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I combattimenti navali nel Settecento


Quando il comandante dava l'ordine di preparare la nave per il combattimento, l'unità brulicava di attività frenetica.
Tutte le amache che normalmente venivano appese ai bagli (le travi trasversali che sostengono i ponti delle navi) venivano accatastate lungo le murate per trattenere le schegge, il vero grande pericolo per i marinai (la maggior parte delle perdite in battaglia era causato non dalle palle da cannone ma dalle complicazioni legate alle ferite dovute alle schegge di legno).
Tutte le paratie divisorie venivano abbattute, in modo che il ponte di batteria si stendesse senza interruzioni da prua a poppa.
I ponti venivano cosparsi di segatura bagnata e le vele venivano innaffiate con secchi d'acqua per prevenire gli incendi.
I mozzi cominciavano l'andirivieni tra il ponte e la santabarbara per rifornire i pezzi delle palle e della polvere necessarie.

Per sparare una palla da 32 libbre (14,7 kg) era necessaria una carica di 5 kg di polvere, contenuti in un cartoccio di carta. Il proiettile usciva dal cannone a una velocità di circa 487 m/s, e questo voleva dire che ad alzo zero, tenuto conto che il cannone sparava da un'altezza di circa 2 metri sul livello del mare, questi colpi potevano giungere a circa 300 metri di distanza. Aumentando l'alzo, ossia l'inclinazione della canna, la portata cresceva fino a raggiungere i 1000-1500 metri teorici. A distanza ravvicinata e a piena carica, potevano penetrare per circa 75 cm nel legno di quercia, più o meno lo spessore delle murate dei vascelli di primo rango. In effetti queste navi, contrariamente a quanto si pensa di solito, erano praticamente inaffondabili e pochissime andarono perse in combattimento per i colpi nemici: di solito finivano disalberate e poi martellate fino a essere costrette alla resa, oppure andavano perse per un incendio, spesso provocato non dai colpi nemici ma dalle proprie cariche di polvere.
Il punto debole dei vascelli era la poppa, indebolita dalle ampie finestre delle cabine degli ufficiali: se il nemico riusciva a passare di poppa e a scaricare una bordata da questa posizione le palle attraversavano tutta la lunghezza della nave con effetti devastanti.


Sezione di un vascello del Settecento

La sezione di un vascello della metà del Settecento tratta dal Dictionary of the Marine di William Falconer (1780). Il cannone in basso a sinistra evidenzia il paranco che serivava per farlo rientrare dalla murata per le operazioni di caricamento (erano tutti cannoni ad avancarica). I cannoni di destra invece sono imbragati per ternerli immobili durante la navigazione. I numeri da 6 a 10 indivano gli scovoli che servivano per togliere i residui dello sparo precedente e calcare la nuova polvere nella bocca del cannone (di cui si vede una sezione subito sotto). Il cannone vero e proprio appoggiava su una carretta o affusto.  Fonte: Southseas (l'immagine è cliccabile e porta all'originale, che è a sua volta ingrandibile)



L'arma veniva caricata inserendo dalla bocca il cartoccio di polvere che il mozzo aveva portato dalla santabarbara e poi la palla (ogni pezzo aveva una riservetta, che naturalmente poteva essere rifornita durante il combattimento). I pericolosissimi cartocci (in pratica, cinque kg di polvere avvolti in una confezione di carta) non viaggiavano sciolti per la nave, ma dentro una specie di secchiello di legno (detto appunto cartocciere). Una volta sistemato il tutto veniva inserito lo stoppaccio, un pezzo di stoffa che teneva provvisoriamente al suo posto la palla per il tempo strettamente indispensabile al tiro. Infatti il capopezzo, appena gli altri serventi compivano queste operazioni, infilava un lungo punteruolo detto sfondatoio nel focone (un sottile foro posto nella culatta del cannone) fino a bucare il cartoccio; quindi riempiva il focone di polvere da sparo fine. Fatto questo, si aspettava in silenzio gli ordini dell'ufficiale. La possibilità di mirare con queste armi era decisamente aleatoria, sia perché l'unico strumento a disposizione erano delle semplici tacche (una sorta di mirino, che permetteva di tener conto della forma troncoconica della volata), sia perché alzo e brandeggio (entrambi limitatissimi) avvenivano con l'uso di sbarre e di cunei. Solo durante le guerre napoleoniche gli inglesi introdussero l'uso di un inclinometro per poter misurare l'inclinazione del ponte al momento della bordata e quindi correggere l'alzo (questo strumento, per quanto rudimentale, era utile soprattutto in condizioni di mare lungo, quando le navi rollavano in modo continuo e quasi impercettibile). I pezzi in batteria erano relativamente corti per ridurre l'ingombro e facilitare le operazioni di ricarica: in coperta invece le navi avevano a prua e a poppa i cosiddetti «cannoni da caccia» (gli inglesi li chiamavano long toms) che essendo più lunghi del normale avevano anche una gittata maggiore e una migliore precisione per tentare di colpire il nemico in fuga o bloccare la nave inseguitrice.

Il combattimento normale era invece quello bordo contro bordo, in cui la rapidità di fuoco era l'elemento decisivo. In questo gli inglesi erano maestri, dal momento i loro equipaggi migliori, composti di sei serventi, riuscivano a pulire, caricare e rimettere in punteria un pezzo in circa 90 secondi. Gran parte delle quasi ininterrotte vittorie che hanno riportato per secoli sui mari è dovuta proprio alla superiorità in questo campo: a Trafalgar, per esempio, i cannonieri della Victory o del Royal Sovereign (la nave di Collingwood, il vice di Nelson, un tenace fautore dell'addestramento al tiro) sparavano tre volte più veloci di francesi e spagnoli.
Come nelle battaglie terrestri, la teoria dell'epoca prescriveva di aspettare fino all'ultimo prima di aprire il fuoco: la prima bordata infatti era sempre la migliore perché tutti i pezzi erano stati caricati con cura e ci si poteva attendere che avrebbero sparato tutti. A chi aveva i nervi più saldi toccava quindi anche subire la prima bordata del nemico e aspettare fino a essere a una distanza veramente ravvicinata: gli inglesi prediligevano sparare «a mezzo tiro di pistola» (50 m) perché volevano mettere fuori combattimento gli equipaggi nemici (francesi e spagnoli tendevano invece a sparare da più lontano per tentare di abbattere l'alberatura, con risultati di solito negativi). Non appena il capitano decideva che il momento era giunto dava l'ordine all'ufficiale preposto al tiro e questi a sua volta urlava di aprire il fuoco: i capopezzo controllavano l'allineamento e l'alzo e infine toccavano il focone, che fino a quel momento avevano tenuto coperto con il pollice protetto da un guanto speciale, con il buttafuoco, un pezzo di miccia a combustione lenta. La polvere fine, bruciando in modo quasi fulmineo, faceva esplodere la carica principale del cartoccio e il proiettile veniva espulso. Subito dopo lo sparo veniva cacciato nella canna rovente un attrezzo detto scovolo (in sostanza una spugna zuppa d'acqua all'estremità di un'asta) per spegnere tutte le possibili particelle di polvere che stessero ancora bruciando e il ciclo ricominciava.

Contrariamente a quanto si vede nei film, durante il fuoco di bordata non sparavano contemporaneamente tutti i pezzi della fiancata, perché altrimenti lo sforzo sull'ossatura del vascello sarebbe stato insopportabile. In realtà i cannoni di una batteria sparavano non insieme ma uno sì e uno no (bordata «a pettine»). Dopo la prima salva, le differenze tra i serventi, i danni del tiro nemico e le perdite rendevano quasi possibile mantenere una cadenza costante nel fuoco, che perciò si trasformava in una specie di «fuoco a volontà» in cui la rapidità, come già detto, era la cosa più importante.

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