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Storiografia sul XIV secolo
Frederic Lane, Le navi veneziane del Rinascimento




Il testo che segue è tratto da: Frederic Lane, Venetian Ships and Shipbuilders of the Renaissance, Johns Hopkins Press, 1934. Traduzione di Martino Sacchi
Il progresso nelle costruzioni navali è stato frutto dello sviluppo contemporaneo di una grande varietà di tipi di nave. Da un lato c'era una diversificazione di modelli a livello regionale, diversificazione dovuta all'esistenza di tradizioni costruttive indipendenti. Nei mari d'Europa c'erano due principali tradizioni regionali, quella dei mari nordici e del Baltico e quella mediterranea. Quella nordica può essere fatta risalire alla navi lunghe dei Vichinghi, quella meridionale al naviglio militare e mercantile dei romani e ai loro predecessori. Importanti scambi tra l'una e l'altra di queste due tradizioni europee si realizzarono a partire dall'epoca delle crociate, ma fu soltanto alla fine del Quattrocento che produssero una progenie comune più grande di loro, la tradizione atlantica.
Accanto alle differenze regionali esisteva una molteplicità di tipi all'interno di una stessa area dovuta alla diversità degli scopi per i quali le navi venivano impiegate. Le unità da guerra e i mercantili, i pescherecci e i trasporti per i lunghi viaggi - per ricordare solo le differenze più ovvie - presentavano ciascuno un problema diverso a ciascun gruppo di costruttori chiamato a risolvere le necessità di un popolo marinaro. In Mediterraneo, dove la tradizione costruttiva era più antica, essa era anche più articolata, e la creazione di tipi specializzati venne sviluppata qui, durante il medioevo, più di quanto non lo fu nel nord. Inoltre, la grande utilità sia delle navi a remi sia di quelle a vela nelle acque del Mediterraneo presentò l'opportunità di una più ampia varietà. Questa grande diversità nella tipologia delle navi può racchiudere un importante messaggio per lo storico del commercio a condizione che egli sia in grado di decodificarlo in modo adeguato. Le navi stesse sono un immagine del commercio. L'uso di un certo tipo di mercantili indicava certe condizioni del commercio, perché le caratteristiche di ciascun tipo di navi erano determinate in larga misura dalle esigenze di un particolare tipo di navigazione, forse di un particolare viaggio, dalle difficoltà di navigazione, dalle opportunità commerciali e dai pericoli di ordine politico implicati in quel settore del commercio per il quale la nave veniva progettata.
L'interpretazione delle registrazioni del numero e dei viaggi delle navi richiede la conoscenza degli scopi specifici dei differenti tipi e dei cambiamenti sia nelle navi sia nelle tecniche militari e nelle condizioni commerciali, che modificavano la loro utilità. Dove manca la comprensione del significato dei tipi di navi, c'è il grave rischio di osservare da una falsa prospettiva solo certi tipi di navi e di conseguenza solo una parte ristretta del commercio. D'altra parte, lo studio tecnico delle linee d'acqua e dell'armamento delle navi è da solo insufficiente a rendere comprensibile lo sviluppo e la scomparsa dei vari tipi di navi. Bisogna tenere continuamente presenti gli scopi commerciali o militari per i quali vennero disegnate. In realtà, una storia della navigazione commerciale che tentasse di presentare una spiegazione completa della creazione e dell'abbandono dei vari tipi di navi diventerebbe una storia del commercio marittimo, e uno studio analogo sulle navi da guerra includerebbe una storia della guerra navale. Sebbene le pagine che seguono non abbiano a obiettivi così ambizioni, perfino per la marina veneziana, tuttavia una breve spiegazione delle principali differenze tra i tipi di naviglio utilizzati è una introduzione essenziale allo studio dell'industria che li ha prodotti.
Dal tempo dei fenici, le navi del Mediterraneo sono state divise in «navi lunghe» e «navi tonde». Le navi lunghe erano equipaggiate con remi, quelle tonde invece dipendevano interamente dalle vele: di conseguenza questa distinzione equivale a quella tra navi a remi e navi a vela, e a quella tra navi da guerra e mercantili. Ma anche quando queste distinzioni nell'uso e nella propulsione di queste due grandi classi di navi occasionalmente scomparve e una «nave lunga» carica di mercanzie navigava sotto vela, la differenza tra i due gruppi rimaneva a causa delle differenti dimensioni e della sistemazione del ponte. Le navi lunghe erano basse e strette, quelle tonde erano alte e larghe. La nave lunga medievale, la galea, aveva un solo ponte continuo quasi interamente occupato dai rematori, mentre la nave tonda dello stesso periodo poteva avere due o tre ponti sormontati dal castello di prua e da quello di poppa.
Nel tredicesimo secolo i tipici esempi di questi due tipi di nave, le più usate presso i veneziani, erano la galea, una «nave lunga», e due modelli di nave tonda, una più grande - più tardi detta "buzonave" - e una più piccola, la "taretta". Le loro qualità sono rese evidenti da un episodio avvenuto vicino a Saseno nel 1264 durante la guerra tra Venezia e Genova. I veneziani avevano in precedenza fatto partire una flotta militare di cinquantacinque galee. Facendo affidamento su questa forza per eliminare la flotta genovese, il Doge fece partire un convoglio di navi mercantili senza una particolare scorta. Ma la flotta veneziana non riuscì a rintracciare l'ammiraglio genovese, Simone Grillo, che si era trattenuto in Sicilia. Questo è il resoconto veneziano di ciò che seguì :
Quando Simone Grillo, l'ammiraglio genovese, conobbe la verità, che cioè le galee dei veneziani erano andate verso la Siria, e apprese che il convoglio proveniente da Venezia stava arrivando senza la protezione delle galee, non perse tempo nel lasciare il porto dove si era appostato con tutte le sedici galee del Genovese e mosse per intercettare le navi dei veneziani che avevano appena lasciato Venezia. Il Genovese fece così forza sui remi e sotto vela che incontrò il convoglio dei veneziani quando stava entrando in mare aperto. E quando si avvistarono i genovesi cominciarono a gridare "Addosso, addosso", e i veneziani che erano sulla navi presero le armi. C'era tra da di esse una grande nave (nef) facilmente difendibile. Le navi piccole si raggrupparono attorno a essa, e allora i genovesi si fecero sotto e attaccarono le piccole tarette. I veneziani si difesero così bene che i genovesi non ottennero nulla, così che si ritirarono di mezza lega. E quelli delle piccole navi veneziane presero le merci preziose, le trasferirono sulla grande nave, che si chiamava "Roccaforte" ("Roqueforte"), vi si rifugiarono subito e lasciarono andare le piccole tarette alla deriva in mare senza uomini a bordo, e a tre di esse furono aperte vie d'acqua e andarono a fondo. Quando i genovesi videro le tarette andare alla deriva qua e là pensarono che fosse un trucco e che i veneziani vi si fossero nascosti per attaccarli. E quando si accorsero che erano senza equipaggio, andarono e le abbordarono e trovarono all'interno l'olio e il miele e le altre mercanzie voluminose. E sappi che ce n'erano in numero di dieci, e che nessun uomo venne catturato o ucciso tranne uno. Quando Messer Simone Grillo si impadronì delle tarette inviò un'imbarcazione alla nave per dire loro che se si fossero arresi li avrebbe portati in salvo in terra ferma senza offese personali. E Messer Michele Daru, il comandante..., replicò loro che se erano uomini di fegato si facessero sotto, e che la nave straripava d'oro e delle più ricche merci al mondo. L'imbarcazione tornò indietro e l'Ammiraglio e le altre galee girarono attorno alla nave veneziana. Poi se ne andarono e portarono vittoria da questo combattimento e riportarono le tarette a Genova, e la Roccaforte tornò indietro a Ragusa.
Il cronista genovese naturalmente riportò la storia in modo un po' diverso, ma anche la sua versione distingueva nello stesso modo le diverse fortune delle galee, della grande "Roccaforte" e delle piccole tarette, ciascuna delle quali era un esempio rappresentativo dei i tipi principali delle navi del Duecento. Le galee capaci di navigare sia a remi sia a vela facevano parte della flotta da guerra e avrebbero dovuto essere inviate con i mercantili se ci si fosse aspettato di incontrare una flotta ostile. Le piccole navi tonde probabilmente non erano in grado di resistere a lungo contro le galee da guerra. Si trattava di velieri bassi e relativamente poco protetti, che trasportavano per lo più le merci più ingombranti e meno pregiate. La nave grande, d'altro canto, con le sue alte fiancate torreggianti e i castelli pieni di uomini armati era in grado di difendersi da sola. Una nave di questo tipo aveva un preciso significato bellico, e molte di esse, esattamente come le galee, vennero costruite per scopi militari. Ma anche così le loro funzioni rimanevano separate. La nave tonda e quella lunga, in guerra, erano tanto diverse tra loro quanto un castello e un contingente di cavalieri. Quella tonda poteva difendersi bene dalle galee, ma nei secoli precedenti lo sviluppo dell'artiglieria pesante era inutilizzabile per attaccarle. Nell'episodio appena descritto la "Roccaforte" non poté né manovrare contro le galee né difendere le piccole tarette. Finché il combattimento corpo a corpo rimase il momento decisivo dello scontro navale le navi da guerra a remi furono quelle preferite nel Mediterraneo. Adatte sia allo speronamento sia all'arrembaggio, schierabili come un esercito, queste navi davano a chi le manovrava, nei confronti di un avversario più lento, il vantaggio di poter accettare o rifiutare a piacere il combattimento. Le navi lunghe non solo dominarono la guerra navale nel Mediterraneo dai suoi albori fino al diciassettesimo secolo, ma per gran parte di questo periodo ebbero anche una notevole importanza come vettori di merci e passeggeri. Trasportavano infatti le più pregiate mercanzie del commercio medievale e lasciavano alle navi tonde i carichi più ingombranti e meno preziosi. Per i romantici, le navi hanno conosciuto un'unica età dell'oro, circondata da due età del ferro. L'epoca d'oro, in cui il vento catturato con abilità faceva tutto il lavoro, dura solo alcuni secoli tra le due epoche del ferro del remo e del vapore. Il predominio militare della nave a remi durò dieci volte di più di quello del veliero. Ma i rematori che sudavano le proverbiali sette camicie a bordo delle galee di Venezia non erano, fino al Cinquecento, schiavi incatenati ai loro banchi, ma liberi cittadini pronti a scambiare i remi con le armi al momento della battaglia. Erano arruolati tra gli uomini più validi che si presentavano ai banchi di arruolamento sistemati in Piazza San Marco. Quando l'equipaggio di una galea da mercato non riceveva quanto gli spettava al ritorno della nave a Venezia, i rematori si accalcavano sullo scalone di Palazzo Ducale e gridavano le loro richieste fin quando i senatori non si decidevano a metter fine a quello scandalo obbligando i comandanti della galea a soddisfare le proteste dei marinai.
Le galee veneziane del Duecento, sebbene potessero trasportare merci, appartenevano tutte al modello destinato fondamentalmente al combattimento, e di solito accompagnavano i convogli di mercantili in rotta verso la Siria o Costantinopoli con funzioni di scorta. La mancanza di quest'ultima si era dimostrata disastrosa a Saseno, sebbene la "Roccaforte" era stata in grado di limitare in qualche modo le perdite. Nel secolo successivo i Veneziani organizzarono in modo completamente diverso le loro flotte commerciali, e ciò fu possibile per l'introduzione alla fine del Duecento di un nuovo tipo di nave, la grande galea da mercato. Da questo momento i veneziani costruirono due tipi di galea, quella «sottile» per la guerra e quella «grande» per trasportare mercanzie in viaggi commerciali. Sebbene la loro struttura fosse fondamentalmente uguale, si differenziarono sempre di più sia nelle dimensioni sia nell'armamento durante i secoli successivi.
Le galee sottili mantennero più chiaramente le caratteristiche tipiche della nave lunga. La loro forma era determinata dal desiderio di garantire la velocità necessaria a superare in manovrabilità il nemico, e questo obiettivo determinava sia le proporzioni dello scafo sia la disposizione delle sovrastrutture. La lunghezza dello scafo, circa 36 metri al ponte, era più o meno otto volte la larghezza dell'ordinata maestra, mentre l'altezza di puntale era appena di 1,5-1,8 m.
Mentre le forme delle navi lunghe dei vichinghi o di altri popoli, costruite secondo la tradizione nordica primitiva, derivavano da pesanti tavole sovrapposte e unite insieme, e solo successivamente rinforzate dalle ordinate, la robustezza delle galee veneziane era dovuta all'ossatura di ordinate e controdormienti che veniva costruita per prima e poi ricoperta da fasciame affiancato. Le ordinate (o corbe) venivano fissate alla chiglia in numero variabile tra 72 e 88 per i trenta metri di lunghezza della nave, ed erano unite insieme da grosse travi che svolgevano la funzione di controdormienti e che correvano dalla ruota di prua al dritto di poppa. I bagli che sostenevano il ponte poggiavano sulle più alte e massicce di queste travi. Questa struttura essenziale della nave, con il suo fasciame, era nota come "opera viva". Le sovrastrutture come il castello di poppa e i buttafuori per le scalmiere dei remi erano dette al contrario l'"opera morta".
Dal profilo dell'opera viva dello scafo dipendeva la robustezza della galea e la capacità di scivolare sull'acqua senza sforzo. La disposizione dell'opera morta del ponte era ugualmente importante per garantire la velocità della galea, perché questa struttura offrirono la soluzione al complesso problema di rendere possibile a un gran numero di uomini pigiati uno sull'altro di manovrare in modo efficace i loro enormi remi. Sebbene si sia molto discusso sul modo in cui questo problema venne risolto dai greci e dai romani, le soluzioni adottate sulle navi medievali è stata ricostruita in modo definitivo, e ci sono valide ragioni per pensare che la disposizione sulle triremi e quinqueremi antiche fosse nella sostanza identica a quella delle corrispondenti navi veneziane.
Tra il 1290 e il 1540 le galee veneziane standard erano triremi con venticinque o trenta banchi per fiancata con tre rematori per banco, ciascuno dei quali manovrava un singolo remo. Le galee avevano un unico ponte, diviso in tre sezioni: una piattaforma per il combattimento a prua, un castello a poppa, più alto e più largo, e in mezzo lo spazio per i rematori, che occupava quasi tutta la lunghezza della galea e che era diviso in due da una passerella centrale. Lo spazio disponibile per i remi e i rematori si estendeva oltre le fiancate dello scafo, poiché le travi su cui si appoggiavano i remi, cioè la struttura dei buttafuori, sporgevano sull'acqua con il sostegno di mensole che si staccavano dalle estremità dei bagli. Per chi si trovava sul ponte, l'estremità della galea non era il trincarino dello scafo, ma il parapetto costruito sulla struttura dei buttafuori a protezione dei rematori. In questo modo si può dire che una galea con un baglio di circa 4,5 metri, una dimensione normale, aveva uno spazio effettivo sul ponte di oltre 6 metri e mezzo di larghezza e quasi 32 di lunghezza su cui sistemare i rematori.
I rematori erano disposti su banchi alla stessa altezza su ciascun lato della corsia centrale. I banchi non erano ad angolo retto con la corsia, ma disposti obliquamente verso poppa, in modo che l'estremità interna fosse più a poppavia di quello esterna. Questa disposizione dei banchi rendeva possibile mantenere paralleli tutti i remi senza che si ostacolassero a vicenda. I remi adottati nel cinquecento erano lunghi tra gli 8,70 e i 9,60 metri e pesavano quasi 53 kg: sistemare i buttafuori per i remi all'esterno delle fiancate era dunque una scelta obbligata per dare ai vogatori un braccio di leva sufficiente. Anche se solo un terzo del remo era entrobordo, l'impugnatura era appesantita con piombo per bilanciare il remo e far sì che il rematore non dovesse sostenerne il peso. Di fronte ai banchi si trovava una bassa pedana sulla quale i rematori salivano per mettere i remi in acqua e sulla quale potevano far forza quando si buttavano indietro e gettavano tutto il loro peso sul remo. Sul ponte della galea erano poi piazzati dei soldati, chiamati normalmente «arcieri» anche dopo aver sostituito l'arco con l'archibugio. Questi soldati potevano venir schierati sulla piattaforma di combattimento a prua, sul castello di poppa con il comandante e gli altri ufficiali e sulla corsia, ma quando la galea era in navigazione si sistemavano normalmente lungo le fiancate presso le estremità dei banchi, vicino al parapetto. Quando i remi passavano a gruppi di tre sulla struttura dei buttafuori, tra ciascun gruppo rimaneva uno spazio di circa 90 cm, e questi spazi era la postazione normale degli arcieri. In questo modo la corsia centrale restava libera per le manovre dei marinai. Per manovrare le vele e il timone servivano almeno otto marinai. La galea sottile portava di solito un unico albero. Questo si trovava piuttosto avanti nella nave ed era armato con una vela latina. A bordo c'erano due vele da usare alternativamente a seconda del tempo. Ogni galea portava tre timoni, due concepiti per venir allargati dai lati della poppa quando la nave veniva fatta virare, e l'altro costruito per adattarsi alla curvatura della ruota di poppa. I timoni laterali erano quelli tradizionali del Mediterraneo. Attaccare il timone al dritto di poppa era un'invenzione della tradizione nordica introdotta nel Mediterraneo intorno al 1300 che gradualmente soppiantò i timoni laterali.
Le galee sottili veneziane erano equipaggiate come tutte le altre per la navigazione a vela, ma non avevano un rendimento particolarmente buono, perché i loro costruttori avevano la tendenza a sacrificare la tenuta al mare alla velocità a remi realizzando le loro galee più strette e più basse. Entro il Cinquecento questa tendenza si era spinta a tal punto che i comandanti delle galee si lamentavano che i ponti venivano spazzati con troppa facilità dalle onde e che i soldati si trovavano a combattere in condizioni di inferiorità quando si scontravano con galee più alte di bordo. Bordeggiando controvento era impossibile impedire ai remi e ai buttafuori sottovento di venire trascinati in mare, col risultato di dimezzare la velocità della nave e di rompere molti remi. Contemporaneamente, con l'accresciuta importanza del cannone, la prua della galea veniva così sovraccaricata di artiglieria che quando si navigava controvento il castello di prua scompariva nelle onde. Ma la velocità rimaneva sempre l'obiettivo principale, e tra le due tendenze contrastanti, rendere le galee più marine o dar loro maggior velocità a remi, quest'ultima complessivamente ebbe la meglio. Sebbene la galee veneziane fossero più lente sotto vela e subissero più danni nelle tempeste di quelle turche, ancora alla fine del cinquecento i veneziani godevano della reputazione di costruire le galee migliori.
Nella galea sottile tutte le caratteristiche della nave lunga a remi vennero spinte al massimo. Navi lunghe più piccole, fuste, galeotte, brigantini e fregate,* erano semplificazioni della galea sottile, spinte da uno o due rematori e altrettanti remi per banco e usate per inviare messaggi o per pattugliare la costa. Ma le galee grandi costituivano quasi un tipo a parte, finalizzate com'erano a combinare alcuni dei vantaggi della nave tonda con quelli della galea. A Venezia la galea grande raggiunse una particolare importanza dapprima come mercantile e in seguito come nave da guerra e può essere considerata, più che quasi ogni altra, una nave tipicamente veneziana, un prodotto modellato in egual misura dalle conoscenze nell'arte navale e dal sistema economico di quella città.
La galee grandi raggiunsero un'utilizzo commerciale molto diffuso nel giro di un decennio dal 1294 o 1298, data in cui si dice che siano state inventate. Certo, navi lunghe più piccole venivano utilizzate già da molto tempo nelle situazioni di emergenza per trasportare le merci dei mercanti veneziani al sicuro o per trasferire rapidamente carichi particolarmente preziosi, come un carico d'oro da Tunisi, Ma la galea sottile aveva una capacità di carico limitata, mentre il suo numeroso equipaggio la rendeva estremamente costosa, e la galea grande combinava quasi altrettanto sicurezza con migliori qualità nautiche e una maggiore capacità di carico.
Grazie alla politica commerciale dello stato, questo nuovo tipo di nave sostituì non solo le galee più leggere ma anche, e in modo più ampio, rimpiazzò le navi tonde. Perdite come quelle di Saseno - e si trattò di una sola tra le molte che si verificarono durante le prime due guerre contro Genova - spinsero Venezia, subito dopo la conclusione della seconda nel 1229, a inaugurare un nuovo sistema di convogli mercantili. Un ventaglio molto ampio di merci dovevano da quel momento in poi essere trasportate a Venezia solo da navi armate, cioè in pratica galee con un equipaggi di ben più di cento uomini. Le merci riservate a queste navi includevano spezie e sete, in realtà tutte le merci leggere del commercio veneziano, salvo alcune eccezioni ben precise. Le galee grandi erano contemporaneamente soggette a una severa regolamentazione da parte dello stato che sceglieva gli ufficiali comandanti della flotta e determinava il numero degli uomini, l'equipaggiamento e le misure delle navi, il numero di queste che dovevano essere fatte partire per ogni singolo viaggio, il momento della partenza e del ritorno, i prezzi di nolo, e un gran numero di altri dettagli. Nella seconda metà del trecento perfino le galee vennero approntate dallo stato e affittate ai mercanti che si assumevano i rischi e i profitti per armarle e caricarle per i loro viaggi. Queste flotte di galee di stato venivano protette dalla concorrenza sia delle navi tonde sia di galee veneziane appartenenti a privati che avrebbero potuto partecipare allo stesso viaggio, e in questo modo lo stato a poco a poco concentrò nelle sue mani tutta la attività di costruzione delle galee.
Si è detto talvolta che le galee grandi, che in questo modo erano venute a soppiantare tutte le altre navi come regolari vettori di merci preziose, assomigliavano alle galee al centro e alle navi tonde alle due estremità, ma una simile caratterizzazione sottolinea eccessivamente la somiglianza con le navi tonde. Anche se avevano prue più alte e più tozze e poppe più larghe di quelle delle galee sottili, avevano un solo ponte ed erano completamente prive degli alti castelli di pura e di poppa della grande nave tonda. Restavano essenzialmente delle galee, più grandi sotto ogni punto di vista delle galee sottili, più larghe e con un pescaggio maggiore, e capaci di issare più vela, ma sia le loro sovrastrutture sia le proporzioni fondamentali degli scafi erano quelli di una nave lunga.
In realtà quando cominciarono a entrare in servizio, all'inizio del Trecento, non erano molto diverse dalle galee sottili del tempo. Le misure approvate dallo stato per la loro costruzione variavano leggermente a seconda del viaggio per il quale erano previste. C'erano galee della misura di Fiandra, della misura di Trebisonda, della misura di Alessandria. Si supponeva che le più grandi, quelle di Fiandra, caricassero circa 140 tonnellate sotto coperta. Un secolo dopo - vale a dire nel quattrocento - le galee fiamminghe, il tipo più usato, erano state ingrandite in modo da trasportare circa 200 tonnellate sotto coperta. Una galea leggermente più bassa e più stretta, che trasportava circa 150 tonnellate, era progettata appositamente per il viaggio a Costantinopoli. L'apice dello sviluppo delle galee grandi veneziane venne raggiunto intorno alla meta del quattrocento. Da quel momento in poi le galee da mercato per i lunghi viaggi furono praticamente tutte di un unico modello di grandi dimensioni, capace di trasportare 250 tonnellate sottocoperta. Mentre le galee leggere avevano un rapporto tra la lunghezza al ponte e la larghezza pari a 8:1, per le galee da mercato questo rapporto era solo di 6:1. Basse sull'acqua quando erano a pieno carico, potevano venir manovrate a remi solo con grande difficoltà. Trasportavano ancora rematori disposti come su una galea sottile, ma la struttura dei buttafuori su cui poggiavano i remi era relativamente vicina alle fiancate, così che i rematori disponevano di un braccio di leva minore, e non era previsto l'uso dei remi se non nelle emergenze e al momento di entrare e uscire dal porto. In verità si sapeva che i comandanti lasciavano a terra due terzi dei remi perché non venissero rotti. Sebbene le sovrastrutture e, più vagamente, le loro proporzioni conservassero traccia della loro origine come navi a remi, le galee grandi erano diventate in pratica navi a vela. Le loro qualità sotto vela sono evidenziate dal viaggio di ritorno delle galee di Fiandra nel 1509. A causa della lega di quasi tutta l'Europa contro Venezia, ricevettero l'ordine di rientrare in patria senza scali, e realizzarono quello che fu considerato un viaggio record: navigarono da Southampton a Otranto, circa 2500 miglia, in 31 giorni.
Le migliori descrizioni di queste navi ibride si trovano nei resoconti dei pellegrini che navigarono da Venezia verso al Terra Santa su galee essenzialmente simili. La seguente descrizione che Felix Fabri fa della nave su cui compì il suo secondo viaggio nel 1483 è particolarmente vivo e ricco di dettagli, sebbene l'allusione ai rematori come a "schiavi" sembra un malinteso.
Una galea è una nave di mare di medie dimensioni, ed è né del tipo più grande né di quello più piccolo... Ora una bireme è un nave che è spinta da coppie e coppie di remi, ma una trireme è una nave che è mossa da terzetti e terzetti di remi, perché su ogni banco essa ha tre remi e altrettanti rematori. Ora la galea sulla quale io compii il mio secondo viaggio aveva sessanta banchi perpendicolari alla chiglia, e sopra ciascuno di essi tre rematori con i loro remi: e per essere attrezzata come nave da guerra aveva un arciere con il suo arco su ciascun banco insieme ai rematori. Ora tutte le galee delle stesse dimensioni sono così simili da ogni punto di vista che chi passi dalla propria su un'altra potrebbe a fatica accorgersi della differenza, eccetto il fatto che sono diversi gli ufficiali e i membri dell'equipaggio, perché le galee veneziane si assomigliano come gocce d'acqua. Sono costruite con il legname più robusto, e tenute insieme da molti catenacci, catene e ferri. La prima parte della galea, quella anteriore, che è detta prua, è affilata dove incontra il mare, e ha un robusto rostro, qualcosa che assomiglia in qualche modo a una testa di dragone, con la bocca aperta, fatto tutto di ferro, con cui colpire qualunque nave si incontri. Su ciascun lato del rostro ci sono due fori, attraverso cui passa la testa di un uomo, e attraverso cui passano i cavi delle ancore e queste sono tirate su; né il mare può penetrarvi eccetto che in grandi tempeste. Il rostro della prua si allunga verso l'alto, e da qui comincia a ingrossarsi contro il mare la pancia della nave. Inoltre la prua ha una sua propria vela, detta dalum, chiamata comunemente trinketum; sotto di questa si trova un piccolo locale dove sono stivati cavi e vele; qui dorme il capitano della prua, che un suo proprio equipaggio che sta li e in nessun altro posto, e fa il lavoro di quella parte della nave; questo è anche il luogo dei poveracci raccattati dagli schiavi di prua. Inoltre su tutti e due i lati della prua pendono grandi ancore di ferro che vengono calate in mare nei momenti opportuni. La poppa, che è l'altra ed estrema propaggine della galea, non è appuntita come la prua dove incontra il mare, e non ha un rostro ma è ampia e curva dall'alto verso il basso sull'acqua, ed è molto più alta della prua con sopra una costruzione che essi chiamano il castello. Alla poppa è appeso il timone, o dritto del timone, che si tuffa in acqua, sopra il quale, in un locale a graticcio, si trova il timoniere, che tiene in mano la barra. Il castello ha tre piani: il primo è quello dove si trovano il timoniere e la bussola, e l'uomo che dice al timoniere che cosa segna la bussola, e coloro che osservano le stelle e i venti e indicano la rotta attraverso il mare; il piano intermedio è quello in cui si trova la cabina del Signore e capitano della nave, e dei suoi nobili compagni e commensali; e quello più basso è quello in cui vengono sistemate per la notte le nobili signore, e in cui si trova il tesoro del capitano. Questo locale non riceve luce se non dal boccaporto del ponte di sopra. Da ciascun lato della poppa pendono dei battelli, uno grande e uno piccolo, che vengono calati in acqua nei porti e usati per sbarcare la gente. Sul lato destro c'è una scaletta che si usa per scendere nei battelli in mare o per risalirne. Anche la poppa ha la sua vela, più grande di quella di prua, che viene chiamata mesavala, cioè la "la vela di mezzo"; il suo nome latino è epidromus. Sopra la poppa poi è sempre issata la bandiera per indicare da quale direzione stia soffiando il vento. Partendo dal castello di poppa, dopo un intervallo di due banchi, sul lato destro c'è la cucina, che non è protetta da niente: sotto la cucina c'è la cambusa, e accanto si trova il recinto degli animali destinati al macello, in cui stanno tutti insieme pecore, capre, vitelli, oche, mucche e maiali. Più oltre, sullo stesso lato per tutta la lunghezza della nave fino a prua si trovano banchi con i remi. Sul lato di sinistra ci sono banchi di rematori senza interruzioni da poppa a prua, e su ogni banco si trovano tre rematori e un arciere. Tra due banchi alla fine della nave si trova su ciascun lato una bombarda su un sostegno girevole in ferro, e su ciascun lato c'è una bombardana, che in caso di necessità sparano fuori pietre. Nel centro della nave sta l'albero, alto, grosso e robusto, realizzato con molte travi fissate insieme, che porta il pennone con l'accaton, o vela principale. In cima all'albero c'è quello che i tedeschi chiamano il "cesto", gli italiana la "keba", i latini "carceria". Sul ponte, vicino all'albero, c'è uno spazio aperto dove ci si riunisce a parlare, come in un mercato; ed è chiamato il mercato della galea. La vela principale è divisa in cinquantatré pezzi di stoffa, ciascuno dei quali misura più di un metro, ma per affrontare i diversi tipi di tempo vengono issati diversi tipi di vela, più piccole dell'accaton. Nelle tempeste si mette una vela quadra (sic, in contrasto con la figura V) di tela robusta chiamata papafigo. Ora su questo ponte superiore della galea stanno gli ufficiali della galea e i galeotti, ciascuno al suo banco, e qui dormono, mangiano e lavorano. Tra i banchi c'è uno spazio abbastanza ampio, dove stanno grandi casse piene di mercanzia, e a un livello più alto di queste casse c'è una passerella che corre da prua a poppa, sulla quale gli ufficiali corrono su e giù quando si va a remi. Vicino all'albero maestro c'è il boccaporto principale, attraverso il quale si scende con sette gradini nel locale dove i pellegrini vivono, o dove viene sistemato il carico nelle galee da trasporto. Ora questo locale si stende in lunghezza dalla cambusa a poppa alla piccola cala delle vele a prua, e in larghezza da un lato all'altro della galea, e assomiglia a una stanza ampia e spaziosa. Non riceve luce se non quella che viene dai quattro boccaporti di entrata. In questa cabina ogni pellegrino ha il suo giaciglio o posto dove dormire. I giacigli dei pellegrini sono sistemati dappertutto per la nave, o meglio per la cabina, in modo tale che ciascuno tocca quello vicino senza che resti spazio tra di essi, e i pellegrini giacciono l'uno di fianco all'altro, lungo entrambi i lati della nave, tenendo la testa verso l'esterno e con i piedi stesi gli uni contro gli altri. Poiché il locale è ampio, le casse e i bauli dei pellegrini, in cui essi tengono i loro effetti personali, stanno nel mezzo, tra i giacigli, dalla dispensa al locale di prua, e i piedi di quelli che stanno dormendo arrivano fino a questi bauli. Sotto i pellegrini si trova un grande spazio che si spinge giù fino al fondo della galea, spazio che è detto la pancia della galea, perché la galea non è a fondo piatto come altre navi, ma è appuntita da prua a poppa, così che una galea termina sotto con una base a a punta, così affilata che quando non è in acqua non può stare dritta sulla terra, ma deve piegarsi su un fianco. Questa stiva a punta viene riempita di sabbia fino ai bagli del ponte dove si trovano i pellegrini; e i pellegrini sollevano le assi del ponte per seppellire nella sabbia le bottiglie dove conservano il loro vino, e le uova, e le altre cose che hanno bisogno di essere tenute al fresco. Lì sotto, nel posto dove vivono i pellegrini, c'è il pozzo delle acque di sentina, in corrispondenza col centro dell'albero, e questo pozzo non contiene sudiciume umano, ma tutta l'acqua che in modo visibile o invisibile entra nella galea, la attraversa e si raccoglie in questo pozzo, da cui si diffonde la puzza più disgustosa, peggiore di quella che proviene da qualunque gabinetto pieno di feci umane. Questo pozzo deve essere svuotato con la pompa una volta al giorno, ma con cattivo tempo l'acqua deve esserne pompata senza sosta. Lungo il lato esterno della galea ci sono i posti per le necessità fisiologiche. L'intera galea, di dentro e di fuori, è coperta della pece più nera, così come cavi, tavole e ogni altra cosa in modo che l'acqua non possa farla marcire facilmente. I cavi per manovrare le vele e le ancore occupano una gran parte della galea, perché sono numerosi, lunghi, grosse e di diversi tipi. È mirabile vedere la moltitudine di cavi e delle loro giunzioni e dei loro intrecci in giro per il vascello. Una galea è come un monastero perché il posto della preghiera è sul ponte di coperta vicino all'albero maestro, dove c'è anche il mercato; la parte di mezzo della poppa corrisponde al refettorio; i banchi dei galeotti e i giacigli dei pellegrini sono il dormitorio; la sala del capitolo è di fronte alla cucina; le prigioni sono sotto il ponte della prua e della poppa; la cambusa, la cucina e la stalla sono tutte a cielo aperto sul ponte di coperta. Così, in poche parole, e tralasciando molti dettagli, hai l'immagine di una galea.
Le vele ricordate da Fabri mostrano che mentre la galea da mercato diventava più grande e più dipendente dalla velatura, la sua attrezzatura si sviluppava in netto contrasto con quella della galea sottile. All'inizio del Quattrocento la galea da mercato aveva avuto solo due alberi, dei quali il trinchetto era di gran lunga il più alto. La prima galea da mercato a tre alberi fu probabilmente del tipo mostrato nella Figura VI, così che alla metà del Quattrocento la galea da mercato aveva una attrezzatura più simile a quella di una caravella. Piuttosto diversa era l'attrezzatura della nave su cui viaggiò Fabri, perché in una data imprecisata prima del 1480 la galea da mercato adottò una sistemazione simile a quella che, nello stesso periodo, fu adottata dalla grande nave tonda, cioè un albero maestro a centro nave e alberi più piccoli a prua e a poppa. I pellegrini descrivono dettagliatamente l'uso delle vele in quest'ultima sistemazione. La velocità della galea dipendeva quasi interamente dalle vele issate sull'albero maestro centrale. Quelle a prua e a poppa erano usate soprattutto per manovrare la nave.
A bordo c'erano quattro vele per l'albero maestro. L'artimone, di forma triangolare, che Fabbri chiama acaton, era la vela da bel tempo usata con venti leggeri, ma troppo grande per essere tenuta issata con vento forte in poppa. In queste condizioni il pennone veniva ammainato, l'artimone veniva disinferito e una vela più piccola dello stesso tipo, il terzarolo, veniva legata e issata al suo posto. Se il vento aumentava ancora e la galea non poteva rientrare in porto e doveva affrontare la tempesta, i marinai ammainavano nuovamente l'antenna e vi inferivano la piccola vela quadrata detta cochina o il papafico, di forma triangolare. Figura V. Se al contrario la brezza era favorevole ma molto leggera, si poteva ricorrere all'espediente di issare la vela dell'albero di prua, il trinchetto, in testa d'albero come vela di gabbia sopra la vela principale. Inoltre il tendone col quale la galea veniva a volta coperta da prua a poppa per proteggere l'equipaggio dal sole o dalla pioggia poteva venir spiegato obliquamente attraverso la galea fissandolo all'albero maestro sotto la superficie della vela principale così da sfruttare tutto il vento possibile.
Se la nave restava totalmente bloccata dalla bonaccia, doveva di solito aspettare, come ogni altra nave a vela, che tornasse il vento, a meno che non si trovasse appena fuori dal porto. In questo caso si potevano usare i remi per portarla al sicuro. E questo non era un vantaggio da poco. Sebbene la galea da mercato dipendesse dal vento per spostarsi da un porto all'altro, faceva valere la sua indipendenza non appena si trovava nelle loro vicinanze. I remi restavano fermi per la maggior parte del viaggio, ma i pochi minuti in cui venivano usati erano di vitale importanza sia per la sicurezza sia per la rapidità del viaggio. La galea da mercato non doveva attendere per giorni nelle vicinanze di una costa pericolosa, e poi magari essere spinta dal vento sugli scogli o ricacciata di nuovo in mare aperto. I viaggi delle galee da mercato erano resi più rapidi e più affidabili di quelli delle navi tonde non dall'uso costante dei remi, ma dalla possibilità di usarli per breve tempo in situazioni critiche.
Per le galee da mercato la loro capacità di difendersi era seconda come importanza solo alla sua sicurezza in mare, giacché esse erano progettate per combinare non solo alcuni dei vantaggi delle navi a remi con quelli delle navi a vela, ma anche quelli di una nave da guerra con quelli di un mercantile. Quando gli scontri navali non erano altro che battaglie terrestri trasportate sulle navi, l'armamento essenziale di un vascello era l'equipaggio. L'elevato numero di uomini necessari su una galea per manovrare i remi forniva la base per una forza combattente molto più numerosa di quella che poteva essere impiegata su una nave tonda. In tutto l'equipaggio di una galea da mercato contava più di 200 uomini, ciascuno dei quali poteva essere chiamato a prender parte alla sua difesa. Le armi per questo scopo venivano fornite dall'Arsenale e trasportate in un apposito locale della stiva. Tra i duecento uomini dell'equipaggio, venti erano balestrieri - o dopo il 1486 archibugieri (o cannonieri?)- selezionati con un concorso pubblico tra i migliori tiratori di Venezia. Se si riteneva che il viaggio fosse particolarmente pericoloso, venivano imbarcati 20 o 30 balestrieri in più per ordine del Senato. Una squadra di tre o quattro galee perciò rappresentava una forza militare ritenuta sufficiente a difendersi da qualunque flotta pirata, a meno che questa non fosse assolutamente formidabile. Per due secoli le galee da mercato furono i più sicuri mezzi di trasporto marittimo disponibili. Offrivano la massima sicurezza sia contro le navi nemiche sia contro il tempo avverso. C'era perciò una giustificazione economica per il loro uso come vettori delle più costose merci in circolazione. Chiedevano noli più elevati rispetto alle navi tonde, ma i premi di assicurazione erano più bassi e il servizio era il più rapido e affidabile tra quelli disponibili. Alcuni mercanti consideravano denaro sprecato assicurare merci spedite con queste navi.
La loro portata piuttosto modesta sotto coperta, inferiore a quella della maggior parte delle navi tonde del tempo, non è un buon indicatore della loro reale importanza commerciale. Avevano l'ordine di dare priorità al carico di mercanzie preziose, e solo se non c'erano potevano caricare merci più economiche e ingombranti. Al vertice della loro fama, intorno al 1500, una flotta trasportava a Venezia ogni inverno più di mille tonnellate di spezie da Alessandria, e le flotte che si dirigevano verso l'oriente trasportavano 300.000 ducati in contanti oltre le balle di mercanzia. Inoltre, ogni membro dell'equipaggio - marinai, balestrieri o rematori - trasportava da qualche parte sul ponte un po' di merci di loro proprietà. In ogni porto scendevano a terra a tenere una fiera in miniatura. Se si tiene conto anche del carico sul ponte, risulta evidente che la capacità dello scafo non è che una indicazione parziale del carico totale di una galea.
Ma mentre nel quattrocento queste galee grandi erano i mercantili più famosi, esse praticamente scomparvero nei primi trentacinque anni del secolo successivo. Tra il 1535 e il 1569 non ne salpò nessuna da Venezia, tranne il caso di due dirette a Beirut e due verso Alessandria. Nel Seicento lo stato noleggiava galee per un viaggio alla città dalmata di Spalato, che era in quel periodo il capolinea di un itinerario terrestre col quale sete, spezie e tinture arrivavano dall'Oriente. Ma questa nuova rotta adriatica richiese a un nuovo tipo di nave, più bassa e più corta delle galee da mercato che facevano il viaggio fino a Southampton.
Il tramonto della galea da mercato fu dovuto in parte al contemporaneo sviluppo della nave tonda, ma venne affrettato dai cambiamenti nelle rotte commerciali e nelle condizioni politiche all'inizio del cinquecento. I numerosi equipaggi delle galee le rendevano eccessivamente costose. Quella spesa era stata giustificata solo dalla loro maggiore sicurezza e solo coloro che spedivano merci preziose potevano permettersi di pagarla. Nel XVI secolo il Mediterraneo perse il monopolio di cui aveva goduto fino a quel momento nel trasporto via mare verso l'Europa delle preziose merci orientali e del ritorno di carichi di oro e argento. L'uso commerciale delle galee, che era sempre stato un lusso, non poteva essere sostenuto più a lungo.
Inoltre, non c'era nessuna buona ragione per usare ancora navi così costose. Lo sviluppo dell'attrezzatura di tipo "full-rigged"* e dell'artiglieria navale aveva privato la galea da mercato della maggior parte dei suoi particolari vantaggi. Quando i cannoni divenne un fattore di maggior importanza nei combattimenti navali, la mancanza di protezione del ponte dei rematori di una galea leggera metteva la nave lunga in uno svantaggio crescente nel combattimento con la nave tonda che era meglio equipaggiata e armata. L'effetto demoralizzante sulle galee di una bordata ben diretta venne dimostrato in modo convincente e perentorio da Drake nel suo raid a Cadice e La Coruña nel 1587. Ma nel secolo che precedette il momento in cui Drake rese operativa la sua concezione della nave da guerra come piattaforma galleggiante per i cannoni, navi tonde con cannoni meno efficaci di quelli di Drake avevano dato brillanti dimostrazioni della loro capacità di opporsi agli attacchi delle galee. Allo Zonchio nel 1499 e a Prevesa nel 1538 le grandi navi tonde veneziane si erano trovate esposte all'attacco dell'intera flotta ottomana e in entrambi i casi si erano fatte onore. Le galee sottili mantennero in seguito per qualche tempo ancora la loro supremazia nelle flotte da guerra del Mediterraneo solo perché per prendere l'offensiva e cacciare dai mari flotte composte di galee erano necessarie altre galee. Mentre le navi tonde reggevano brillantemente gli attacchi, erano in difficoltà quando manovravano in una flotta che andava all'offensiva. Ma i mercantili avevano bisogno di elevate capacità difensive, non offensive. Le navi tonde avevano sempre posseduto in una certa misura queste qualità a causa delle loro alte fiancate e castelli. Il diffondersi dell'uso dei cannoni le rese sempre più difficili da catturare a patto che fossero difese da un adeguato numero di uomini.
Il nutrito equipaggio necessario per la difesa sia di una nave tonda sia di una nave lunga comportò una certa crescita nel costo dei trasporti. Il gran numero di uomini a bordo di una galea da mercato era stata la ragione principale degli alti noli che queste navi dovevano praticare. Ma su una galea da mercato i folti equipaggi erano serviti per un doppio scopo. Manovravano i remi e davano alla nave una certa indipendenza dal vento in alcune manovre cruciali e pericolose, come l'entrata e l'uscita dai porti. Sebbene i remi della galea da mercato venissero usati di rado, queste poche occasioni in cui entravano in gioco potevano evitare molti giorni di battaglia contro venti ostili per raggiungere di nuovo un porto già avvistato.
Alla metà del quattrocento cominciò uno sviluppo rivoluzionario nell'attrezzatura delle navi tonde. L'aggiunta della vela di gabbia, della vela di trinchetto e della mezzana le resero molto più maneggevoli. Sebbene i remi delle galee fossero ancora un vantaggio durante le bonacce, la nave tonda non aveva più un handicap così rilevante. Entro il 1500, e più chiaramente entro il 1550, lo sviluppo dell'attrezzatura delle navi tonde le rese altrettanto sicure per i lunghi viaggi che le galee.
Questa cambiamenti tecnici nell'arte della guerra, nella tecnica marinaresca e nell'attrezzatura portarono in ultima analisi alla supremazia della nave tonda in tutti i settori della navigazione. L'abbandono dei viaggi delle galee da mercato fu solo una delle conseguenze, una conseguenza il cui carattere è complicato dai cambiamenti commerciali e politici del Cinquecento. La posizione privilegiata che Venezia aveva occupato grazie alla sua collocazione geografica e al suo potere politico le stava sfuggendo. Le flotte di galee erano inadeguate non solo alle nuove condizioni economiche del sedicesimo secolo, ma anche alla situazione politica e navale creatasi con la crescita di potenti stati rivali. Nessun convoglio di mercantili poteva sperare di resistere alla flotta militare di uno dei grandi monarchi con cui Venezia era così frequentemente in guerra a quel tempo. Non era più prudente concentrare le merci più preziose dei suoi mercanti in poche flotte. Il Senato veneziano abolì i monopoli che avevano protetto le varie flotte di galee dalla competizione delle navi tonde con attrezzatura completa, e queste mandarono avanti i viaggi abbandonati dalla galee.
Le navi tonde inoltre sostituirono completamente le galee come navi passeggeri per i pellegrini nella prima metà del Cinquecento. Sin dalle crociate Venezia era stato il principale porto di imbarco per i pellegrini diretti in Terra santa, e continuò per secoli a essere il centro principale di questo lucroso traffico turistico. Nel trecento le galee erano considerate senza alcun dubbio preferibili come navi passeggeri perché viaggiavano lungo le coste entrando in porto ogni notte in modo che i viaggiatori potessero sempre mangiare cibi freschi e insieme visitare tutti luoghi interessanti. Se il pellegrino sceglieva di viaggiare su una nave tonda non avrebbe avuto cibo fresco e avrebbe visto molte famose città solo da lontano, perché la nave tirava dritto in alto mare verso la sua destinazione, entrando in porto solo in caso di necessità. Così la maggior parte dei pellegrini si imbarcava su una galea, sebbene questa soluzione costasse di più. Nel 1384 sei galee e una nave tonda imbarcarono seicento pellegrini, ma di solito in quel periodo salpavano tre o quattro galee all'anno e due o tre il secolo successivo. La galee dei pellegrini non erano, a differenza di quelle di "mercanzia", navi costruite dallo stato e affittate per il viaggio, ma i nobili veneziani che le costruivano e comandavano dovevano dar prova di se stessi agli occhi della Signoria e il loro comportamento nei confronti dei pellegrini era sottoposto a stretta regolamentazione. Le galee utilizzate per questo tipo di viaggi erano quasi del tutto identiche alle galee da mercato, tranne che di solito avevano solo due remi e due rematori per banco. Sono le uniche galee grandi amministrate da privati di cui io abbia trovato traccia nel quattrocento.
Si considerava necessario che almeno una galea fosse pronta per la festa del Corpus Domini per provvedere ai pellegrini che si raccoglievano a Venezia in primavera. Bisognava prendersi cura di esponenti dell'alta nobiltà, imparentati con principi stranieri, e mentre erano liberi di assicurarsi un passaggio su una nave tonda, potevano non trovarne una disponibile o insistere per effettuare il viaggio su una galea, e in quel caso la Signoria si trovava praticamente costretta ad autorizzarli a imbarcarsi su una galea da mercato diretta a Beirut, una interferenza nel viaggio commerciale che il governo preferiva evitare. I cantieri privati produssero abbastanza rapidamente le galee necessarie per i pellegrini almeno fino al 1500, quando l'unica prevista per questo utilizzo fu pronta appena in tempo. Nel 1518 non ce ne fu nessuna disponibile. Il Senato propose di correre ai ripari per il futuro mettendo all'incanto il diritto a costruire una galea che sarebbe stata l'unica autorizzata a questo tipo di trasporto. Non ci sono prove che qualcuno abbia accettato tale privilegio. Ma nel 1517 due navi tonde avevano trasportato i pellegrini e nel 1520 ne vennero appaltate a questo scopo tre. Evidentemente i pellegrini avevano cominciato a preferire il viaggio più economico offerto da queste navi a quello più caro delle galee. Nel 1546 cadde ogni speranza di far rivivere l'uso delle galee per questo tipo di trasporto e vennero emanate norme per riconoscere speciali autorizzazioni a navi tonde di stazza superiore alle 240 tonnellate. Ma il numero dei pellegrini calò così vistosamente rispetto al passato che il viaggio a Giaffa richiedevano una sola di queste navi all'anno. Abbandonate sia come navi passeggeri e sia come navi da trasporto, le galee grandi riacquistarono improvvisamente importanza come navi da guerra. In modo abbastanza curioso, fu lo stesso sviluppo dell'artiglieria che le rendeva più vulnerabili come vettori commerciali di merci preziose a rendere possibile la loro trasformazione in un formidabile rinforzo alle flotte militari mediterranee, ancora composte per lo più da galee leggere sempre più esposte. Intorno al 1550 l'attrezzatura di coperta di questo tipo di nave venne trasformata da Gian Andrea Badoer per adattarla al combattimento, e con la nuova sistemazione trasportava una quantità di artiglieria che la rendeva temibile per le altre galee. Nel 1571 le galee grandi giocarono un ruolo importante nella battaglia di Lepanto, dove vennero piazzate davanti alla linea di battaglia cristiana e con il loro fuoco portarono lo scompiglio nella flotta turca.
Contemporaneamente alla trasformazione della galea grande da mercantile a nave da guerra ottenuta sostituendo il carico di merci con i cannoni, un cambiamento nel modo di remare rese più facile costruire galee pesanti capaci di manovrare insieme a quelle sottili. In base a questo nuovo sistema tutti i rematori dello stesso banco manovravano lo stesso remo, e fu perciò relativamente facile aumentare il numero di uomini per banco. In precedenza erano stati compiuti molti sforzi per aumentare la velocità delle galee pesanti sistemando più uomini su ciascun banco. Marino Sanuto il Vecchio, scrivendo tra il 1306 e il 1321 per spingere il papa a una nuova crociata, dichiarò che galee con quattro remi e altrettanti rematori per banco erano state costruite con successo dai Veneziani prima di quella data, e ne suggeriva l'adozione per una nuova flotta in partenza per le Crociate. Due galee di questo tipo sono di nuovo citate in una flotta veneziana del 1432, e molte di esse si trovavano nell'Arsenale di Venezia nella prima metà del Cinquecento. Nel 1530 Vettor Fausto, un costruttore umanista, realizzò una galea spinta da cinque remi per banco; nel 1553 Francesco da Fiandra, Ammiraglio dell'Arsenale, era sicuro di aver trovato il modo di costruire una nave che sarebbe stata più veloce di ogni altra mettendo due uomini per remo e due remi per banco; si arrivò persino a suggerire, non da parte di un costruttore navale però, una galea a due ponti con i rematori sistemati su ciascuno di essi. Nessuno di questi sistemi ottenne un successo tale da essere ripetuto, e l'idea della nave due ponti non venne neppure realizzata.
L'introduzione di un unico remo grande manovrato da più uomini permise di impostare in modo nuovo tutto il problema della propulsione, perché potevano venire sistemati sulle stesso banco a manovrare lo stesso remo tanti uomini quanti ne permetteva la larghezza della galea. Anche se questi uomini in più non aiutavano un gran che nella manovra del remo, potevano sempre risultare utili in battaglia. Alla fine del Seicento la galea di un comandante di squadra aveva addirittura otto uomini per banco
Il nuovo sistema di remare rese possibile aumentare la velocità delle galee grandi. La guerra di Cipro, nel 1571, aveva evidenziato non solo i loro punti di forza ma anche quelli di debolezza. A Lepanto erano state rimorchiate ai loro posti, e nelle manovre dell'anno successivo l'Armada cristiana perse spesso l'occasione di arrivare allo scontro con il nemico a causa del tempo perso a cercare di sistemare le galee grandi di fronte alla linea principale così che esse potessero ripetere l'impresa di Lepanto nel disorganizzare la linea del nemico. La manovra che aveva avuto successo a Lepanto era stata a lungo tentata con le navi tonde, ma con scarso successo, perché se il vento cadeva le navi a vela non potevano prendere parte al combattimento. Le galee grandi davano migliori risultati dal momento che potevano muoversi con i propri remi, ma erano ancora troppo lente per poter partecipare con facilità alle operazioni delle galee leggere. Si riteneva che la lentezza delle galee grandi fosse dovuta al fatto che i remi erano troppo corti e che i buttafuori fossero troppo vicini allo scafo. Questo difetto di progettazione si era sviluppato nel periodo in cui erano usate come mercantili e i remi erano considerati esclusivamente come mezzi ausiliari di propulsione. Per garantire loro la velocità di cui avevano bisogno come navi da guerra i remi vennero allungati e a ciascuno di essi vennero posti cinque rematori. Una simile modifica nella lunghezza del remo sarebbe stata quasi impossibile quando ciascun remo veniva manovrato da un solo uomo. Ma con la nuova disposizione le galee grandi divennero navi da guerra ritenute, all'inizio del Seicento, altrettanto veloci delle galee sottili. Trasportavano un totale di settanta cannoni. Otto erano a prua, dieci a poppa e gli altri, piccoli pezzi che sparavano palle da tre a cinque libbre, erano piazzati lungo le fiancate tra i remi, affacciati a portelli praticati nei parapetti costruiti sulla struttura dei buttafuori. Così erano progettati per sparare una bordata in miniatura. In campo militare, come prima in quello commerciale, la galea grande raggiungeva un buon compromesso tra la nave lunga e quella tonda. Ma la nave tonda alla fine ottenne la supremazia su quella lunga sia in guerra sia in pace. Proprio come la nave ad attrezzatura completa sviluppata nel Quattrocento aveva soppiantato la galea da mercato sulle principali rotte mercantili e passeggeri, così alla fine la nave di linea soppiantò la galea da guerra nello schieramento da battaglia, e le navi lunghe alla fine cedettero il controllo dei mari alle torreggianti vele e alle bordate più potenti dei loro rivali più forti. Ma questo cambiamento non si completò in Mediterraneo se non più tardi, quando i Veneziani ebbero combattuto la loro ultima guerra navale contro i turchi.