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Filosofia
Filosofia ellenistica
Filosofia ellenistica
Lo stoicismo: scheda introduttiva




Secondo gli stoici tutto è determinato dal logos: niente è libero, tutto è necessario. Il cosmo è guidato da una necessità assoluta: ogni evento è quello che deve essere. La razionalità coincide quindi con la necessità e anche con la giustizia (la vecchia dea di Parmenide che ritorna).
Si può scorgere qui facilmente è la concezione tradizionale greca portata all’estremo. Il compito dell’uomo deve essere quello di adeguarsi alla razionalità del cosmo, poiché questo è l’unica strategia per essere felici e ridurre le sofferenze.
La scuola stoica viene fondata intorno al 300 a.C. da Zenone di Cizio in Atene, nel «portico dipinto» (in greco stoà poikile, donde il nome «stoicismo»); l'ultimo grande rappresentante della scuola fu l'imperatore romano Marco Aurelio, morto nel 180 d.C..
Lo stoicismo si sviluppa dunque lungo un arco di cinque secoli: cinquecento anni durante i quali ha modo di condizionare profondamente la cultura del mondo mediterraneo, soprattutto perché viene adottata come filosofia (si potrebbe perfino dire come «ideologia») dalla classe dirigente dell'impero romano.
Tuttavia, stranamente, ci sono arrivati ben pochi testi originali degli stoici più antichi e per ricostruire il loro pensiero dobbiamo far ricorso ai riassunti degli autori successivi.
Fondamentale e poi canonica è la distinzione della filosofia in tre parti
La filosofia viene spesso paragonata dagli stoici a un frutteto in cui la logica è rappresentata dal muro che circonda e protegge gli alberi (la fisica), cioè le strutture teoriche che innalzano verso il cielo i rami carichi dei frutti dell'etica; oppure a un uovo, il cui tuorlo (l'etica) è circondato e sorretto dall'albume (la fisica) e dal guscio (la logica); o a un organismo: ossa e muscoli (logica), sangue e carne (fisica), anima (etica).
L'idea chiave è che la filosofia è un sistema, un insieme di parti correlate e interdipendenti, nessuna delle quali può stare da sola; solo per necessità didattiche gli stoici ammettono che questi tre ambiti possano essere trattati separatamente.
Come per l'epicureismo, il cuore pulsante della filosofia stoica è l'etica: tuttavia nello stoicismo il peso della «fisica» (cioè dello studio della totalità) è maggiore.
La concezione della vita degli stoici è espressa da Cleante con la metafora del cagnolino: un cagnolino legato a un carro, se tenta di fermarsi o di guardarsi in giro il guinzaglio lo tira con sé, quindi il cane non può fare quello che desidera se non vuole essere travolto, deve adeguarsi al movimento del carro e seguirlo. Questo significa che noi possiamo ribellarci al logos, ma in questo caso veniamo sconfitti, oppure comprimere i propri desideri e adeguarsi ad esso. Per sopravvivere (l'unico obiettivo realistico nel nuovo mondo ellenistico) bisogna sacrificare la corporeità e ridurre e comprimere i propri desideri.
Una seconda metafora molto utilizzata dagli stoici è quella dell’attore: dobbiamo renderci conto che noi non siamo altro che attori di un «dramma» (la vita stessa, in realtà) scritto dal Logos e interpretare al meglio la parte che ci è stata assegnata. Gli stoici ammettono e teorizzano dunque la scissione tra l’io profondo e il ruolo che ci è stato assegnato dal destino: per sopravvivere questo è il prezzo da pagare.
L’intuizione che la barriera della necessità del destino sia invalicabile è talmente greca che la ritroviamo alla base delle tragedie (hybris è il peccato che consiste nel tentare di andare al di là dei limiti). La necessità è chiamata dagli stoici pneuma e pronoia.
Per essere saggi dovremmo compiere solo atti razionali, ma anche gli stoici ritengono che questo sia impossibile: solo Socrate (forse) ci è riuscito. La conseguenza paradossale è che il messaggio degli stoici più antichi è irrealizzabile sul piano pratico e che quindi non si può «diventare» stoici attraverso un processo graduale.
Una metafora molto usata dagli stoici per visualizzare questo concetto è quella dell’uomo che annega, il quale va a fondo sia che abbia sopra di sé solo una spanna d’acqua o mille metri di oceano. Non c’è una via di mezzo tra l’essere saggi e l’essere stolti: quindi è impossibile un’educazione.
Lo stoicismo romano cambierà questa conclusione, difatti loro adatteranno lo stoicismo che in principio era troppo radicale, e quindi non aveva trovato un particolare apprezzamento.
Rispetto alla fisica atomistica, che è discontinua e corpuscolare, abbiamo quindi una prima fondamentale differenza: quella stoica è una fisica del continuo, che postula la divisibilità fisica all'infinito ed esclude l'esistenza di indivisibili ultimi (atomi).
La materia, sostanza priva di qualità, riceve forma a opera di un principio attivo corporeo che è dagli stoici identificato nel Fuoco (con esplicito richiamo a Eraclito). Si tratta del Fuoco creatore, di un soffio caldo (pneuma) che pervade e anima tutte le cose. Il pneuma non è altro, potremmo dire, che la dimensione fisica del logos che ordina il mondo. Entrambi coincidono con Zeus, la divinità, la cui esistenza ci è accertata dall'essere una nozione naturale comune a tutti i popoli della terra e dall'ordine, bellezza e perfezione della natura.
La divinità e l'intelligenza immanente al mondo, il «fuoco intelligente» ed eterno, «artefice» di tutto, compenetra di sé ogni parte del cosmo. Il pneuma contiene le «ragioni seminali» (spermatikoi logoi), cioè i semi generatori di tutte le cose, grazie alle quali la materia si differenzia e si qualifica nella varietà delle forme individuali e si determinano i processi di generazione, vita e corruzione degli enti.
Il pneuma genera nel tutto come nelle singole parti una tensione (tonos), una forza di coesione che conferisce unità e vita alle piante, agli animali, alle pietre stesse. Ogni corpo è compenetrato dal pneuma: non esiste tra un corpo e l'altro, o all’interno di ciascun corpo, il vuoto, perché, se così fosse, il principio attivo non potrebbe trasmettersi a tutte le cose.
Una volta fissata l'immanenza del logos alla vita del cosmo e identificato l'ordine razionale con l'intelligenza divina, si ricavano due principali conseguenze. In primo luogo tutto ciò che accade ha una causa, anche ove non sia possibile scorgerla.
Ogni evento è inserito in una catena causate che lo determina in modo assoluto: ciò che è non poteva essere altrimenti e ciò che sarà è già compreso in modo necessario nell'ordine del tutto. A questa legge causale assoluta gli stoici, riutilizzando in senso nuovo un termine fondamentale nella tradizione culturale greca, danno il nome di fato, o destino (heimarmene), definito da Crisippo come «La serie inviolabile delle cause».
In secondo luogo dall'ordine causale concepito come piano intelligente seguono di necessità la perfezione del mondo e la sua organizzazione in vista del bello e del bene. Il mondo è perfetto, nel senso che non manca di nulla: ogni essere è concatenato con gli altri e con il tutto (gli stoici chiamano simpatia questa corrispondenza universale); ha un fine e una destinazione precisa che realizza la bellezza e l'armonia dell'insieme. Il cosmo è dunque retto da una provvidenza divina che va intesa non come l'esplicarsi della volontà di un dio personale e trascendente, al modo giudaico-cristiano, ma come l'operare, immanente al mondo stesso, della razionalità divina.
Questa visione deterministica e finalistica si trova, evidentemente, agli antipodi dell'atomismo epicureo. Una delle principali critiche che gli stoici muovevano a Epicuro era proprio quella di avere introdotto il clinamen, il moto di declinazione spontanea degli atomi, postuland ocosì un movimento privo di causa che infrange la catena causale necessaria a spiegare l'ordine degli eventi. D'altra parte, il finalismo di questa visione si contrappone al meccanicismo atomistico, che concepiva gli enti e i fenomeni come formazione e dissoluzione di aggregati in seguito a processi puramente meccanici e privi di intenzionalità.
Tale visione meccanicistica risulta inaccettabile per gli stoici, che accolgono su questo punto fondamentale l'istanza teleologica presente nel platonismo e nell'aristotelismo: i processi naturali sono inseriti in un piano d'ordine razionale che assegna ai singoli enti una funzione e uno sviluppo finalizzati all'equilibrio dinamico del tutto.
L’uomo occupa, all'interno di questa totalità, una posizione privilegiata: la concezione stoica della natura è caratterizzata da un marcato antropocentrismo. L'essere mostra una struttura scalare determinata dai diversi gradi di forza e di purezza del pneuma.
L’uomo è composto di anima e di corpo. Anche la psicologia stoica, come quella epicurea, non ammette la separatezza dell’anima. L'anima dell'uomo è parte dell'anima del mondo, del pneuma; dunque essa è corporea, vive in stretta interazione con il corpo e, con la morte, abbandona l'organismo, rifluendo nell’anima universale, cosmica, di cui è parte.
Il caso, per gli stoici, non esiste: esso è solo il nome che si da a ciò che non si riesce a spiegare.
Ma se tutto avviene per necessità (una necessità che riguarda il futuro tanto quanto il passato e il presente), non sembra aprirsi alcuno spazio per la libertà dell'uomo, nessuna possibilità di scelta, e dunque la stessa vita morale risulta svuotata di ogni significato. Ogni agire è equivalente a tutti gli altri; cade la possibilità stessa della valutazione e del giudizio morale.
La scelta morale
Ogni essere vivente mostra una tendenza fondamentale all'autoconservazione, ad appropriarsi ciò che gli giova, a rifiutare ciò che lo danneggia. Nell'uomo questa capacità di valutare è pienamente consapevole e si manifesta nella formulazione di concetti di valore: l'individuo, se riceve un'educazione adeguata, diviene capace di operare riflessivamente e di scegliere in vista del bene. Oggetto della scelta morale e il logos stesso: utile e buono in massimo grado è ciò che consente all'uomo di realizzare la sua natura di essere razionale e ne permette lo sviluppo; male è ciò che è di ostacolo a questo; indifferente tutto quanto non porta né vantaggio né danno morale. Dal momento che il bene consiste nella realizzazione della natura razionale dell'uomo, questi è portato per natura a fare il bene (e questo un principio fondamentale dell'etica stoica).
Da dove nasce allora la possibilità del male morale?
La risposta degli stoici radicalizza l'intellettualismo socratico: il male è una perversione del logos dell'uomo, che lo rende incapace di valutare correttamente (per esempio, si scambia il piacere che accompagna talune azioni con il fine delle azioni stesse o, sotto l'influenza delle opinioni dominanti, si considera la ricchezza un bene, inseguendola affannosamente).
Quando il pathos, la passione, prevale sui logos, viene dato l'assenso a rappresentazioni false di ciò che è buono e utile. Le passioni sono dunque vere e proprie malattie dell’anima, che richiedono un'adeguata terapia. Non viene riconosciuta a esse alcuna funzione positiva, ancorché sussidiaria e subordinata, nella ricerca della vita felice. Non si tratta perciò di limitarle, di governarle con l'esercizio della ragione, ma di estirparle: l'ideale del saggio stoico si fonda sull'apatia (apatheia), l'eliminazione delle passioni, l'«impassibilità».
Quest'etica è, nel suo impianto generale, caratterizzata da un accentuato rigorismo: fra bene e male, virtù e vizio, saggezza e stoltezza non vi sono gradazioni intermedie. L'etica stoica conduce tuttavia un'accurata analisi dei comportamenti pratici, che risente della lezione aristotelica e consente di attenuare il rigorismo della dottrina (è un punto importante per comprenderne lo straordinario successo nella società romana). Esistono, ai due estremi dell'ampia gamma dei comportamenti possibili, le azioni moralmente perfette e le azioni assolutamente viziose ed errate: nel mezzo, si collocano le azioni «medie», coincidenti in gran parte con il comportamento ordinario dell'individuo, le quali, anche se non realizzano la perfezione morale, sono tuttavia convenienti (kathekonta) alla natura dell'uomo e, in quanto tali, preferibili. Vi sono cose e comportamenti che, sebbene sia erroneo considerare belli, sono tuttavia valori positivi (axia), degni di essere scelti (per esempio ingegno, salute, bellezza, ricchezza).
Posto che il male è sempre contro natura, le azioni secondo natura ammettono dunque una gradazione al proprio interno: ciò che distingue l'azione perfetta da quella semplicemente conveniente non è né il contenuto né il risultato, ma l'intenzione che la determina, il grado di "purezza" razionale che esprime.
Ora, nella categoria delle azioni medie rientra gran parte dei cosiddetti doveri sociali e morali (le parole "dovere" e "conveniente" traducono entrambe kathekon), cioè i contenuti della morale comune: onorare i genitori, servire la patria, occuparsi del buon funzionamento della collettività. Il concetto stoico del dovere rappresenta dunque l'anello di congiunzione fra etica e politica.
Il panteismo
Gli stoici sono i primi panteisti, ossia sono i primi ad identificare l’assoluto con il cosmo, i panteisti cioè per così dire «vivono in paradiso», perché tutto ciò che è è necessario, e quindi il meglio che possa esistere. Ciò che è razionale è necessario e viceversa, e quindi tutto quello che avviene nel cosmo deve essere così, non possiamo fare nulla per cambiarlo, per sopravvivere dobbiamo costringerci a comprendere che ciò che i sensi vogliono va contro la ragione, e deve quindi essere abbandonato.
Il panteismo è una delle soluzioni possibili al problema di dare un senso all’esistenza: il mondo è assoluto, e quindi necessario e razionale.