[filo_575]
Una intuizione fondamentale del Romanticismo è che il rapporto con la verità non si gioca nei termini della razionalità astratta ma in quelli estetici dell'arte, in particolare della poesia e della musica.
Questa intuizione non è del tutto nuova nella storia della filosofia, dato che era già stata avanzata dal Platone del Simposio, ed era stata ripresa più volte dalle correnti neoplatoniche. Tuttavia è la prima volta che questo approccio si impone come strategia fondamentale della ricerca della verità. Dal Romanticismo in poi esso rimarrà nella cultura occidentale fino a oggi come una filone antagonista di quello tradizionale (per il quale la verità è essenzialmente l'oggetto di una ricerca teoretica) e alternativo rispetto al riduzionismo epistemologico (la filosofia, se vuole avere un senso, deve ridursi allo studio della scienza, unica vera forma di conoscenza), linguistico (la filosofia come analisi del linguaggio) o politico (la filosofia come base dell'azione politica).
Prima di procedere oltre è necessario spazzare il campo da un equivoco molto diffuso:
il Romanticismo NON è il «periodo del sentimento» in contrapposizione all'Illuminismo visto come il «periodo della ragione».
Entrambi i movimenti riconoscono e valorizzano sia il «sentimento» sia la «ragione»: solamente, hanno una nozione diversa dell'uno e dell'altro.
In particolare,
la ragione «illuminista» è «operativa», nel senso che viene concepita come lo strumento per conoscere e modificare l'esperienza sensibile, mentre
la ragione «romantica» è intesa come lo «strumento dell'assoluto» o «della totalità», ossia come il modo che il soggetto umano ha per andare oltre l'esperienza sensibile.
È facile capire quindi che la scienza newtoniana, che si rivolge esplicitamente ed esclusivamente al mondo sensibile con lo scopo di conoscerlo e modificarlo, se possibile, per adattarlo alle esigenze dell'uomo, sia esaltata dalla ragione «illuministica» mentre sia svalutata o addirittura disprezzata dalla ragione «romantica», proprio perché si limita a studiare le cose materiali.
Il ruolo dell'arte
Arte, religione e la filosofia in senso ampio sono le vie che i pensatori romantici propongono come alternativa rispetto alla scienza per entrare in contatto con l'Assoluto (una parola che non a caso entra in uso proprio in questo periodo).
Kant aveva portato alle estreme conseguenze il dualismo gnoseologico tipico della filosofia moderna ammettendo nella propria filosofia la fondamentale scissione tra fenomeno e noumeno, sia sul piano teoretico sia su quello etico. Tuttavia nella sua terza Critica aveva anche additato una via per superare questo dualismo: quella della finalità, che si ritrova a suo avviso proprio nell'arte.
I pensatori successivi partono quindi dall'intuizione dell'arte come momento di sintesi tra momenti opposti presenti nell'animo umano e non altrimenti conciliabili, e si spingono per tappe successive verso l'identificazione di arte e filosofia.
Friedrich Schiller (1759-1805) è il primo a tentare la mediazione tra il kantismo e l'esperienza estetica. Esistono nell'uomo due istinti, quello sensibile o materiale e quello razionale o formale. Se prevale il primo domina la materia, l'accidentale, il bisogno, e l'uomo è «fuori di sè». Dove prevale il secondo, viceversa, si realizza la forma, la necessità e la legge, e l'uomo «torna in sé». Ma affinché questi due istinti non si traducano in un dualismo catastrofico per l'uomo è necessario che vengano mediati dall'arte come istinto del gioco (Spieltrieb).
Il gioco può assolvere questo compito perché in esso si incontrano ricettività e spontaneità, sensibilità e razionalità, azione e legge, vita e forma. La sintesi di questi momenti è la bellezza, che Schiller chiama «forma vivente». Solo quando gioca l'uomo assume un atteggiamento disinteressato, e solo allora è davvero libero e quindi realmente umano. Lo «stato estetico» si realizza quando le diverse facoltà dell'uomo agiscono contemporaneamente con ugual forza, annullando l'effetto negativo della forza contraria. L'ideale del bello è quello classico, che realizza appunto un perfetto equilibrio tra realtà e forma: la forma del bello (che è unica), attraverso e nonostante la tecnica necessaria per incarnarla in una materia, si manifesta come qualcosa di naturale e spontaneo.
Il bello funge per Schiller da paradigma per l'etica: l'anima bella è quella di un uomo che compie il suo dovere con apparente spontaneità, come se fosse qualcosa di naturale. La grazia, in quanto perfetta fusione di istinto ed educazione, natura e libertà, è superiore alla dignità morale di Kant.
Friedrich Schlegel (1772-1829), fondatore col fratello August della rivista Aetheneum (1798), fa un passo avanti concependo l'idea di un'arte totale, fusione di tutti i generi poetici ed espressione della totale libertà dell'artista.
La poesia deve essere espressione a-concettuale dell'assoluto, tanto che Schlegel conia l'espressione «poesia trascendentale» che però in lui significa solo «poesia della poesia».
La vera produzione artistica è inconscia (un altro termine che appare in questo periodo e che avrà una grande fortuna in seguito), perché è opera di una immaginazione che non sa rendere ragione delle proprie scelte: il vero artista è il genio, che rompe le regole stabilite in nome della sua capacità di mettersi in sintonia con l'assoluto.
Il rapporto tra arte e verità si gioca nella nozione di ironia, esplicitamente ripresa dai dialoghi socratici. L'ironia è la «costante parodia di se stessi» in cui si esprime non solo il gusto romantico per il paradossale, ma anche il senso di distacco dal mondo con cui l'artista intende affermare la propria libertà. L'ironia è paragonata da Schlegel all'idea kantiana di mondo, che obbliga a superare la tesi e l'antitesi (corrispondenti alle concezioni razionalistica ed empirista) per approssimarsi continuamente all'assoluto in un processo senza fine. Essa «contiene e suscita il senso dell'inconciliabile contrasto tra l'assoluto e il relativo, tra l'impossibilità e la necessità di una comunicazione completa». A differenza di quanto sosteneva Schiller, quindi, non è possibile arrivare a un equilibrio finale: la produzione estetica è costretta a procedere sempre oltre in un «costante alternarsi di autocreazione e autodistruzione».
Friedrich Schleiermacher (1768-1834) nei Discorsi sulla religione (1799) si concentra invece sulla religione come terzo, fondamentale momento della vita dell'uomo accanto alla metafisica e alla morale. Questi tre momenti sono spesso confusi tra loro perché hanno lo stesso oggetto e lo stesso scopo: «L'universo e il rapporto dell'uomo con esso». Se la metafisica deve classificarlo tramite i suoi concetti e la morale deve dedurre dalla natura dell'uomo un sistema di doveri, la religione deve «intuire l'Universo» ossia deve contemplarlo nelle sue manifestazioni e lasciarsene compenetrare. La religione, dice Schleiermacher, «è senso e gusto dell'infinito».
Ma attenzione! La religione non è un sistema di dogmi, bensì l'insieme infinito delle intuizioni che ciascun singolo ha dell'universo. Ciascuna intuizione è diversa dalle altre, eppure ciascuna è indispensabile: tra esse emergono però quelle degli «eroi religiosi», ossia i geni nei quali si manifestano più che in altri gli autentici sentimenti religiosi) (rispetto, umiltà, amore, gratitudine, compassione).
Rispetto alla religione, l'arte esprime la vita della singola coscienza, attraverso una libera produttività, talmente libera da vincoli da poter essere assimilata all'attività onirica: la differenza rispetto al sogno sta solo nello sforzo di trovare un ordine nel caos delle immagini che ci si presentano durante il sonno.
Friedrich Schelling (1775-1854) è un importante filosofo che rappresenta una tappa significativa nella realizzazione della filosofia romantica. Nel suo Sistema dell'Idealismo trascendentale (1800) l'assoluto è unità indifferenziata di due attività opposte: soggetto e oggetto, spirito e natura, libertà e necessità. L'arte è la rivelazione immediata (cioè senza mediazioni) dell'unità dell'assoluto.
L'opera d'arte è prodotta dal genio artistico con una attività artistica che imita l'attività dell'assoluto, in cui coincidono il lato inconscio della sua estrinsecazione come natura e il lato conscio come attività morale. La filosofia coglie teoreticamente questa identità di conscio e inconscio, di natura e spirito, ma non è in grado di renderla stabile e pubblica: questo è invece proprio il compito dell'arte.
L'opera d'arte ha quindi una connotazione ontologica fondamentale: quella di essere un'interpretazione simbolica dell'as-soluto, aperta a una interpretazione infinita, dato che in ultima analisi essa è non è altro che «l'infinito espresso in modo finito».
Ogni produzione estetica è abitata dal sentimento di una infinita contraddizione: quella tra l'intenzione cosciente e la sensazione di essere trascinati da una potenza inconscia. La contraddizione però viene risolta dall'opera d'arte e nell'opera d'arte, così che il sentimento che la accompagna è quello della pacificazione.
Una intuizione fondamentale del Romanticismo è che il rapporto con la verità non si gioca nei termini della razionalità astratta ma in quelli estetici dell'arte, in particolare della poesia e della musica.
Questa intuizione non è del tutto nuova nella storia della filosofia, dato che era già stata avanzata dal Platone del Simposio, ed era stata ripresa più volte dalle correnti neoplatoniche. Tuttavia è la prima volta che questo approccio si impone come strategia fondamentale della ricerca della verità. Dal Romanticismo in poi esso rimarrà nella cultura occidentale fino a oggi come una filone antagonista di quello tradizionale (per il quale la verità è essenzialmente l'oggetto di una ricerca teoretica) e alternativo rispetto al riduzionismo epistemologico (la filosofia, se vuole avere un senso, deve ridursi allo studio della scienza, unica vera forma di conoscenza), linguistico (la filosofia come analisi del linguaggio) o politico (la filosofia come base dell'azione politica).
Prima di procedere oltre è necessario spazzare il campo da un equivoco molto diffuso:
il Romanticismo NON è il «periodo del sentimento» in contrapposizione all'Illuminismo visto come il «periodo della ragione».
Entrambi i movimenti riconoscono e valorizzano sia il «sentimento» sia la «ragione»: solamente, hanno una nozione diversa dell'uno e dell'altro.
In particolare,
la ragione «illuminista» è «operativa», nel senso che viene concepita come lo strumento per conoscere e modificare l'esperienza sensibile, mentre
la ragione «romantica» è intesa come lo «strumento dell'assoluto» o «della totalità», ossia come il modo che il soggetto umano ha per andare oltre l'esperienza sensibile.
È facile capire quindi che la scienza newtoniana, che si rivolge esplicitamente ed esclusivamente al mondo sensibile con lo scopo di conoscerlo e modificarlo, se possibile, per adattarlo alle esigenze dell'uomo, sia esaltata dalla ragione «illuministica» mentre sia svalutata o addirittura disprezzata dalla ragione «romantica», proprio perché si limita a studiare le cose materiali.
Il ruolo dell'arte
Arte, religione e la filosofia in senso ampio sono le vie che i pensatori romantici propongono come alternativa rispetto alla scienza per entrare in contatto con l'Assoluto (una parola che non a caso entra in uso proprio in questo periodo).
Kant aveva portato alle estreme conseguenze il dualismo gnoseologico tipico della filosofia moderna ammettendo nella propria filosofia la fondamentale scissione tra fenomeno e noumeno, sia sul piano teoretico sia su quello etico. Tuttavia nella sua terza Critica aveva anche additato una via per superare questo dualismo: quella della finalità, che si ritrova a suo avviso proprio nell'arte.
I pensatori successivi partono quindi dall'intuizione dell'arte come momento di sintesi tra momenti opposti presenti nell'animo umano e non altrimenti conciliabili, e si spingono per tappe successive verso l'identificazione di arte e filosofia.
Friedrich Schiller (1759-1805) è il primo a tentare la mediazione tra il kantismo e l'esperienza estetica. Esistono nell'uomo due istinti, quello sensibile o materiale e quello razionale o formale. Se prevale il primo domina la materia, l'accidentale, il bisogno, e l'uomo è «fuori di sè». Dove prevale il secondo, viceversa, si realizza la forma, la necessità e la legge, e l'uomo «torna in sé». Ma affinché questi due istinti non si traducano in un dualismo catastrofico per l'uomo è necessario che vengano mediati dall'arte come istinto del gioco (Spieltrieb).
Il gioco può assolvere questo compito perché in esso si incontrano ricettività e spontaneità, sensibilità e razionalità, azione e legge, vita e forma. La sintesi di questi momenti è la bellezza, che Schiller chiama «forma vivente». Solo quando gioca l'uomo assume un atteggiamento disinteressato, e solo allora è davvero libero e quindi realmente umano. Lo «stato estetico» si realizza quando le diverse facoltà dell'uomo agiscono contemporaneamente con ugual forza, annullando l'effetto negativo della forza contraria. L'ideale del bello è quello classico, che realizza appunto un perfetto equilibrio tra realtà e forma: la forma del bello (che è unica), attraverso e nonostante la tecnica necessaria per incarnarla in una materia, si manifesta come qualcosa di naturale e spontaneo.
Il bello funge per Schiller da paradigma per l'etica: l'anima bella è quella di un uomo che compie il suo dovere con apparente spontaneità, come se fosse qualcosa di naturale. La grazia, in quanto perfetta fusione di istinto ed educazione, natura e libertà, è superiore alla dignità morale di Kant.
Friedrich Schlegel (1772-1829), fondatore col fratello August della rivista Aetheneum (1798), fa un passo avanti concependo l'idea di un'arte totale, fusione di tutti i generi poetici ed espressione della totale libertà dell'artista.
La poesia deve essere espressione a-concettuale dell'assoluto, tanto che Schlegel conia l'espressione «poesia trascendentale» che però in lui significa solo «poesia della poesia».
La vera produzione artistica è inconscia (un altro termine che appare in questo periodo e che avrà una grande fortuna in seguito), perché è opera di una immaginazione che non sa rendere ragione delle proprie scelte: il vero artista è il genio, che rompe le regole stabilite in nome della sua capacità di mettersi in sintonia con l'assoluto.
Il rapporto tra arte e verità si gioca nella nozione di ironia, esplicitamente ripresa dai dialoghi socratici. L'ironia è la «costante parodia di se stessi» in cui si esprime non solo il gusto romantico per il paradossale, ma anche il senso di distacco dal mondo con cui l'artista intende affermare la propria libertà. L'ironia è paragonata da Schlegel all'idea kantiana di mondo, che obbliga a superare la tesi e l'antitesi (corrispondenti alle concezioni razionalistica ed empirista) per approssimarsi continuamente all'assoluto in un processo senza fine. Essa «contiene e suscita il senso dell'inconciliabile contrasto tra l'assoluto e il relativo, tra l'impossibilità e la necessità di una comunicazione completa». A differenza di quanto sosteneva Schiller, quindi, non è possibile arrivare a un equilibrio finale: la produzione estetica è costretta a procedere sempre oltre in un «costante alternarsi di autocreazione e autodistruzione».
Friedrich Schleiermacher (1768-1834) nei Discorsi sulla religione (1799) si concentra invece sulla religione come terzo, fondamentale momento della vita dell'uomo accanto alla metafisica e alla morale. Questi tre momenti sono spesso confusi tra loro perché hanno lo stesso oggetto e lo stesso scopo: «L'universo e il rapporto dell'uomo con esso». Se la metafisica deve classificarlo tramite i suoi concetti e la morale deve dedurre dalla natura dell'uomo un sistema di doveri, la religione deve «intuire l'Universo» ossia deve contemplarlo nelle sue manifestazioni e lasciarsene compenetrare. La religione, dice Schleiermacher, «è senso e gusto dell'infinito».
Ma attenzione! La religione non è un sistema di dogmi, bensì l'insieme infinito delle intuizioni che ciascun singolo ha dell'universo. Ciascuna intuizione è diversa dalle altre, eppure ciascuna è indispensabile: tra esse emergono però quelle degli «eroi religiosi», ossia i geni nei quali si manifestano più che in altri gli autentici sentimenti religiosi) (rispetto, umiltà, amore, gratitudine, compassione).
Rispetto alla religione, l'arte esprime la vita della singola coscienza, attraverso una libera produttività, talmente libera da vincoli da poter essere assimilata all'attività onirica: la differenza rispetto al sogno sta solo nello sforzo di trovare un ordine nel caos delle immagini che ci si presentano durante il sonno.
Friedrich Schelling (1775-1854) è un importante filosofo che rappresenta una tappa significativa nella realizzazione della filosofia romantica. Nel suo Sistema dell'Idealismo trascendentale (1800) l'assoluto è unità indifferenziata di due attività opposte: soggetto e oggetto, spirito e natura, libertà e necessità. L'arte è la rivelazione immediata (cioè senza mediazioni) dell'unità dell'assoluto.
L'opera d'arte è prodotta dal genio artistico con una attività artistica che imita l'attività dell'assoluto, in cui coincidono il lato inconscio della sua estrinsecazione come natura e il lato conscio come attività morale. La filosofia coglie teoreticamente questa identità di conscio e inconscio, di natura e spirito, ma non è in grado di renderla stabile e pubblica: questo è invece proprio il compito dell'arte.
L'opera d'arte ha quindi una connotazione ontologica fondamentale: quella di essere un'interpretazione simbolica dell'as-soluto, aperta a una interpretazione infinita, dato che in ultima analisi essa è non è altro che «l'infinito espresso in modo finito».
Ogni produzione estetica è abitata dal sentimento di una infinita contraddizione: quella tra l'intenzione cosciente e la sensazione di essere trascinati da una potenza inconscia. La contraddizione però viene risolta dall'opera d'arte e nell'opera d'arte, così che il sentimento che la accompagna è quello della pacificazione.