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Lo stoicismo: scheda introduttiva

 

Intro

Lo stoicismo nasce nel IV secolo, insieme all’epicureismo, e non a caso: stoicismo ed epicureismo danno risposte diverse a un bisogno uguale, ossia quello di dare un senso alla vita, che ha perso l’oriz­zonte di riferimento tradizionale (la polis).
La soluzione stoica è opposta a quella epicurea. Al di là degli aspetti comuni (materialismo; opposizione a Platone e Aristotele per risco­prire gli autori pre-platonici) ci sono differenze evidenti:

Secondo gli stoici tutto è determinato dal logos: niente è li­bero, tutto è necessario. Il cosmo è guidato da una necessità asso­luta: ogni evento è quello che deve essere. La razionalità coincide quindi con la necessità e anche con la giustizia (la vecchia dea di Parmenide che ritorna).

Si può scorgere qui facilmente è la concezione tradi­zionale greca portata all’estremo. Il compito dell’uomo deve essere quello di adeguarsi alla razio­nalità del cosmo, poiché questo è l’unica strategia per essere felici e ridurre le sofferenze.

 

La scuola stoica viene fondata intorno al 300 a.C. da Zenone di Ci­zio in Atene, nel «portico dipinto» (in greco stoà poikile, donde il nome «stoicismo»); l'ultimo grande rappresentante della scuola fu l'imperatore romano Marco Aurelio, morto nel 180 d.C.. 
Lo stoicismo si sviluppa dunque lungo un arco di cinque secoli: cin­quecento anni durante i quali ha modo di condizionare profonda­mente la cultura del mondo mediterraneo, soprattutto perché viene adottata come filosofia (si potrebbe perfino dire come «ideologia») dalla classe dirigente dell'impero romano. 
Tuttavia, stranamente, ci sono arrivati ben pochi testi originali degli stoici più antichi e per ricostruire il loro pensiero dobbiamo far ri­corso ai riassunti degli autori successivi.

Fondamentale e poi canonica è la distinzione della filosofia in tre parti 

  • logica (teoria della conoscenza)
  • fisica (studio dell'essere fisico)
  • etica 


La filosofia viene spesso paragonata dagli stoici a un frutteto in cui la logica è rappresentata dal muro che circonda e protegge gli alberi (la fisica), cioè le strutture teoriche che innalzano verso il cielo i rami carichi dei frutti dell'etica; oppure a un uovo, il cui tuorlo (l'eti­ca) è circondato e sorretto dall'albume (la fisica) e dal guscio (la lo­gica); o a un organismo: ossa e muscoli (logica), sangue e carne (fisi­ca), anima (etica).
L'idea chiave è che la filosofia è un sistema, un insieme di parti correlate e interdipendenti, nessuna delle quali può stare da sola; solo per necessità didattiche gli stoici ammettono che questi tre am­biti possano essere trattati separatamente.
Come per l'epicureismo, il cuore pulsante della filosofia stoica è l'etica: tuttavia nello stoicismo il peso della «fisica» (cioè dello studio della totalità) è maggiore.

 

 

La concezione della vita degli stoici è espressa da Cleante con la metafora del cagnolino: un cagnolino legato a un carro, se tenta di fermarsi o di guardarsi in giro il guinzaglio lo tira con sé, quindi il cane non può fare quello che desidera se non vuole essere travolto, deve adeguarsi al movimento del carro e seguirlo. Questo significa che noi possiamo ribellarci al logos, ma in questo caso veniamo sconfitti, oppure comprimere i propri desideri e adeguarsi ad esso. Per sopravvivere (l'unico obiettivo realistico nel nuovo mondo elle­nistico) bisogna sacrificare la corporeità e ridurre e comprimere i propri desideri.

Una seconda metafora molto utilizzata dagli stoici è quella dell’attore: dobbiamo renderci conto che noi non siamo altro che attori di un «dramma» (la vita stessa, in realtà) scritto dal Logos e interpretare al meglio la parte che ci è stata assegnata. Gli stoici am­mettono e teorizzano dunque la scissione tra l’io profondo e il ruo­lo che ci è stato assegnato dal destino: per sopravvivere questo è il prezzo da pagare.

L’intuizione che la barriera della necessità del destino sia invalicabile è talmente greca che la ritroviamo alla base delle tragedie (hybris è il peccato che consiste nel tentare di andare al di là dei limiti). La necessità è chiamata dagli stoici pneuma e pronoia.


La felicità

La felicità per gli stoici consiste nel non desiderare, o meglio nel na­scondere nella profondità della coscienza i nostri desideri.
Se gli epicurei ci suggeriscono di vivere lasciandoci portare dal mare dell’esistenza, gli stoici ci suggeriscono di irrigidisci una volta che abbiamo scorto la razionalità del disegno del logos e di resistere alle ondate della passione e del desiderio (della paura, della sofferenza…).
La strategia stoica vede il punto decisivo nella lotta contro le passioni, che vanno estirpate come se fossero delle vere malattie. Le passioni sono male poiché sono irrazionali. Solo la lotta contro le passione permette di resistere alla vita, anche nelle situazioni peg­giori. Se i nostri desideri tentano di opporsi alle onde del destino vengono travolti, non bisogna quindi aspirare solo al controllo di esse, ma vanno distrutte. L'obiettivo degli stoici, la apatia (assenza di passioni), è molto più radicale di quello degli epicurei, la atarassia (controllo delle passioni)

Per essere saggi dovremmo compiere solo atti razionali, ma anche gli stoici ritengono che questo sia impossibile: solo So­crate (forse) ci è riuscito. La conseguenza paradossale è che il mes­saggio degli stoici più antichi è irrealizzabile sul piano pratico e che quindi non si può «diventare» stoici attraverso un processo gradua­le.
Una metafora molto usata dagli stoici per visualizzare questo concetto è quella dell’uomo che annega, il quale va a fondo sia che abbia sopra di sé solo una spanna d’acqua o mille metri di oceano. Non c’è una via di mezzo tra l’essere saggi e l’essere stolti: quindi è impossibile un’educazione.


Lo stoicismo romano cambierà questa conclusione, difatti loro adatteranno lo stoicismo che in principio era troppo radicale, e quindi non aveva trovato un particolare apprezzamento.



La fisica stoica

 
La concezione stoica del mondo fisico rimanda consapevolmente al naturalismo presocratico, in particolare a Eraclito, subendo al tempo stesso la forte influenza delle dottrine platoniche e aristoteli­che che vuole criticare.
Gli stoici concepiscono il cosmo, intendendo con questo termine la totalità dell'esistente, come un immenso organismo vivente. La
vitale e pulsante in ogni sua parte, i cui processi dinamici sono go­vernati da un principio unitario di organizzazione che essi chiama­no logos, o pneuma, o fuoco. Tale principio è immanente alla realtà e inseparabile da essa: il tentativo stoico è dunque quello di spiegare il mondo nei termini di un rigoroso immanentismo, escludendo il ricorso a principi o forme trascendenti. Esiste un unico piano dell'essere: quello della corporeità. Tutto ciò che esiste è corpo; an­che la divinità, anche l'anima, anche il vizio e la virtù sono corpi. Reale è infatti solo ciò che agisce o subisce un'azione, e solo ciò che è corporeo può agire o patire. Perciò solo il corpo esiste. Ritrovia­mo dunque nella natura, nel tutto corporeo, l'operare di due princi­pi fondamentali: l'uno attivo, l'altro passivo. La distinzione, che ri­chiama la coppia aristotelica di materia e forma, vale a spiegare il di­venire della physis (intesa, al modo presocratico, come totalità della realtà) e l'esistenza di enti qualitativamente determinati.

Rispetto alla fisica atomistica, che è discontinua e corpuscolare, abbiamo quindi una prima fondamen­tale differenza: quella stoica è una fisica del continuo, che postula la divisibilità fisica all'infinito ed esclude l'esistenza di indivisibili ultimi (atomi).

La materia, sostanza priva di qualità, riceve forma a opera di un principio attivo corporeo che è dagli stoici identificato nel Fuoco (con esplicito richiamo a Eraclito). Si tratta del Fuoco creatore, di un soffio caldo (pneuma) che pervade e anima tutte le cose. Il pneuma non è altro, potremmo dire, che la dimensione fisica del lo­gos che ordina il mondo. Entrambi coincidono con Zeus, la divini­tà, la cui esistenza ci è accertata dall'essere una nozione naturale co­mune a tutti i popoli della terra e dall'ordine, bellezza e perfezione della natura.
La divinità e l'intelligenza immanente al mondo, il «fuoco intelligen­te» ed eterno, «artefice» di tutto, compenetra di sé ogni parte del co­smo. Il pneuma contiene le «ragioni seminali» (spermatikoi logoi), cioè i semi generatori di tutte le cose, grazie alle quali la materia si differenzia e si qualifica nella varietà delle forme individuali e si de­terminano i processi di generazione, vita e corruzione degli enti.
Il pneuma genera nel tutto come nelle singole parti una tensione (tonos), una forza di coesione che conferisce unità e vita alle piante, agli animali, alle pietre stesse. Ogni corpo è compenetrato dal pneu­ma: non esiste tra un corpo e l'altro, o all’interno di ciascun corpo, il vuoto, perché, se così fosse, il principio attivo non potrebbe tra­smettersi a tutte le cose.

Una volta fissata l'immanenza del logos alla vita del cosmo e identi­ficato l'ordine razionale con l'intelligenza divina, si ricavano due principali conseguenze. In primo luogo tutto ciò che accade ha una causa, anche ove non sia possibile scorgerla.
Ogni evento è inserito in una catena causate che lo determina in modo assoluto: ciò che è non poteva essere altrimenti e ciò che sarà è già compreso in modo necessario nell'ordine del tutto. A questa legge causale assoluta gli stoici, riutilizzando in senso nuovo un ter­mine fondamentale nella tradizione culturale greca, danno il nome di fato, o destino (heimarmene), definito da Crisippo come «La se­rie inviolabile delle cause».
In secondo luogo dall'ordine causale concepito come piano intelli­gente seguono di necessità la perfezione del mondo e la sua orga­nizzazione in vista del bello e del bene. Il mondo è perfetto, nel senso che non manca di nulla: ogni essere è concatenato con gli al­tri e con il tutto (gli stoici chiamano simpatia questa corrispondenza universale); ha un fine e una destinazione precisa che realizza la bel­lezza e l'armonia dell'insieme. Il cosmo è dunque retto da una prov­videnza divina che va intesa non come l'esplicarsi della volontà di un dio personale e trascendente, al modo giudaico-cristiano, ma come l'operare, immanente al mondo stesso, della razionalità divina.


Questa visione deterministica e finalistica si trova, evidentemente, agli antipodi dell'atomi­smo epicureo. Una delle principali critiche che gli stoici muovevano a Epicuro era proprio quella di avere introdotto il clinamen, il moto di declinazione spontanea degli atomi, postu­land ocosì un movimento privo di causa che infrange la catena causale necessaria a spiegare l'ordine degli eventi. D'altra parte, il finalismo di questa visione si contrappone al meccanici­smo atomistico, che concepiva gli enti e i fe­nomeni come formazione e dissoluzione di aggregati in seguito a processi puramente meccanici e privi di intenzionalità.

Tale visione meccanicistica risulta inaccettabile per gli stoici, che ac­colgono su questo punto fondamentale l'istanza teleologica presen­te nel platonismo e nell'aristotelismo: i processi naturali sono inseri­ti in un piano d'ordine razionale che assegna ai singoli enti una fun­zione e uno sviluppo finalizzati all'equilibrio dinamico del tutto.

L’uomo occupa, all'interno di questa totalità, una posizione privile­giata: la concezione stoica della natura è caratterizzata da un marca­to antropocentrismo. L'essere mostra una struttura scalare determi­nata dai diversi gradi di forza e di purezza del pneuma.

L’uomo è composto di anima e di corpo. Anche la psicologia stoica, come quella epicurea, non ammette la separatezza dell’anima. L'anima dell'uomo è parte dell'anima del mondo, del pneuma; dunque essa è corporea, vive in stretta interazione con il corpo e, con la morte, abban­dona l'organismo, rifluendo nell’anima universale, cosmica, di cui è parte.


Il bene, il dovere, la felicità

Disponiamo ora degli elementi necessari a collocare l'etica stoica nel quadro del sistema. Occorre tuttavia accennare al fatto che la fi­sica stoica suscita diversi problemi e difficoltà che gli avversari non mancarono di sottolineare sin dall'inizio.
Il principale tra questi, direttamente attinente al tema dell'etica, na­sce dall'esclusione di ogni elemento di contingenza dalla visione stoica del cosmo (contingenza che invece trovava spazio nell'epicu­reismo a opera della teoria del clinamen).

Il caso, per gli stoici, non esiste: esso è solo il nome che si da a ciò che non si riesce a spiegare.

Ma se tutto avviene per necessità (una necessità che riguarda il futu­ro tanto quanto il passato e il presente), non sembra aprirsi alcuno spazio per la libertà dell'uomo, nessuna possibilità di scelta, e dun­que la stessa vita morale risulta svuotata di ogni significato. Ogni agire è equivalente a tutti gli altri; cade la possibilità stessa della valutazione e del giudizio morale.


La scelta morale
Ogni essere vivente mostra una tendenza fondamentale all'autocon­servazione, ad appropriarsi ciò che gli giova, a rifiutare ciò che lo danneggia. Nell'uomo questa capacità di valutare è pienamente con­sapevole e si manifesta nella formulazione di concetti di valore: l'individuo, se riceve un'educazione adeguata, diviene capace di ope­rare riflessivamente e di scegliere in vista del bene. Oggetto della scelta morale e il logos stesso: utile e buono in massimo grado è ciò che consente all'uomo di realizzare la sua natura di essere razionale e ne permette lo sviluppo; male è ciò che è di ostacolo a questo; in­differente tutto quanto non porta né vantaggio né danno morale. Dal momento che il bene consiste nella realizzazione della natura razionale dell'uomo, questi è portato per natura a fare il bene (e questo un principio fondamentale dell'etica stoica).

Da dove nasce allora la possibilità del male morale?
La risposta degli stoici radicalizza l'intellettualismo socratico: il male è una perversione del logos dell'uomo, che lo rende inca­pace di valutare correttamente (per esempio, si scambia il piacere che accompagna talune azioni con il fine delle azioni stesse o, sotto l'influenza delle opinioni dominanti, si considera la ricchezza un bene, inseguendola affannosamente).
Quando il pathos, la passione, prevale sui logos, viene dato l'assen­so a rappresentazioni false di ciò che è buono e utile. Le passioni sono dunque vere e proprie malattie dell’anima, che richiedono un'adeguata terapia. Non viene riconosciuta a esse alcuna funzione positiva, ancorché sussidiaria e subordinata, nella ricerca della vita felice. Non si tratta perciò di limitarle, di governarle con l'esercizio della ragione, ma di estirparle: l'ideale del saggio stoico si fonda sull'apatia (apatheia), l'eliminazione delle passioni, l'«impassibilità».
Quest'etica è, nel suo impianto generale, caratterizzata da un accen­tuato rigorismo: fra bene e male, virtù e vizio, saggezza e stoltezza non vi sono gradazioni intermedie. L'etica stoica conduce tuttavia un'accurata analisi dei comportamenti pratici, che risente della le­zione aristotelica e consente di attenuare il rigorismo della dottrina (è un punto importante per comprenderne lo straordinario succes­so nella società romana). Esistono, ai due estremi dell'ampia gamma dei comportamenti possibili, le azioni moralmente perfette e le azioni assolutamente viziose ed errate: nel mezzo, si collocano le azioni «medie», coincidenti in gran parte con il comportamento or­dinario dell'individuo, le quali, anche se non realizzano la perfezione morale, sono tuttavia convenienti (kathekonta) alla natura dell'uomo e, in quanto tali, preferibili. Vi sono cose e comportamenti che, seb­bene sia erroneo considerare belli, sono tuttavia valori positivi (axia), degni di essere scelti (per esempio ingegno, salute, bellezza, ricchezza).
Posto che il male è sempre contro natura, le azioni secondo natura ammettono dunque una gradazione al proprio interno: ciò che di­stingue l'azione perfetta da quella semplicemente conveniente non è né il contenuto né il risultato, ma l'intenzione che la determina, il grado di "purezza" razionale che esprime.
Ora, nella categoria delle azioni medie rientra gran parte dei cosid­detti doveri sociali e morali (le parole "dovere" e "conveniente" tra­ducono entrambe kathekon), cioè i contenuti della morale comune: onorare i genitori, servire la patria, occuparsi del buon funziona­mento della collettività. Il concetto stoico del dovere rappresenta dunque l'anello di congiunzione fra etica e politica.

Il panteismo
Gli stoici sono i primi panteisti, ossia sono i primi ad identificare l’assoluto con il cosmo, i panteisti cioè per così dire «vivono in pa­radiso», perché tutto ciò che è è necessario, e quindi il meglio che possa esistere. Ciò che è razionale è necessario e viceversa, e quindi tutto quello che avviene nel cosmo deve essere così, non possiamo fare nulla per cambiarlo, per sopravvivere dobbiamo costringerci a comprendere che ciò che i sensi vogliono va contro la ragione, e deve quindi essere abbandonato.
Il panteismo è una delle soluzioni possibili al problema di dare un senso all’esistenza: il mondo è assoluto, e quindi necessario e razio­nale.

 

 

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