Il 18 maggio 1565 il comandante navale cavalier Romegas era fuori a pattugliare il mare con quattro galee. Le vedette dei forti di Sant’Elmo e di Sant’Angelo avevano segnalato navi all’orizzonte. Romegas valutò che la forza della flotta attaccante fosse più di 200 unità e per quanto potesse aver avuto voglia di tagliar fuori qualche galea rimasta indietro, resistette alla tentazione. Quando La Valette fu informato, inviò immediatamente un messaggio urgente in Sicilia con un’imbarcazione veloce per chiedere ai.uto
La grande armata turca veleggiava verso sud. Si dava per scontato che gli ottomani stessero puntando sulla baia di Marasirocco nella zona meridionale dell’isola, col suo ottimo ancoraggio, ma la flotta tirò dritto e risalì lungo la costa occidentale per gettare finalmente le ancora in una baia nel nordovest dell’isola. Poi, avendo deciso che l’ancoraggio non era adatto, la flotta turca tornò indietro fino a Marasirocco. Questa indecisione sull’ancoraggio doveva ripresentarsi e costare loro molto cara.
Inizia l'assedio
Non si fece nessun tentativo per impedire lo sbarco: gli Ospitalieri si ritirarono nelle loro fortificazioni, dopo aver avvelenato i pozzi che si trovavano fuori del loro controllo. Dopo le schermaglie iniziali, Mustafà decise di conquistare il forte di Mdina e di occupare la parte settentrionale dell’isola mentre parte della flotta avrebbe bloccato il Porto Grande per impedire l’arrivo di rinforzi. Il suo ordine fu annullato da Pioli, che ora aveva deciso che la flotta doveva muoversi da Marasirocco a Marsamuschetto, la cui entrata era sorvegliata dal forte di Sant’Elmo.
Lo stesso giorno il cui cominciò l’assedio a Sant’Elmo La Valette ricevette la risposta del Viceré di Messina. Invece dell’offerta di aiuto in cui sperava, i siciliani tentennavano. Era chiaro che non sarebbe arrivato nessun aiuto in un futuro prevedibile. I turchi misero in posizione i loro cannoni d’assedio e spinsero le loro trincee inesorabilmente sempre più vicino. Dragut, il vero comandnate in capo dei musulmani capì che la ragione per la quale il forte di Sant’Elmo teneva duro era che ogni notte veniva rifornito da forte Sant’Angelo, e perciò rischierò i cannoni per tentare di bloccare questa manovra dei cristiani. Inoltre ordinò che altri cannoni fossero sbarcati dalla flotta, ma Piali rifiutò di collaborare e le operazioni di rifornimento del forte continuarono. Nonostante questo, dopo parecchi giorni di bombardamento i comandanti del forte di Sant’Elmo arrivarono alla conclusione che la posizione non era più difendibile. Il Gran Maestro non era assolutamente d’accordo: se solo avessero potuto tener duro fino al 20 giugno, rivelò, sarebbe arrivato un aiuto dalla Sicilia, ma questo non sarebbe avvenuto se Sant’Elmo fosse caduto. Così fu messa insieme una reparto di volontari che fu inviato di rinforzo, e l’assedio continuò. Mustafà lanciò un attacco notturno di sorpresa il 10 giugno, ma i turchi subirono perdite molto più pesanti di quelle dei cristiani1.500 uomini contro le 60 perdite subite dagli Ospitalieri.
Cade il forte Sant'Elmo
Il 16 due galee cristiane furono avvistate al largo a nord dell’isola: i primi rinforzi dalla Sicilia erano arrivati. Sebbene le navi assennatamente si ritirarono a una distanza di sicurezza, Piali era in ansia. Per lui questo episodio era un’altra dimostrazione di quanto vulnerabile sarebbe stata la sua flotta fin quando non fosse riuscito a portarla dentro una rada sicura.
Dragut ancora una volta insistette sul fatto che la guarnigione di Sant’Elmo doveva essere tagliata fuori da ogni rifornimento. Proprio mentre sovrintendeva la costruzione di nuove opere d’assedio, però, fu ferito mortalmente dal tiro di artigliere del forte di Sant’Angelo. Un altro proiettile uccise il comandante dei giannizzeri. La morte di Dragut fu una perdita gravissima per i turchi, perché era lui il vero comandante, l’unico che poteva coordinare con successo l’azione dell’esercito e della flotta. Quella stessa notte, un disertore turco attraversò le linee per portare al Gran Maestro la notizia.
Il bombardamento del forte di Sant’Elmo continuò per una settimana con intensità sempre crescente finché l’alba del 23 giugno vide la flotta di Piali puntare verso la fortezza mezzo smantellata. Quando le navi arrivarono a portata di tiro, aprirono il fuoco con i loro cannoni di prua e quindi ruppero la formazione lanciandosi alla massima velocità attraverso le acque di Marsamuschetto. Era il segnale per l’attacco in massa dei turchi. Dei difensori rimasti, solo nove cavalieri furono presi prigionieri, e di loro non si seppe più nulla. Gli unici sopravvissuti furono cinque soldati maltesi che si salvarono gettandosi dalle rupi e poi nuotando attraverso la baia. Sant’Elmo era caduto, ma La Valette non si sarebbe arreso.
L'attacco al forte di San Michele
Il prossimo obiettivo di Mustafà erano i forti di San Michele e di Sant’Angelo. Le due fortezze erano unite da una lunga ostruzione galleggiante, che proteggeva le acque della cala delle Galee da attacchi nemici ma poteva essere abbassata per permettere l’ingresso di navi amiche. La Valette aveva disperatamente bisogno di rinforzi, ma fino a quel momento erano arrivati solo 42 cavalieri, 20 gentiluomini volontari dall’Italia, tre dalla Germania, due dall’Inghilterra più 600 soldati spagnoli di fanteria provenienti dalle guarnigioni delle Due Sicilie.
La Valette ordinò allora la costruzione di una palizzata nell’acqua. I pali venivano portati fino al mare e poi legati insieme con una catena che passava attraverso cerchioni di ferro attorno alle punte. Anche Mustafà, nel frattempo, aveva ricevuto rinforzi dall’Algeria, che erano così critici verso gli sforzi dei loro alleati da pretendere di essere messi al comando del prossimo attacco per terra e per mare.
Il mattino del 15 luglio Mustafà ordinò l’inizio dell’attacco. In prima linea c’erano tre imbarcazioni con gli iman, seguite da quelle con gli ufficiali ingioiellati dei turchi e degli algerini e infine da innumerevoli barche più piccole. Tutti furono bloccati dalla palizzata sommersa, dentro la gittata dei moschetti dei difensori. Gli attaccanti saltarono in acqua tenendo gli scudi sopra la testa per proteggersi dalle pallottole e dal fuoco greco che veniva lanciato contro di loro. Quando un deposito di polvere da sparo saltò in aria a Senglea creando una breccia, Mustafà mandò subito dieci barche stracariche ciascuna di 100 giannizzeri per attaccare il punto debole che si era venuto a creare, ma non aveva tenuto conto delle batterie del forte di Sant’Angelo, che aprirono il fuoco mentre le imbarcazioni stavano sbarcando le loro truppe. Il risultato fu un disastro per i turchi: nove barche su dieci furono affondate e 800 turchi rimasero uccisi. Quel giorno in campo cristiano morirono molti famosi cavalieri, tra cui Federico da Toledo, figlio del Viceré di Sicilia, che era stato lasciato a Malta da suo padre come garanzia del fatto che sarebbero stati inviati rinforzi.
La Valette aveva previsto un attacco contro Birgu e aveva fatto affondare una serie di barche cariche di pietre davanti alla spiaggia, legate tra loro con una catena, come aveva fatto a Senglea per evitare uno sbarco anfibio.
Arrivano i soccorsi
Per le settimane centrali dell’estate l’assedio continuò con terribili perdite da una parte e dall’altra: gli Ospitalieri tenevano duro ma non si vedevano ancora arrivare i rinforzi. Infine il 6 settembre, dopo diverse false partenze che si era dovuto interrompere a causa delle tempeste estive, la flotta del Viceré gettò le ancore nella baia di Mellieha sul lato nordorientale dell’isola, con 10.000 soldati a bordo. I turchi sopravanzavano ancora i cristiani in un rapporto di più di due ad uno, ma le forze ottomane erano esauste e scoraggiate per il fallimento dei loro continui tentativi di prendere l’isola. La Valette allora fece spargere la voce che almeno 16.000 uomini erano sbarcati al comando del Viceré di Sicilia in persona. Era troppo per Mustafà, che con cupa rassegnazione ordinò l’evacuazione dell’isola. Perfino in questa situazione Piali non fece muovere la flotta. Mellieha era un buon ancoraggio ma completamente esposto, e se i turchi avessero attaccato avrebbero potuto infliggere gravi danni alle galee siciliane.
Quando alle prime luci dell’8 settembre i difensori guardarono fuori dalle mura delle loro fortezze, videro solo trincee vuote e batterie smantellate, e tutti i segni di un campo di battaglia mescolati con tutto quello che viene lasciato indietro durante una ritirata. I turchi se n’erano andati, e tutti i risultati che avevano ottenuto in quattro mesi di duri combattimenti erano perduti per loro.
Ma c’era ancora un’ultima battaglia da combattere. Mentre stava imbarcando le sue truppe, Mustafà ricevette la sconcertante notizia che solo 28 navi e forse 8.000 uomini erano sbarcati: perciò ordinò immediatamente ai suoi soldati di scendere di nuovo a terra e impegnare il nemico. Piali protestò di nuovo e alla fine solo una piccola forza fu sbarcata, mentre la flotta salpava le ancore e restava in attesa per raccogliere i sopravvissuti. Quando La Valette seppe della avventata azione di Mustafà, organizzò una sortita con tutte le forze disponibili che presto mise in rotta i turchi riluttanti. Il combattimento continuò fin sulla spiaggia e addirittura nell’acqua vicino alla spiaggia, con i cristiani sulla riva che scambiavano colpi con i musulmani a bordo delle navi. Mustafà Pascià salì su una delle ultime imbarcazioni a lasciare la spiaggia, ma alla fine partì anche lui per non tornare mai più.
La Valette, l’ultimo Cavaliere crociato, morì tre anni dopo e questo rappresentò la fine di un’epoca. Nel 1571 i piani turchi per la conquista del mondo si infransero definitivamente nella battaglia di Lepanto. A Lepanto l’unico comandante turco che si fece onore fu El Louck Ali, il governatore di Alessandria, che aveva combattuto anche a Malta. Nell’ultima grande battaglia combattuta con le galee, egli riuscì perfino a battere manovrando il famoso ammiraglio genovese Andrea Doria, salvando così la sua squadra. Gli altri comandanti turchi invece scomparvero nel nulla. Cominciò così il declino dell’impero ottomano. A Lepanto c’era anche il cavaliere Romegas, forse il miglior marinaio dell’Ordine degli Ospitalieri in tutta la sua storia. Dopo Lepanto fu costruita a Malta una nuova città con spesse mura e le difese più moderne e avanzate, in previsione di un attacco che non sarebbe mai venuto. Fu costruita una bella cattedrale dedicata a San Giovanni, e la città fu chiamata La Valetta in onore del Gran Maestro Jean Parisot de la Valette.