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Come si costruivano i cannoni nel Settecento



Costruire i cannoni nell'epoca preindustriale non era una operazione facile, soprattutto con la tecnologia «artigianale» disponibile all'epoca. Fino all'Ottocento ogni singolo pezzo veniva realizzato a partire da un modello a perdere (o fuso) da cui si ricavava la forma che sarebbe stata riempita di metallo. Il fuso, di forma leggermente conica, veniva ricoperto prima di intonaco di sego, poi di una treccia di paglia e infine intonacato con argilla, a volte mescolata a sterco di cavallo (!). Quando il rivestimento era pronto, veniva modellato con la mostra, una tavola intagliata in modo da riprodurre il profilo esterno del pezzo. Si noti che già nel secolo dei Lumi molti tecnici avevano fatto notare come tutte le decorazioni, le volute e gli ornamenti tradizionali di un cannone fossero del tutto superflue ai fini pratici, ma nonostante questi sforzi non si era riusciti a ottenere di costruire cannoni perfettamente lisci  all'esterno: l'inerzia della tradizione aveva prevalso sugli sforzi di semplificazione e razionalizzazione.

Una volta costruito il modello, si realizzava su di esso la forma vera e propria, ancora aperta da entrambe le estremità (la  culatta, ossia la parte che «chiude» da una parte il cannone, veniva modellata a parte): veniva ricoperto prima di più strati di argilla mescolata a polvere di mattone e pelo di vacca, poi da un mantello di argilla, spesso quanto il diametro del cannone (si notino queste misure del tutto empiriche, tipiche del periodo prescientifico), tenuto fermo da una armatura in ferro e da un altro strato di argilla. A questo punto si faceva uscire il fuso a colpi di martello e la forma, dopo essere stata accuratamente pulita, veniva cotta e poi preparata con un intonaco composto da creta, polvere di mattoni e latte (o birra). Solo adesso la forma del cannone, cui veniva aggiunta quella della culatta, era pronto per andare alla fonderia.

 

 


Non bisogna pensare ai grandi impianti industriali di oggi. Una fonderia del Settecento era costituita da una fornace in cui veniva fatto fondere il metallo. Il suolo della fornace era inclinato e aveva una serie di canali chiudibili a piacere, in cui scorreva il metallo una volta fuso. Immediatamente accanto alla fornace una profonda buca accoglieva, in posizione verticale, le forme dei cannoni, che una volta riempite di ferro rimanevano a raffreddare due o tre giorni. Fino alla fine del Settecento si usava il cosiddetto getto in nòcciolo: nella forma veniva inserito un tondino di ferro, di diametro leggermente inferiore al calibro che si voleva ottenere, ricoprendolo con una pasta di cenere. In questo modo quando il ferro o il bronzo venivano colati si creava uno spazio vuoto che corrispondeva già approssimativamente all'anima del cannone, e il lavoro di foratura e di alesaggio risultava semplificato. In realtà questo metodo non era molto efficace, perché si creavano sempre delle imperfezioni (il metallo fuso deformava il nòcciolo, che a sua volta faceva nascere «storto», per così dire, il cannone): a partire dall'Ottocento si diffuse il getto a pieno, col quale si riempiva completamente la forma.

A questo punto il cannone andava letteralmente «trapanato» col foratoio verticale, un gigantesco apparecchio alto parecchi metri (una quindicina quello descritto nella Encyclopedie francese del 1780) costituito essenzialmente da una serie di argani che sostenevano il cannone in posizione verticale su una fresa di dimensioni adeguate fatta girare da due coppie di cavalli. Man mano che la fresa scavala il metallo il cannone veniva rilasciato e col suo stesso peso premeva sull'attrezzo da taglio. Un'altra e più precisa versione del foratoio, quella orizzontale, si diffuse nel Settecento contemporaneamente a quella verticale e finì per soppiantarla.

La precisione ottenuta con questi sistemi non era elevata e si doveva perciò prevedere un certo vento, cioè una differenza tra il diametro della palla e il calibro del cannone. I francesi lasciavano tra canna e palla 1/27 del diametro (per un cannone da 32 libbre, che aveva un diametro di 161 mm circa, equivaleva a poco meno di 6 mm); gli inglesi costruivano le loro armi lasciando un vento pari a 1/21 del diametro (poco più di 7,5 mm). È evidente che in questo modo le palle «ballavano» nella canna e che la precisione, nonché la potenza del tiro risultavano ridotte: l'unico artificio che si era trovato era quello di avvolgere le palle in un foglio di carta oppure di usare palle arrugginite (lo strato di ossido aumentava leggermente il diametro).

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