di una superficie), non quando debbono stabilire una qualità. E difficile che due si mettano d'accordo sull'esatta sfumatura di un colore, mentre si metteranno rapidamente d'accordo sulla lunghezza di un mattone. La sfumatura del colore resta un evento privato strettamente legato alla conformazione fisiologica o psico-fisica di ognuno di noi. Ma ciò che è 'privato' esiste soltanto in un individuo e non negli altri: ciò che è privato non ha un'esistenza esterna alla mente, alla quale esistenza esterna ogni mente umana possa riferirsi. Ne viene che gli aspetti qualitativi delle cose tendono ad essere coinvolti nella conformazione 'privata' del nostro modo di sentire; e pertanto gli aspetti qualitativi non possono, come tali, avere un'esistenza indipendente dall'uomo. A differenza degli aspetti quantitativi, che hanno la caratteristica di essere pubblici, ossia di porsi come termine di accordo nel modo umano di giudicare; sì che di essi si deve a ragione pensare che costituiscono l'essenza della natura esterna. La fisica moderna ha potentemente contribuito alla costituzione di questa duplice sequenza: 1) ciò che è qualitativo è termine di disaccordo, cioè è privato, soggettivo, e quindi non ha esistenza indipendente dall'uomo; 2) ciò che è quantitativo è termine di accordo, e cioè è pubblico, non soggettivo, e quindi ha esistenza indipendente dall'uomo. Gli aspetti quantitativi sono stati chiamati 'qualità primarie' ('primarie', proprio perché hanno un'esistenza indipendente). Qualità primarie sono la forma geometrica, l'ubicazione, il movimento, le misure dei corpi, etc. Gli aspetti qualitativi del mondo sono stati chiamati 'qualità secondarie' ('secondarie', proprio perché hanno esistenza solo nell'ambito della percezione umana). Qualità secondarie sono i colori, i suoni, gli odori, etc. Tutto ciò vuol dire che già per la fisica classica (ossia la fisica galileano-cartesiana), questo variopinto mondo sensibile che ci sta davanti - e che è fatto di colori, suoni, odori etc. - esiste solo in quanto esiste l'uomo. Per il senso comune, il mondo dei colori e dei suoni esisterebbe anche se non esistesse l'uomo; e anzi è già esistito prima dell'uomo, e continuerà ad esistere anche dopo la scomparsa dell'uomo.
Per la fisica moderna, questo mondo di colori e di suoni, esiste invece solo in quanto esiste l'uomo percipiente. Indipendentemente dall'uomo, un suono è la vibrazione di un mezzo, e cioè è una struttura quantitativa. Oggi la fisica distingue i vari colori, non in base a un criterio qualitativo, ma quantitativo: i colori differenti sono vibrazioni elettromagnetiche aventi una diversa lunghezza d'onda. Ma l'atteggiamento della filosofia moderna è più radicale dell'atteggiamento della fisica moderna. La fisica moderna nonostante l'introduzione dell'immagine, intesa come contenuto soggettivo-qualitativo, resta ancora legata alla concezione ingenuamente realistica. Ossia è ancora un modo secondo cui si realizza l'identità di certezza e verità. È sì consapevole della soggettività degli aspetti qualitativi dell'esperienza, ma continua a restare convinta della capacità della mente umana di cogliere la realtà vera e propria, che sta al di là delle apparenze. Questa fiducia nella capacità del pensiero di cogliere la realtà esterna è propria del realismo. Il punto di partenza del realismo è la convinzione che il pensiero pensa l'essere, così come esso è. La fisica moderna è persuasa che la natura esterna è colta da quella forma specifica del pensare, che è il pensiero fisico-matematico: per la fisica moderna , non ogni forma di conoscenza coglie la realtà esterna (e, in questa limitazione, si differenzia certamente dal senso comune e dalla concezione realistica originaria), ma esiste tuttavia una forma di conoscenza - quella fisico-matematica › che coglie la struttura della realtà esterna. La natura è scritta in caratteri matematici, dice Galileo. Ciò vuole dire che il pensiero matematico coglie l''essenza' della realtà esterna. La filosofia moderna va invece alla radice del problema, e mette in questione anche la conoscenza fisico-matematica: anche gli oggetti fisico-matematici sono dei pensati - ossia delle nostre rappresentazioni- e quindi non possiamo essere immediatamente certi della loro esistenza nell'ambito della realtà esterna.
[...]
Noi tutti, dal punto di vista del senso comune, siamo convinti dell'esistenza della realtà esterna, siamo cioè convinti che le cose esistano indipendentemente dalla coscienza che ne abbiamo. Questa convinzione del senso comune è anche la convinzione della concezione realistica. Ed è anche la convinzione della fisica moderna. Ma, si badi, questa è anche la convinzione della filosofia moderna. Senso comune, realismo e scienza moderna sono convinti che le cose esistano indipendentemente dalle nostre coscienze. La filosofia moderna non mette in discussione questa convinzione: mette in discussione la corrispondenza tra le nostre rappresentazioni e la realtà esterna. Ciò che per il realismo e il senso comune è-la realtà esterna, per la filosofia moderna è idea, rappresentazione; ma anche per la filosofia moderna è fuori discussione che la realtà vera e propria esiste indipendentemente da noi: tanto che, proprio attraverso il rilevamento che questo mondo in cui viviamo è nostra rappresentazione, la filosofia moderna afferma che la realtà esterna non è immediatamente percepita. Nella storia della filosofia moderna, fino a Kant compreso, andrà variando la determinazione della realtà esterna: ossia la realtà esterna è per Cartesio qualcosa di diverso. da ciò che essa è per Locke, per Leibniz, per Kant; ma per tutti è fuori discussione l'esistenza della realtà esterna. Questa esistenza viene essa stessa coinvolta nella problematizzazione solo con l'idealismo, ossia col superamento dell'opposizione di certezza e verità. Si verificherà qui una sorta di ritorno al primo momento (ossia al momento dell'identità di certezza e verità) che già Hegel sottolineava, e che dovrà essere attentamente studiata.

16. Razionalismo e empirismo
a) La filosofia moderna ha in comune con la filosofia tradizionale anche il concetto della recettività o passività del soggetto rispetto alla realtà esterna. Non solo la realtà vera e propria è esterna alla mente, ma è anche attiva sulla struttura percipiente dell'uomo. Già Aristotele aveva posto la realtà sensibile come motore (causa agente) delle nostre sensazioni. Quando, ad esempio, percepiamo un colore, o un suono, i nostri organi di senso sono passivi o recettivi rispetto ad una attività esercitata dalla realtà esterna. Anche gli esempi dell'ottica e dell'acustica, e cioè anche il modo in cui la scienza moderna spiega il prodursi di una sensazione, confermano questa passività del soggetto rispetto alla realtà esterna.
La passività propria della sensibilità umana: noi non siamo liberi di sentire o di non sentire o di sentire diversamente un certo contenuto sensibile (ad esempio un suono); siamo invece liberi di pensare o di non pensare, o di pensare diversamente un certo contenuto intelligibile. ll contenuto sensibile mi si impone; e mi si impone proprio perché è l'effetto dell'azione della realtà esterna sui miei organi di senso.
Ma l'aspetto sensibile dell'esperienza ha insieme un carattere rivelativo e un carattere occultante. E rivelativo, perché la sensazione, come effetto di una causa esterna, rivela in qualche modo la causa. L' effetto, come tale, è un modo di mostrarsi della causa (noi diciamo, ad esempio, che l'albero si giudica dal frutto). Ma la sensazione è anche occultante la realtà esterna: se non altro, perché l'effetto non è la causa (anche se la rivela). La sensazione, come effetto della realtà esterna, proprio perché effetto, è un velo che nasconde l'autentica conformazione della causa. (Anche la coscienza religiosa vede nel mondo una rivelazione di Dio; ma vi vede anche un nascondimento di Dio).
b) Il razionalismo ha sottolineato il carattere occultante della sensazione; l'empirismo ha sottolineato il carattere rivelativo della sensazione. Approfondendo questo giro di concetti, ci si presenta anche l'occasione di penetrare più a fondo il significato di certe espressioni comuni, che vengono spesso lasciate in superficie. Si dice che «il razionalismo basa il sapere sulla ragione», e che «l'empirismo basa il sapere sull'esperienza››. Innanzitutto, che cosa significa qui 'sapere'? Sulla scorta di quanto si è detto sin qui, 'sapere' è appunto il conoscere, che è stato problematizzato dalla filosofia moderna: il 'sapere' che ha bisogno di una 'base' o di un fondamento (e la ragione e l'esperienza vogliono essere un siffatto fondamento) è appunto la conoscenza della realtà esterna, la conoscenza che non è semplice certezza delle nostre rappresentazioni, ma che ha verità, ossia coglie la struttura autentica della realtà esterna.
Il sapere è ciò che si porta al di là delle nostre rappresentazioni; o anche: è le nostre rappresentazioni in quanto colgono la realtà esterna. Che cosa vuole dire, allora, che per il razionalismo la base del sapere è la ragione? Possiamo rispondere a questa domanda servendoci della distinzione, qui sopra indicata, tra funzione rivelativa e funzione occultante della sensibilità. Il razionalismo ha coscienza del carattere occultante della sensibilità. Per conoscere ciò che sta al di là delle nostre rappresentazioni sensibili- questo è il pensiero specifico del razionalismo - noi non potremo e non dovremo basarci sulle nostre rappresentazioni sensibili. Per conoscere ciò che è al di là dell'esperienza, non potremo e non dovremo basarci sull'esperienza. La costruzione del 'sapere' dovrà allora avvenire sulla base di princìpi non attinti dall'esperienza. Come tali, questi princìpi sono detti 'a priori', o 'innati'.
Contrariamente a quanto può sembrare, la conoscenza 'a priori' non è una conoscenza che volti le spalle alla realtà e se ne stia chiusa in sé ad elaborare un suo proprio contenuto. All'opposto: per il razionalismo, la conoscenza 'a priori', o 'innata', è la parabola (il 'ponte') che scavalca l'esperienza - ossia scavalca la dimensione occultante e porta a contatto con la realtà esterna. La metafisica razionalistica è appunto questa parabola, ossia questo oltrepassamento delle nostre rappresentazioni sensibili.
Nella filosofia tradizionale, la metafisica è un portarsi 'al di là' (metà) 'delle cose fisiche' (ta physikà). Le cose fisiche sono gli enti divenienti. La metafisica li oltrepassa, nel senso che, dapprima, si domanda se esistono altri enti oltre gli enti divenienti, e poi dimostra l'esistenza dell'immutabile al di là dell'ente diveniente. Nella filosofia moderna, la metafisica è un oltrepassamento, un trascendimento di diverso significato: non si tratta di andare da un certo tipo di realtà (la realtà diveniente) a un cert'altro tipo di realtà (la realtà immutabile), ma si tratta di andare dalle nostre rappresentazioni alla realtà. In terminologia cartesiana: per la metafisica antica l'oltrepassamento va dalla realtà formale e arriva alla realtà formale (anche se le due realtà sono diverse); per la metafisica razionalistica, l'oltrepassamento va dalla realtà oggettiva alla realtà formale: dall'idea alla realtà esterna. La metafisica, qui, è la stessa parabola compiuta dal sapere che si fonda su princìpi 'a priori', o 'innati'.
Riassumendo, il problema è: «Come andare al di là delle nostre rappresentazioni?››. Poiché, nelle nostre rappresentazioni, l'aspetto sensibile è, per il razionalismo, l'elemento occultante (ossia è il responsabile della differenza tra rappresentazione e realtà esterna), ne viene che l'oltrepassamento della mera certezza, ossia l'oltrepassamento della situazione in cui le nostre rappresentazioni sono sì certe, ma non ancora 'vere' (è la situazione del 'cogito'), potrà avvenire solo in quanto non ci si basi (ossia non si assumano come vere) sulle nostre rappresentazioni sensibili, ma solo in quanto ci si basi su princìpi 'a priori' non attinti cioè dall'esperienza, e quindi immuni dal suo carattere occultante. La storia del razionalismo è la storia dei tentativi di costruire la parabola metafisica che vada dalle nostre rappresentazioni alla realtà esterna. Mentre nella filosofia tradizionale la metafisica determina la verità che il pensiero sin dal principio possiede (ossia determina la verità che si ritiene sia originariamente posseduta dal pensiero), nella storia del razionalismo, la metafisica ha invece il compito di condurre a quell'unificazione di certezza e verità, che è il punto di partenza del modo tradizionale di pensare. Il punto di partenza diventa il punto di arrivo: la metafisica razionalistica diventa lo strumento, mediante il quale viene risolto il problema del valore del pensiero. Il risolvimento del problema metafisico è il fondamento del risolvimento del problema gnoseologico.

 

Testo commentato

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Sin dal tempo di Galileo e di Cartesio, la fisica si è convinta che la natura, in quanto esiste indipendentemente dall'uomo, abbia una conformazione quantitativa. Gli uomini vanno d'accordo tra di loro quando devono stabilire dei rapporti quantitativi (ad esempio la misura della lunghezza e della larghezza di una superficie), non quando debbono stabilire una qualità. E difficile che due si mettano d'accordo sull'esatta sfumatura di un colore, mentre si metteranno rapidamente d'accordo sulla lunghezza di un mattone.

La sfumatura del colore resta un evento privato strettamente legato alla conformazione fisiologica o psico-fisica di ognuno di noi. Ma ciò che è 'privato' esiste soltanto in un individuo e non negli altri: ciò che è privato non ha un'esistenza esterna alla mente, alla quale esistenza esterna ogni mente umana possa riferirsi. Ne viene che gli aspetti qualitativi delle cose tendono ad essere coinvolti nella conformazione 'privata' del nostro modo di sentire; e pertanto gli aspetti qualitativi non possono, come tali, avere un'esistenza indipendente dall'uomo. A differenza degli aspetti quantitativi, che hanno la caratteristica di essere pubblici, ossia di porsi come termine di accordo nel modo umano di giudicare; sì che di essi si deve a ragione pensare che costituiscono l'essenza della natura esterna.

La fisica moderna ha potentemente contribuito alla costituzione di questa duplice sequenza:

1) ciò che è qualitativo è termine di disaccordo, cioè è privato, soggettivo, e quindi non ha esistenza indipendente dall'uomo;

2) ciò che è quantitativo è termine di accordo, e cioè è pubblico, non soggettivo, e quindi ha esistenza indipendente dall'uomo.

Gli aspetti quantitativi sono stati chiamati 'qualità primarie' ('primarie', proprio perché hanno un'esistenza indipendente). Qualità primarie sono la forma geometrica, l'ubicazione, il movimento, le misure dei corpi, etc.

Gli aspetti qualitativi del mondo sono stati chiamati 'qualità secondarie' ('secondarie', proprio perché hanno esistenza solo nell'ambito della percezione umana). Qualità secondarie sono i colori, i suoni, gli odori, etc.

Tutto ciò vuol dire che già per la fisica classica (ossia la fisica galileano-cartesiana), questo variopinto mondo sensibile che ci sta davanti - e che è fatto di colori, suoni, odori etc. - esiste solo in quanto esiste l'uomo.

Per il senso comune, il mondo dei colori e dei suoni esisterebbe anche se non esistesse l'uomo; e anzi è già esistito prima dell'uomo, e continuerà ad esistere anche dopo la scomparsa dell'uomo.

Per la fisica moderna, questo mondo di colori e di suoni, esiste invece solo in quanto esiste l'uomo percipiente. Indipendentemente dall'uomo, un suono è la vibrazione di un mezzo, e cioè è una struttura quantitativa. Oggi la fisica distingue i vari colori, non in base a un criterio qualitativo, ma quantitativo: i colori differenti sono vibrazioni elettromagnetiche aventi una diversa lunghezza d'onda.

Ma l'atteggiamento della filosofia moderna è più radicale dell'atteggiamento della fisica moderna. La fisica moderna nonostante l'introduzione dell'immagine, intesa come contenuto soggettivo-qualitativo, resta ancora legata alla concezione ingenuamente realistica. Ossia è ancora un modo secondo cui si realizza l'identità di certezza e verità. È sì consapevole della soggettività degli aspetti qualitativi dell'esperienza, ma continua a restare convinta della capacità della mente umana di cogliere la realtà vera e propria, che sta al di là delle apparenze. Questa fiducia nella capacità del pensiero di cogliere la realtà esterna è propria del realismo.

Il punto di partenza del realismo è la convinzione che il pensiero pensa l'essere, così come esso è. La fisica moderna è persuasa che la natura esterna è colta da quella forma specifica del pensare, che è il pensiero fisico-matematico: per la fisica moderna , non ogni forma di conoscenza coglie la realtà esterna (e, in questa limitazione, si differenzia certamente dal senso comune e dalla concezione realistica originaria), ma esiste tuttavia una forma di conoscenza - quella fisico-matematica › che coglie la struttura della realtà esterna. La natura è scritta in caratteri matematici, dice Galileo. Ciò vuole dire che il pensiero matematico coglie l''essenza' della realtà esterna. La filosofia moderna va invece alla radice del problema, e mette in questione anche la conoscenza fisico-matematica: anche gli oggetti fisico-matematici sono dei pensati - ossia delle nostre rappresentazioni- e quindi non possiamo essere immediatamente certi della loro esistenza nell'ambito della realtà esterna.

[...]
Noi tutti, dal punto di vista del senso comune, siamo convinti dell'esistenza della realtà esterna, siamo cioè convinti che le cose esistano indipendentemente dalla coscienza che ne abbiamo. Questa convinzione del senso comune è anche la convinzione della concezione realistica. Ed è anche la convinzione della fisica moderna. Ma, si badi, questa è anche la convinzione della filosofia moderna. Senso comune, realismo e scienza moderna sono convinti che le cose esistano indipendentemente dalle nostre coscienze. La filosofia moderna non mette in discussione questa convinzione: mette in discussione la corrispondenza tra le nostre rappresentazioni e la realtà esterna. Ciò che per il realismo e il senso comune è-la realtà esterna, per la filosofia moderna è idea, rappresentazione; ma anche per la filosofia moderna è fuori discussione che la realtà vera e propria esiste indipendentemente da noi: tanto che, proprio attraverso il rilevamento che questo mondo in cui viviamo è nostra rappresentazione, la filosofia moderna afferma che la realtà esterna non è immediatamente percepita. Nella storia della filosofia moderna, fino a Kant compreso, andrà variando la determinazione della realtà esterna: ossia la realtà esterna è per Cartesio qualcosa di diverso. da ciò che essa è per Locke, per Leibniz, per Kant; ma per tutti è fuori discussione l'esistenza della realtà esterna. Questa esistenza viene essa stessa coinvolta nella problematizzazione solo con l'idealismo, ossia col superamento dell'opposizione di certezza e verità. Si verificherà qui una sorta di ritorno al primo momento (ossia al momento dell'identità di certezza e verità) che già Hegel sottolineava, e che dovrà essere attentamente studiata.

16. Razionalismo e empirismo
a) La filosofia moderna ha in comune con la filosofia tradizionale anche il concetto della recettività o passività del soggetto rispetto alla realtà esterna. Non solo la realtà vera e propria è esterna alla mente, ma è anche attiva sulla struttura percipiente dell'uomo. Già Aristotele aveva posto la realtà sensibile come motore (causa agente) delle nostre sensazioni. Quando, ad esempio, percepiamo un colore, o un suono, i nostri organi di senso sono passivi o recettivi rispetto ad una attività esercitata dalla realtà esterna. Anche gli esempi dell'ottica e dell'acustica, e cioè anche il modo in cui la scienza moderna spiega il prodursi di una sensazione, confermano questa passività del soggetto rispetto alla realtà esterna.
La passività propria della sensibilità umana: noi non siamo liberi di sentire o di non sentire o di sentire diversamente un certo contenuto sensibile (ad esempio un suono); siamo invece liberi di pensare o di non pensare, o di pensare diversamente un certo contenuto intelligibile. ll contenuto sensibile mi si impone; e mi si impone proprio perché è l'effetto dell'azione della realtà esterna sui miei organi di senso.


Ma l'aspetto sensibile dell'esperienza ha insieme un carattere rivelativo e un carattere occultante. E rivelativo, perché la sensazione, come effetto di una causa esterna, rivela in qualche modo la causa. L' effetto, come tale, è un modo di mostrarsi della causa (noi diciamo, ad esempio, che l'albero si giudica dal frutto). Ma la sensazione è anche occultante la realtà esterna: se non altro, perché l'effetto non è la causa (anche se la rivela). La sensazione, come effetto della realtà esterna, proprio perché effetto, è un velo che nasconde l'autentica conformazione della causa. (Anche la coscienza religiosa vede nel mondo una rivelazione di Dio; ma vi vede anche un nascondimento di Dio).


b) Il razionalismo ha sottolineato il carattere occultante della sensazione; l'empirismo ha sottolineato il carattere rivelativo della sensazione. Approfondendo questo giro di concetti, ci si presenta anche l'occasione di penetrare più a fondo il significato di certe espressioni comuni, che vengono spesso lasciate in superficie. Si dice che «il razionalismo basa il sapere sulla ragione», e che «l'empirismo basa il sapere sull'esperienza››. Innanzitutto, che cosa significa qui 'sapere'? Sulla scorta di quanto si è detto sin qui, 'sapere' è appunto il conoscere, che è stato problematizzato dalla filosofia moderna: il 'sapere' che ha bisogno di una 'base' o di un fondamento (e la ragione e l'esperienza vogliono essere un siffatto fondamento) è appunto la conoscenza della realtà esterna, la conoscenza che non è semplice certezza delle nostre rappresentazioni, ma che ha verità, ossia coglie la struttura autentica della realtà esterna.
Il sapere è ciò che si porta al di là delle nostre rappresentazioni; o anche: è le nostre rappresentazioni in quanto colgono la realtà esterna. Che cosa vuole dire, allora, che per il razionalismo la base del sapere è la ragione? Possiamo rispondere a questa domanda servendoci della distinzione, qui sopra indicata, tra funzione rivelativa e funzione occultante della sensibilità. Il razionalismo ha coscienza del carattere occultante della sensibilità. Per conoscere ciò che sta al di là delle nostre rappresentazioni sensibili- questo è il pensiero specifico del razionalismo - noi non potremo e non dovremo basarci sulle nostre rappresentazioni sensibili. Per conoscere ciò che è al di là dell'esperienza, non potremo e non dovremo basarci sull'esperienza. La costruzione del 'sapere' dovrà allora avvenire sulla base di princìpi non attinti dall'esperienza. Come tali, questi princìpi sono detti 'a priori', o 'innati'.
Contrariamente a quanto può sembrare, la conoscenza 'a priori' non è una conoscenza che volti le spalle alla realtà e se ne stia chiusa in sé ad elaborare un suo proprio contenuto. All'opposto: per il razionalismo, la conoscenza 'a priori', o 'innata', è la parabola (il 'ponte') che scavalca l'esperienza - ossia scavalca la dimensione occultante e porta a contatto con la realtà esterna. La metafisica razionalistica è appunto questa parabola, ossia questo oltrepassamento delle nostre rappresentazioni sensibili.
Nella filosofia tradizionale, la metafisica è un portarsi 'al di là' (metà) 'delle cose fisiche' (ta physikà). Le cose fisiche sono gli enti divenienti. La metafisica li oltrepassa, nel senso che, dapprima, si domanda se esistono altri enti oltre gli enti divenienti, e poi dimostra l'esistenza dell'immutabile al di là dell'ente diveniente. Nella filosofia moderna, la metafisica è un oltrepassamento, un trascendimento di diverso significato: non si tratta di andare da un certo tipo di realtà (la realtà diveniente) a un cert'altro tipo di realtà (la realtà immutabile), ma si tratta di andare dalle nostre rappresentazioni alla realtà. In terminologia cartesiana: per la metafisica antica l'oltrepassamento va dalla realtà formale e arriva alla realtà formale (anche se le due realtà sono diverse); per la metafisica razionalistica, l'oltrepassamento va dalla realtà oggettiva alla realtà formale: dall'idea alla realtà esterna. La metafisica, qui, è la stessa parabola compiuta dal sapere che si fonda su princìpi 'a priori', o 'innati'.
Riassumendo, il problema è: «Come andare al di là delle nostre rappresentazioni?››. Poiché, nelle nostre rappresentazioni, l'aspetto sensibile è, per il razionalismo, l'elemento occultante (ossia è il responsabile della differenza tra rappresentazione e realtà esterna), ne viene che l'oltrepassamento della mera certezza, ossia l'oltrepassamento della situazione in cui le nostre rappresentazioni sono sì certe, ma non ancora 'vere' (è la situazione del 'cogito'), potrà avvenire solo in quanto non ci si basi (ossia non si assumano come vere) sulle nostre rappresentazioni sensibili, ma solo in quanto ci si basi su princìpi 'a priori' non attinti cioè dall'esperienza, e quindi immuni dal suo carattere occultante. La storia del razionalismo è la storia dei tentativi di costruire la parabola metafisica che vada dalle nostre rappresentazioni alla realtà esterna. Mentre nella filosofia tradizionale la metafisica determina la verità che il pensiero sin dal principio possiede (ossia determina la verità che si ritiene sia originariamente posseduta dal pensiero), nella storia del razionalismo, la metafisica ha invece il compito di condurre a quell'unificazione di certezza e verità, che è il punto di partenza del modo tradizionale di pensare. Il punto di partenza diventa il punto di arrivo: la metafisica razionalistica diventa lo strumento, mediante il quale viene risolto il problema del valore del pensiero. Il risolvimento del problema metafisico è il fondamento del risolvimento del problema gnoseologico.

 

 

 

 

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