Intro
Chi è Agostino?
Agostino (354-430 d.C) è un pensatore di importanza fondamentale nella storia dell'Occidente. È un filosofo cristiano che si trova a vivere alla fine dell'impero romano e assiste al crollo della più grande civiltà del mondo antico. Infatti, anche se la storiografia (solo quella italiana, però) indica nel 476 d.C (deposizione di Romolo Augustolo da parte di Odoacre) l'atto finale dell'impero, nella coscienza dei contemporanei di gran lunga più traumatica fu la presa di Roma da parte dei goti di Alarico nel 410, quando Agostino era ancora vivo. Il suo pensiero si pone quindi come una «pensiero della fine», ma insieme rappresenta la base sulla quale ripartirà nei secoli successivi la filosofia cristiana.
La seconda, essenziale caratteristica del pensiero agostiniano è la sua insistenza sulla interiorità. La ricerca filosofica coincide con la ricerca esistenziale del significato della vita e viceversa la vita è essenzialmente ricerca. Vita e filosofia non sono staccate: la ricerca filosofica non è qualcosa di astratto ma è rivolto al raggiungimento della felicità, che però coincide con l'incontro con Dio. L’esperienza dell'uomo infatti si attua nella tensione fra due poli, l'inquietudo, che è mancanza, desiderio, e la beatitudo, che è pienezza, appagamento.
In una delle sue opere più importanti, le Confessioni, Agostino scrive: «ero divenuto un enigma angoscioso (magna quaestio) per me stesso» (Confessioni, IV, 4, 9). La ricerca della felicità parte mettendo in discussione se stessi: per Agostino, poi, questa tensione può risolversi solo nell'incontro con Dio.
L'esistenza come ricerca della verità
Agostino nacque a Tagaste (l'odierna Souk Ahras, in Algeria) nel 354. Come molti giovani africani della sua condizione, Agostino aveva una sola possibilità di ascesa sociale: una cultura superiore che aprisse la via all'avvocatura, alla carriera amministrativa e politica, all’insegnamento nelle cattedre imperiali.
Agostino studiò prima a Tagaste, poi a Madaura, infine a Cartagine, dove studiò con grande successo la retorica.
Tuttavia Agostino vive una prima crisi alla lettura di un testo di Cicerone per noi perduto, l'Ortensio, in cui Cicerone, muovendo dal tema tradizionale della felicità, mostrava che quest'ultima non può essere trovata nelle ricchezze, nei piaceri, negli onori, ma solo nella sapientia, la saggezza che è verità, conoscenza delle cose umane e divine. La lettura di questo testo fece scoprire ad Agostino, la filosofia intesa non come adesione all'una o all'altra setta filosofica, ma come ricerca della verità.
In questo periodo la madre Monica, fervente cristiana, cerca inutilmente di avvicinarlo alla sua fede: Agostino trovò un ostacolo insormontabile nello stile della Bibbia, troppo lontano dalla raffinatezza ciceroniana.
A Cartagine Agostino conviveva con una ragazza da cui ebbe un figlio nel 372 (Agostino aveva solo 18 anni). La morte del padre lo privò del sostegno economico e quindi dovette tornare a Tagaste per aprire una scuola.
Nel frattempo però aveva conosciuto la setta dualistica dei manichei, che in un primo momento gli sembrò soddisfare la sua sete di verità. La concezione manichea è rigidamente dualistica: un dio del bene lotta perennemente contro un dio del male; l'uomo è composto di un'anima e di un corpo, concepiti anch'essi come elementi contrapposti e sempre in lotta; tutto ciò che è legato al corpo, in particolare la sessualità, è male.
Nell'orbita di questa religione razionalistica, che non si presenta come incompatibile con il cristianesimo, ma anzi pretende di esserne l'autentica espressione, Agostino resterà nove anni, dal 373 al 382, insegnando grammatica e retorica con crescente successo, prima a Tagaste, poi a Cartagine, quindi a Roma.
Tuttavia la fiducia di Agostino nel manicheismo si indebolì nel corso degli anni per la sempre più evidente incapacità di questa dottrina di risolvere sia i problemi di fisica sia quelli, ben più importanti, dell'esistenza umana. Dopo un decisivo incontro con l'esponente più in vista della setta, Fausto, che non riuscì a risolvere i dubbi di Agostino, questi cominciò ad abbandonare il manicheismo.
Nel 383 Agostino va a Roma e qui si avvicina alle correnti accademiche scettiche. Si trattava in teoria di filosofi eredi dell'Accademia platonica che però ormai sapevano solo esprimere una critica corrosiva di ogni certezza esaltando il dubbio e la sospensione del giudizio.
Sul piano biografico, l'anno che Agostino trascorse a Roma fu caratterizzato da malessere e disagio. Tuttavia le amicizie dell'ambiente manicheo si rivelarono preziose procurandogli un incontro con il prefetto della capitale, Simmaco, il quale gli conferì una cattedra vacante di retorica a Milano, nel 384.
Il soggiorno a Milano fu una svolta fondamentale nella vita di Agostino, sia sul piano esistenziale, sia su quello filosofico. Inizialmente cercò di inserirsi nella società milanese con una serie di mosse strategiche (per esempio si fece catecumeno della chiesa ambrosiana e ripudiò la donna amata in vista del matrimonio con una donna dell'alta società), ma l'ansia di verità continuava a tormentarlo. Due erano i problemi cruciali: l'antropomorfismo della Bibbia e l'esigenza di svincolarsi dal materialismo. La soluzione venne dal vescovo di Milano Ambrogio.
Ambrogio non era un provinciale autodidatta come Agostino: era di illustre famiglia senatoria, conosceva il greco e la filosofia greca, in particolare quella neoplatonica, padroneggiava la letteratura.
In questo modo poté fornire le risposte che Agostino cercava: una interpretazione allegorico-simbolica della Bibbia, da una parte, e la sinergia tra cristianesimo e neoplatonismo dall'altro.
Che cosa trovò Agostino nel neoplatonismo? In primo luogo, una filosofia radicalmente antimaterialistica, in cui pensare quel superamento del materialismo che egli giudicava necessario sul piano religioso non meno che su quello filosofico.
In secondo luogo, una impostazione del problema del male che gli consentì di svincolarsi dal dualismo manicheo.
Infine, un percorso di ricerca della verità che si rivolge non all'esterno; ma all'interno, in cui l'anima, nella luce di Dio, ritrova in se stessa sè e Dio: «accolsi il consiglio di tornare in me stesso e con la tua guida entrai nel mio mondo interiore» (Confessioni, VII, 10, 16).
La conversione definitiva al cristianesimo ebbe luogo nell'estate del 386, aprendo tutta l'esistenza di Agostino a una nuova prospettiva che si concretizza in una serie di importanti opere filosofiche. Nel 387 riceve il battesimo dalle mani di Ambrogio e ritorna a Tagaste.
Sapienza e felicità
Per Agostino la felicità è lo scopo della conoscenza. Il modo che lui ha di concepire l’uomo non è quello astratto di Cartesio, che si limita a dire che l’uomo è una cosa che pensa, Agostino dice che l’uomo è una persona che si apre al mondo in diverse direzioni, l’amore è questo tendere a, ma questo tendere a, aprirsi a è quello che noi chiamiamo conoscenza.
È sbagliato concepire l’anima umana come divisa tra intelletto e sentimento. Il sentimento è il colore della conoscenza. Io devo desiderare di conoscere prima di conoscere, e io desidero ciò che amo. Senza questo desiderio non c’è vera conoscenza.
La concezione dell’anima è conoscenza come una realtà polimorfa, che è essenzialmente apertura all’essere. C’è una ripresa in chiave cristiana dell’eros. Il simposio diceva questo, che la spinta verso la conoscenza è una spinta erotica, se non siamo mossi da questa energia non si va da nessuna parte, ma si impara meccanicamente.
L'essenziale del programma e del metodo di ricerca agostiniano è delineato con chiarezza nei Soliloquia: «Dio e l'anima: questo desidero conoscere. - Nulla più? - Assolutamente nulla» (I, 2, 7). In questa dichiarazione vi è, in primo luogo, l'esclusione della conoscenza del mondo esterno dalla direttrice principale della ricerca: essa sarà tutt'al più una tappa di un percorso che conduce alla vera scienza dell'anima e di Dio. In secondo luogo, vi è posta la coincidenza, dal punto di vista metodologico, tra conoscenza di sé è conoscenza di Dio: solo a partire da sé - nella tradizione che congiunge il nosci te ipsum socratico con Plotino - l'uomo può giungere alla verità, all'Uno, a Dio. L'anima è il luogo dell'incontro con la verità: «Non andare fuori di te, ritorna in te stesso (noli foras ire, in te ipsum redi). La verità dimora nell'uomo interiore (in interiore homine habitat veritas). E se scoprirai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricorda, quando trascendi te stesso, tu trascendi l'anima razionale. Tendi pertanto la donde s'accende il lume stesso della ragione» (De vera religione, XXXIX, 72).
Dal mondo esterno all'interiorità dell' anima, alla verità trascendente: è questo l'itinerario, di evidente impianto platonico, che conduce alla conoscenza di Dio. Ciò che spinge l'uomo a intraprendere questo itinerario è il desiderio di essere felice, beate vivere: è questo il problema fondamentale di Agostino uomo e di Agostino filosofo. Nulla est homini causa philosophandi, nisi ut beatus sit, (non c’è nessuna ragione per l’uomo di fare filosofia se non essere felice) dirà Del De civitate Dei. In questa finalizzazione della conoscenza alla felicità Agostino è pienamente erede della filosofia ellenistica, come pure nell'identificazione tra felicità, beatitudo, e sapientia. Dall'Hortensius Agostino ha imparato che la felicità non può consistere nell'appagamento dei propri desideri, quali che siano. La felicitè è sì un possesso che appaga un desiderio, ma perchè sia autentica occorre che il bene voluto sia veramente tale: occorre quindi conoscere quale sia il vero bene. Ma questo movimento è rivolto non alla sola conoscenza del bene, ma al possesso, al godimento di esso: dunque nella ricerca è implicata in modo decisivo la volontà.
L'attenzione posta da Agostino sulla volontà costituisce una novità di grande rilievo; la volontà è, per Agostino, quella forza che non solo produce le azioni, ma interviene in modo determinante nella conoscenza: per conoscere alcunché, occorre volerlo. E si vuole ciò che si ama: si cerca per trovare ciò che si ama. L'amore dunque è il motore fondamentale.
Il punto di partenza della riflessione di Agostino è l’anima. Bisogna abbandonare l’esteriorità a favore dell’interiorità, e in questa ritrovare Dio. La frase che riassume questa impostazione è celeberrima: in te ipsum rede (torna in te stesso).
Ma come è possibile che Dio sia presente nella propria coscienza? Per spiegare questo lui riprende la reminiscenza di Platone, ossia il ricordo delle eide: le idee vengono messe nell’anima da Dio, non c’è nulla di intermedio
Per Agostino Dio è quindi verità, poiché è lui che ci dà le idee al momento della nostra nascita. Il fondamento di questo è il recupero del platonismo.
In ogni filosofia cristiana è cruciale la dimostrazione dell’esistenza di Dio, ma per Agostino questa non è così fondamentale: la verità esiste, se si dimostra questo è dimostrata anche l’esistenza di Dio.
Il Cogito
Gli eredi della scuola platonica, chiamati ancora ufficialmente "Accademici", erano in realtà scivolati verso forme di scetticismo (ossia la posizione filosofica per la quale la verità non esiste) che Agostino con una serie di argomenti, alcuni dei quali banali, altri di estrema importanza.
Dapprima c'è una serie di argomenti dialettici:
a) non è vero che non esistono verità certe: quelle della matematica e della geometria, per esempio, sono tali;
b) se anche non è possibile essere certi di verità fattuali, tuttavia occorre ammettere la verità di proposizioni disgiuntive (non so se vi siano uno o più mondi, ma so che o vi è un mondo, o ve n'è più di uno);
c) dal fatto che la conoscenza sensibile sia imprecisa, non si può ricavare l'impossibilita della conoscenza vera: quello che i sensi attestano è sempre vero nel campo delle apparenze, l'errore consiste nell'estenderne il valore di verità al campo dell'intellegibile (l'argomento e tipicamente platonico).
d) Se A dice: «non esiste la verità», B risponde: «questa allora è una veirità». Lo scetticismo cioè si autocontraddice.
Nessuna di queste confutazioni è particolarmente originale. Di notevole rilievo, invece, un'argomentazione che Agostino sviluppa, in diverse fomulazioni e in diverse opere, e che chiama in causa la certezza che l'uomo ha di sé in quanto soggetto pensante e vivente. Qualunque argomentazione scettica non può indebolire la verità di questa consapevolezza.
Delle molte formulazioni che ne dà Agostino, la più sintetica è forse quella contenuta nel De civitate Dei:
«Se mi inganno, sono (si fallor, sum). Infatti chi non è, non può nemmeno ingannarsi».
Poniamo che abbiano ragione gli scettici, ossia non esiste la verità: questo significa che io mi inganno sempre. Ma anche se io mi ingannassi sempre, una cosa è sempre vera: che io sono.
Almeno la mia esistenza è certa: questo però basta a sconfiggere lo scetticismo, perché non è più vero che non esistono verità.
Tuttavia, a differenza di quanto farà Cartesio, Agostino articola in modo più complesso il suo argomento distinguendo livelli diversi:
1° livello: la mia semplice esistenza è certa
2° livello: io però, proprio mentre eseguivo il cogito, sono cambiato, perché sono passato da una posizione di errore (quella in cui pensavo che nulla esiste di vero) a una posizione in cui riconosco che la verità esiste. Questo significa che io non solo esisto, ma sono anche vivo.
3° livello: questa trasformazione però avviene a livello della consapevolezza, e la vita di cui stiamo parlando non è biologica, ma coscienziale: io quindi esisto nella forma della vita e vivo nella forma della coscienza.
Dunque esisto, vivo, sono consapevole/cosciente.
Ordine e conoscenza
Nell'esperienza che il soggetto pensante fa di se stesso, quindi, esso conosce di esistere e di vivere. Con ciò, egli definisce anche la propria collocazione nell'ordine gerarchico del tutto: infatti anche la pietra è, anche l'animale è e vive, ma solo l'uomo è, vive e conosce. Nella conoscenza si manifestano dunque la specificità e la superiorità della creatura umana. La conoscenza è attività dell'anima, anche al livello della sensazione. Quest'ultima ha luogo attraverso una modificazione degli organi di senso, ma non appartiene al corpo: sentire non est corporis sed animae per corpus, la sensazione èun'esperienza che l'anima compie attraverso il corpo, utilizzando il corpo come suo strumento. In generale, l'anima dà vita al corpo: nella sensazione, essa rivolge alle modificazioni degli organi di senso un'attenzione, intentio, che dà luogo alla rappresentazione. Senza questa attività dell'animo non vi è sensazione.
Ma «la facoltà più eccellente dell'animo umano non è quella con cui esso sente le realtà sensibili bensì quella con cui le giudica» (De vera religione, XXIX, 53). I parametri di giudizio non possono derivare dal mondo esterno, che è molteplice e mutevole, ma devono essere reperiti dall'anima entro se stessa. Ciò è del tutto evidente quando si pensa alla conoscenza intellettiva delle verità matematiche e geometriche: queste hanno una certezza e una stabilita ben superiori a quelle della conoscenza sensibile. L'anima non ricava certamente tali verità dagli oggetti d'esperienza, anzi se ne serve per giudicarli; ma, d'altra parte, tali verità non possono neppure essere prodotte dal pensiero umano, mutevole e soggetto all'errore. Occorre dunque che tali verità esistano indipendentemente dalla scoperta che di esse viene fatta: nel numero si esprime l'ordine perfetto e immutabile di un tutto che trascende l'uomo.
Vi sono dunque rationes aeternae, analoghe alle eide platoniche, che fungono da forme e modelli in base ai quali opera la mente umana. Tali verità sono superiori alla ragione, indipendenti da essa: se così non fosse, non sarebbe possibile alcuna scienza né comunicazione intersoggettiva.
Le rationes aeternae però non costituiscono un modo autonomo: sono nell'anima umana perché Dio ce le ha messe. È Dio il maestro interiore nel quale e dal impariamo tutto ciò che sappiamo: Dio è la luce che illumina l'anima e le permette di comprendere la verità. Agostino rielabora qui la tradizione platonica: ha presente il paragone tra il Bene e il Sole istituito da Platone e quello tra l'anima, che riflette la luce divina, e la luna, che riflette la luce solare, formulato da Plotino.
Il problema del male
Il problema del male è contenuto nel libro VII delle Confessiones. Il mondo sembra inabitato dal male. Una posizione creazionista come quella del cristianesimo è in difficoltà quando affronta questo tema, perché non riesce a spiegare perché Dio avrebbe dovuto creare il male. Si Deus est, unde malum? è il quesito che riassume la questione. Se Dio - assolutamente buono, onnisciente e previdente - ha creato tutte le cose, qual è l'origine del male? Da dove vengono il dolore, la violenza, il peccato che attraversano la vita dell'uomo?
La soluzione manichea, che elevava il male a principio contrapposto al Bene e in lotta con questo, si è rivelata fallace: in primo luogo, essa inficia l'onnipotenza e l'incorruttibilità di Dio; in secondo luogo, essa priva l'uomo di ogni libertà,
La soluzione di Agostino comincia distinguendo il problema in due aspetti: male morale e male ontologico.
La risposta di Agostino al male morale è che esso deriva dalla libertà che Dio ha concesso. L’uomo può scegliere anche di seguire un male che vedere e riconosce essere tale.
Il male ontologico, ossia la negatività delle cose, appare molto più difficile da spiegare, perché non sembra possibile evitare di accusare Dio del male nel mondo.
La risposta di Agostino è di stampo neoplatonico: noi interpretiamo come male quello che è semplicemente una forma e un aspetto del bene. Dal punto di vista ontologico significa che il male non ha una sua positività, addirittura si potrebbe dire che non esiste affatto. Tale non esistenza va intesa in senso metafisico e ontologico, non in senso fattuale: del male, infatti, si fa continua esperienza. Ma il male -dice Agostino - «non è una sostanza, perché se fosse una sostanza sarebbe un bene» (Confessioni, VII, 12). Esso non ha realtà ontologica; non appartiene all'ordine dell'essere, ma a quello del non-essere. Il male è privazione, venir meno del bene; è il negativo, pensabile solo come deficienza, mancanza del positivo inerente alla natura di un essere. Non vi è dubbio, per esempio, che la cecità sia male: ma la cecità stessa, in quanto tale, non esiste; esiste solo in quanto mancanza della vista, in quanto venir meno della capacita di vedere.
Il tempo
Un'altra analisi di straordinaria importanza è quella della temporalità, che si trasforma in uno studio sull'anima.
Nelle Confessiones Agostino spiega che alcuni catecumeni erano venuti a chiedere cosa faceva Dio prima di aver creato il tempo. Agostino, a differenza di altri, riconosce che la domanda in sé è giusta, e richiede una risposta altrettanto seria. Appare subito chiaro però che non è semplice definire cosa è il tempo, una esperienza apparentemente così semplice: con una frase diventata famosissima, Agostino riconosce che se nessuno mi chiede cosa sia il tempo, so cosa è, ma nel momento in cui qualcuno mi chiede di spiegarlo non so farlo.
Perché ci sia il tempo è essenziale la consapevolezza del passato e del futuro; nel semplice movimento degli oggetti naturali (il movimento del sole, l’acqua che cade da una cascata, le lancette dell’orologio) questa è del tutto assente. Questa consapevolezza viene raggiunta in Agostino da una semplice considerazione linguistica: tutti noi parlanti siamo immersi da sempre in un ambiente comunicativo orale che prevede l’uso di tempi verbali per descrivere un’azione presente (cioè che si svolge nel momento in cui parlo), un’azione futura (che si svolgerà appunto in un momento futuro, successivo a quello in cui sto parlando) e un’azione passata (che si è già svolta nel momento in cui parlo).
I problemi nascono quando svolgiamo, come fa Agostino riflettendo sulle profezie (che gli interessano particolarmente dal punto di vista religioso), una semplice considerazione: noi parliamo del futuro, ma il futuro non esiste ancora; parliamo del passato, ma il passato non esiste più. Nessuno può sostenere che Giulio Cesare, di cui posso descrivere le gesta, esista in questo momento; così come nessuno può sostenere che esista in questo momento il XXIII secolo. Apparentemente, solo il presente di salva da questa condizione di non essere.
Questa situazione è già abbastanza problematica: il tempo, considerato inizialmente come qualcosa di molto semplice, si dimostra composto in parte di «essere» (il presente) e di «non essere» (il passato e il futuro).
Ma subito anche il tempo presente si dimostra problematico: che cosa infatti è davvero «presente»? Non certo l’anno che stiamo vivendo, osserva Agostino, visto che non tutti i mesi che lo compongono sono presenti tutti insieme; ma nemmeno il singolo mese, la singola settimana o il singolo giorno sono «presenti» tutti insieme alla nostra coscienza.
Una volta iniziato questo processo di smascheramento delle certezze del senso comune è impossibile fermarsi: neppure una singola ora è davvero «presente», dato che è composta di sessanta minuti, ciascuno dei quali è composto da sessanta secondi. Ogni volta che noi compiamo questa operazione di suddivisione, un solo secondo può essere quello davvero «presente». Ma in realtà l’operazione va ripetuta all’infinito: per quanto piccola sia l’unità di misura che stiamo considerando, sempre sarà possibile distinguere in essa una suddivisione in presente-passato-futuro. Mai troveremo un «presente puro», un «istante» che noi siamo in grado di cogliere con uno sguardo definitivo, un «atomo» temporale indivisibile che funga da «mattone» per tutto il resto del tempo.
E tuttavia la realtà del tempo rimane innegabile. Negare il fluire dal futuro verso il passato sarebbe semplicemente folle. Come si esce da questo paradosso?
La tesi di Agostino è che se il tempo non è nel mondo esterno, esso è (deve essere) nell’anima.
Cioè: il «tempo» esterno, quello dell’orologio, non è affatto tempo. Quello che si vede guardando (oggi, naturalmente, non ai tempi di Agostino!) le lancette dell’orologio è semplicemente un movimento, per essere esatti un «moto locale» (ossia uno spostamento che avviene nello spazio).
Il movimento (che è sempre nello spazio) è una condizione del tempo, non è il tempo. L’orologio ripercorre con un moto identico gli stessi spazi, la materia torna ad assumere gli stessi rapporti. È come se io facessi una somma, e poi alterassi l’ordine degli addendi: la somma è la stessa.
Ma come fa il tempo a essere nell’anima? Che cosa differenzia in modo così decisivo la coscienza dalle cose?
La coscienza, abbiamo visto, va intesa prima di tutto come un aprirsi verso l'essere. Ma a questo punto, nota Agostino, bisogna ammettere che esistono tre modi distinti di aprirsi verso l'essere:
la protensione verso il futuro (che non esiste ancora)
la ritenzione del passato (che non esiste più ma è ancora presente alla coscienza)
la attenzione verso il presente, che raccoglie in unità tutti i momenti.
La dimensione temporale del futuro è strettamente legata all’esperienza della libertà. Avere un futuro significa infatti aprirsi a un essere solo potenziale che implica l'esistenza della libertà: se fosse tutto già stabilito saremmo solamente parte di un meccanismo. L’uomo può, è vero, ridurre questo suo moto di protensione e ritenzione fino a vivere completamente nell’attimo presente, ma così si cesserebbe di vivere da uomo.
Se la coscienza è veramente un essere presente anche del passato si capisce infine l’importanza della storia. La coscienza è un modo di esistere: non è un lampo puntuale, ma una aprirsi all’essere temporale.