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La navigazione nel medioevo e nel rinascimento

INDICE DELL'ARTICOLO
Due aree tecnologiche
Due tipi di navi
La cartografia
Gli strumenti di navigazione
Un caso particolare: la nvigazione di Colombo

 

 

Il campo della tecnologia navale riveste una notevole importanza nella storia generale della tecnica, perché le navi e la loro conduzione in mare rappresentano il punto di intersezione di molte tecnologie diverse. Nel medioevo e nel rinascimento per realizzare una nave in grado di compiere lunghe traversate era indispensabile padroneggiare la tecnologia del legno (per la costruzione degli scafi, che erano e restano i più grandi oggetti mobili realizzati dall'uomo e che quindi presentano particolari problemi), quella del ferro (che interviene dalla realizzazione dei chiodi fino a quella delle ancore e dei cannoni), quella tessile (per la realizzazione delle vele e per analogia quella dei cavi di bordo), quella chimica (per la fabbricazione della polvere da sparo), quella idraulica (per le pompe che servono a tenere asciutta la stiva). Per guidare una nave in mare sulle rotte percorse nel medioevo e poi nel rinascimento erano inoltre necessarie conoscenze di cartografia, di astronomia, di matematica e geometria; per cercare di migliorare le condizioni di vita degli equipaggi occorreva infine padroneggiare quelle poche conoscenze di medicina e di dietologia disponibili all'epoca. Le navi quindi rappresentano per molti versi il concentrato della tecnologia del tempo. In questo capitolo ci concentreremo soprattutto sugli aspetti costruttivi e quelli legati alla navigazione, esaminando poi uno dei viaggi più famosi della storia, quello di Cristoforo Colombo attraverso l'Atlantico.



Due aree tecnologiche  sort1 sort0


Dal punto di vista costruttivo in Europa si svilupparono due aree ben distinte, quella mediterranea e quella nordica. Nella prima, erede della tradizione classica, le navi venivano costruite partendo da uno scheletro interno, formato da una chiglia longitudinale e una serie di numerose ordinate trasversali. Le ordinate erano elementi in legno dalla forma sagomata e tondeggiate, sui quali venivano poi appoggiate e inchiodate la tavole del fasciame esterno. Questo sistema di costruzione era complesso e difficile, ma garantiva una notevole solidità: il fasciame esterno era liscio e gli interstizi tra una tavola e l'altra andavano riempiti con stoppa e pece per renderli impermeabili.
Nella tradizione nordica invece, erede dei drakkar vichinghi, la costruzione partiva dal fasciame esterno, le cui tavole venivano fissate le une alle altre con un leggero sormonto (si parla infatti di costruzione a fasciame sovrapposto): solo in un secondo momento si inserivano all'interno degli elementi di rinforzo. Questo sistema di costruzione era più semplice ma presentava dei limiti intrinseci, per cui non si potevano superare certe lunghezze (dell'ordine dei 40 metri circa).
In un caso e nell'altro la costruzione avveniva sulla base di conoscenze trasmesse oralmente da una generazione all'altra: era ignoto l'uso del disegno e men che meno del calcolo per la progettazione. Una conseguenza di questo fatto fu un sostanziale immobilismo nelle forme delle navi, che si trasformarono solo molto lentamente. I cambiamenti più importanti si ebbero nell'apparato propulsivo (sia quello remico sia quello velico) e nell'armamento.

Due tipi di navi  sort1 sort0


Nel Mediterraneo esistevano sin dall'antichità classica due tipi di navi: la nave «lunga» e quella «tonda», diverse per aspetto e impiego. La nave lunga (galea) era destinata esclusivamente alla guerra e da ciò ricavava le sue caratteristiche fondamentali: era infatti una nave dalle forme molto affinate, lunga più di trenta metri, spinta soprattutto dai remi (anche se disponevano di una grande vela ausiliaria) per poter manovrare anche nelle lunghe bonacce estive del Mediterraneo. Una novità del Medioevo, introdotta dagli arabi, era la vela latina, cioè triangolare (il nome deriverebbe dalla contrazione di «alla trina», ossia a tre angoli): il vantaggio principale di questa vela rispetto a quella quadra è che permette di navigare parzialmente contro vento, formando con esso un angolo di circa 60-70°. Le navi lunghe avevano esclusivamente questo tipo di vela. Le galee costruite dopo il mille erano biremi, ossia su ciascun banco dei rematori trovavano posto due uomini. A partire dal Duecento i veneziani (sembra) riuscirono a far stare sullo stesso banco tre rematori, moltiplicando evidentemente velocità e potenza della nave. Fu necessario perciò studiare una particolarissima sistemazione dei banchi, che non erano perpendicolari alla chiglia, per poter manovrare contemporaneamente tutti i remi (lunghi fino a 11 metri e pesanti 50 kg circa) senza creare grovigli inestricabili. L'equipaggio era sempre molto numeroso (250 uomini circa) non solo per poter manovrare i remi, ma anche perché prima dell'introduzione dell'artiglieria (e anche per un lungo periodo dopo questa data) il combattimento si risolveva sempre nell'abbordaggio.

L'altro tipo di nave era quella tonda, destinata fondamentalmente al commercio. Più corta, molto più tozza e panciuta, era mossa esclusivamente a vela e aveva un equipaggio molto più ridotto delle galee per risparmiare sui costi di gestione. All'inizio l'attrezzatura velica era molto semplice: un solo albero e una sola vela. Solo più tardi vennero aggiunti altri due alberi (uno verso prua e uno verso poppa) più il bompresso (l'albero inclinato che sporge da prua). In questo modo non solo si aumentava la superficie velica ma soprattutto era molto più semplice trovare l'equilibrio giusto tra la spinta delle vele e la resistenza dello scafo, rendendo molto più agevole la manovra. Più tardi ancora le vele issate su ciascun albero furono ulteriormente frazionate per renderle più manovrabili (metà del Quattrocento). A questo punto la nave tonda era diventata manovrabile quasi quanto una nave lunga, e riassumeva in se le caratteristiche migliori sia della tradizione mediterranea (come la costruzione su ordinate) sia di quella nordica (come il timone centrale a poppa). L'avvento dell'artiglieria le trasformò infine in macchine belliche molto più potenti delle galee. L'ultima battaglia combattuta solo con le galee fu Lepanto, nel 1571; nel 1588, durante il tentativo di invasione dell'Inghilterra a opera della Invincibile Armada spagnola, le galee ebbero un ruolo assolutamente marginale e secondario, completamente estromesse dai galeoni (navi esclusivamente a vela e potentemente armate).

 

La cartografia  sort1 sort0

La navigazione, però, non è solo una questione di scafi, di vele e di remi. È necessario anche individuare la rotta tra due punti noti e conoscere la posizione della nave in un momento qualunque su questa rotta. Nell'antichità i navigatori riuscivano a compiere traversate di centinaia di miglia semplicemente basandosi sull'esperienza e sulla propria sensibilità, senza usare strumenti né, per quando sappiamo, di carte nautiche. Anche restando all'interno del Mediterraneo, alcune rotte (per esempio quella che da Alessandria d'Egitto giungeva a Pozzuoli e a Ostia, oppure quella che dalla Spagna raggiungeva le Bocche di Bonifacio e poi la foce del Tevere) richiedevano traversate in mare aperto decisamente impegnative, che venivano realizzate utilizzando come punto di riferimento astronomico solo il corso del sole e delle stelle, in particolare la stella polare. La caratteristica di questa stella di essere sostanzialmente ferma nel cielo era ovviamente nota sin dalla più remota antichità, anche se poteva essere sfruttata in modo solo approssimativo per ricavare la direzione da seguire.  Fuori del Mediterraneo, viaggi d'alto mare avvenivano nell'Oceano Indiano, nell'Atlantico del nord e nell'area della Polinesia.

Nel corso del medioevo tuttavia si verificò una profonda rivoluzione tecnologica, che modificò radicalmente il modo per andar per mare. In occidente, per l'esattezza in Mediterraneo, si diffuse il primo vero strumento nautico: la bussola, forse inventata in Cina, che secondo la tradizione apparve sulle navi di Amalfi dopo il 1000. Inizialmente la bussola era solo un ago fissato a una scheggia di legno che galleggiava su una ciotola d'acqua, e veniva usata solo per controllare una rotta presa in base a osservazioni stellari. Ben presto però l'ago venne fatto oscillare su un sottile perno al centro della ciotola, ormai vuota, e in un secondo momento incollato sotto un supporto circolare di cartone capace di ruotare su un perno. Sulla parte superiore di questo supporto venivano disegnati i "venti", cioè i punti cardinali con le loro 32 suddivisioni, mentre la ciotola riportava una linea di fede parallela alla chiglia. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nonostante che l'utilità immediata della bussola consista nello svincolare il pilota dalle condizioni atmosferiche, e quindi sembrerebbe più utile nelle regioni settentrionali dove il cattivo tempo è più frequente, il suo uso si diffuse e perfezionò soprattutto nel Mare Interno. Qui infatti vennero sviluppati i due più importanti complementi della bussola, la carta nautica e la cosiddetta "toleta del marteloio".

La carta nautica veniva costruita esclusivamente "alla bussola", cioè riportando su uno schema geometrico detto "martelogio" le rotte bussola e le distanze stimate tra i principali porti toccati dalle navi, e poi completando il disegno della costa. La "toleta de marteloio" era invece un sistema di calcoli risolti che permetteva attraverso la soluzione di semplici problemi di geometria di calcolare il guadagno controvento in caso di bordeggio oppure di ritrovare la rotta dopo una deviazione provocata da una tempesta. Questi  strumenti (bussola, carta, toleta) erano veramente efficaci solo se venivano usati insieme, e il loro uso presupponeva un minimo di conoscenze di fondo, che di fatto erano a disposizione prevalentemente dei marinai del Mediterraneo.
I marinai del nord, che usavano la bussola in modo rudimentale, disponevano di carte nettamente meno precise e non sapevano usare la geometria; avevano in compenso sviluppato una maggiore pratica per quanto riguarda le maree, le correnti di marea e i fondali. In particolare l'uso dello scandaglio era molto diffuso: si trattava di un semplice peso di piombo legato a un cavo su cui erano riportati a intervalli regolari una serie di marche di riferimento; un incavo del piombo, riempito si sego, permetteva di raccogliere campioni del fondale marino. Le due scuole nautiche, quella del Mediterraneo e quella del Mare del Nord erano perciò complementari, e la tradizione che nacque dal loro incontro, quella portoghese-castigliana del XIV-XV secolo, fu nelle condizioni di poter approfittare del meglio che l'Europa avesse prodotto fino a quel momento.

 

Gli strumenti di navigazione  sort1 sort0

Abbiamo prima fatto cenno alla possibilità di sfruttare la stella polare per avere una indicazione sulla direzione da tenere. Non esistono documenti che attestino in modo inequivocabile che i marinai europei la utilizzassero per conoscere anche la loro posizione (ovvero il dato della loro latitudine). In effetti non si può conoscere la latitudine del punto nave con una osservazione immediata e diretta. Prima di tutto, infatti, la stella polare non è esattamente allineata sul polo nord celeste (che è la proiezione ideale dell'asse di rotazione terrestre sulla volta celeste), ma se ne discosta di un angolo che nel Quattrocento era circa di 3° e 30'. La  stella descrive perciò attorno al polo celeste una circonferenza dal diametro di circa 7°, e una eventuale misura della sua altezza sull'orizzonte può essere utilizzata direttamente per ottenere la latitudine solo in due momenti, quelli in cui il suo moto di rotazione apparente la porta allo stesso livello del polo nord celeste. Per conoscere questo dato, però, nel quindicesimo secolo era necessario consultare complicate tavole astronomiche, che certamente non erano alla portata delle conoscenze dei marinai. Fortunatamente è possibile conoscere con facilità la correzione che bisogna apporre alla misura ottenuta per conoscere la altezza vera, anche senza avere a disposizioni complesse tavole astronomiche, considerando la posizione delle altre stelle dell'Orsa Minore e in particolare le due all'estremità opposta della costellazione, le due cosiddette "Guardie" del polo. I marinai rinascimentali conoscevano e applicavano questo "regime della stella polare" e potevano perciò usare quest'astro per trovare la loro latitudine.
Tuttavia il vero momento di svolta nella navigazione avvenne quando i marinai cominciarono a usare anche altri strumenti per determinare la propria posizione, e prima di tutto strumenti per misurare la altezza degli astri sull'orizzonte. Non sappiamo esattamente quando ciò avvenne, perché i marinai non hanno lasciato in genere testimonianze scritte. Il primo strumento noto è la cosiddetta balestilha (balestriglia), il cui principio di funzionamento e di costruzione è molto semplice: una traversa che può scorrere lungo un asta graduata. Il marinaio, ponendo l'occhio all'estremità dell'asta graduata e spostava quest'ultima finché le estremità della traversa non toccavano contemporaneamente l'orizzonte e l'astro. Per poter osservare stelle a diversa altezza, ogni balestilha era dotata di tre o quattro traverse di lunghezza diversa.

Uno strumento decisamente più sofisticato per l'osservazione degli astri era l'astrolabio, noto dagli  inizi del medioevo (il primo testo che lo descrive risale al 530 d.C.). Questo strumento rappresenta una notevole sintesi di buona parte del sapere astronomico del medioevo, trascritto in simboli e in forme geometriche. Esteriormente esso assomiglia a un orologio da tasca, largo da dieci a quaranta centimetri, costituito da un disco piatto sul dorso e concavo sul davanti. A prima vista le sue facce sono coperte da una rete inestricabile e incomprensibile di linee. Questa complessità è dovuta al fatto che sulla stessa superficie devono venir descritti molti dati astronomici, che permettevano di risolvere un gran numero di problemi: individuare la posizione degli astri, calcolare l'ora locale, individuare il momento dell'alba e del tramonto del sole e delle principali stelle, prevedere l'inizio dell'aurora e la fine del crepuscolo, trovare la latitudine partendo sia dalle osservazione della polari sia da osservazioni solari. E ancora poteva venire usato per trovare a distanza di oggetti cospicui (la cui base fosse accessibile oppure no), per risolvere problemi astrologici, e perfino per trovare la profondità di un pozzo!
Naturalmente ai marinai non interessavano tutte queste funzioni. Di fatto gli astrolabi che venivano portati a bordo erano molto semplici, perché dovevano essere solo dei misuratori d'altezza angolare. Ma ancora più semplice era il quadrante: consisteva in due listelli di legno fissati ad angolo retto e sottendenti un arco graduato sul suo lato esterno. Uno dei listelli riportava due traguardi o mirini, attraverso i quali veniva osservato l'astro. Nel punto in cui i listelli si univano a formare l'angolo retto si trovava un anello, in cui si infilava il dito per sostenere lo strumento al momento dell'osservazione, e un filo a piombo di seta, che intersecando con il cerchio graduato permetteva di effettuare la misurazione. Usare questo strumento in navigazione non era affatto semplice, perché il rollio della nave rendeva difficile, anzi praticamente impossibile, mantenere contemporaneamente la verticalità del quadrante, osservare l'astro e prendere la misura dell'altezza. Anche utilizzando, come si faceva spesso, tre persone per svolgere queste operazioni, il dato finale non poteva essere che approssimativo, non esistendo né nonio né micrometri.  Qual era perciò il grado finale di precisione di questi strumenti e delle osservazioni che con essi si prendevano? La risposta è sconsolante, secondo i canoni attuali: nelle migliori condizioni, e con osservatori esperti, si poteva sperare di arrivare ad una approssimazione di 1°, cioè circa 60 miglia (110 km circa).



Un caso particolare: la navigazione di Colombo  sort0

Per nostra fortuna siamo particolarmente ben informati su uno dei più importanti viaggi compiuti nel corso del Rinascimento: quello di Colombo attraverso l'Atlantico, la cui importanza storica trascende evidentemente la semplice analisi tecnica. Tuttavia Colombo tenne un Diario che ci è pervenuto sotto forma di esteso riassunto e che ci permette di ricostruire con precisione il modo in cui si navigava alla fine del Quattrocento.
Sin dall’inizio del viaggio, come farebbe un marinaio di oggi, Colombo aveva effettuato una navigazione stimata sulla base della rotta e della velocità. I dati a sua disposizione erano molto incerti. Prima di tutto la bussola era soggetta a un fenomeno, quello della declinazione magnetica, sconosciuto a quell’epoca. Infatti i viaggi di esplorazione compiuti fino a quel momento dai Portoghesi si erano svolti in direzione nord-sud, verso l’Equatore, minimizzando gli effetti di questo fenomeno. Gli altri grandi navigatori del medioevo, i Vichinghi, si muovevano sì lungo i paralleli, ma non disponevano di bussole sufficientemente precise per denunciare il fenomeno. Alcuni storici hanno sostenuto perciò che Colombo sia stato il primo a rendersi conto della declinazione magnetica: in realtà il Diario registra solo il fatto che gli aghi delle bussole all’inizio della notte non indicavano più la stella polare, allontanandosene di quasi una quarta (11° 15’), per poi riavvicinarsi ad essa all’alba. La periodicità di tale fenomeno esclude che possa essere attribuito alla declinazione magnetica propriamente detta: esso piuttosto è dovuto al fatto, ben noto anche nel Quattrocento, che la stella polare non coincide esattamente col polo nord vero. Nel 1492 la stella formava col polo reale un angolo di più di 3°. Questa oscillazione, nel caso di Colombo, venne però amplificata dal fatto che in mezzo all’Atlantico la declinazione raggiunge i 7° ovest: questo valore, sommato ai 3° di allontanamento dal polo verso est che la stella polare raggiunge nella sua rotazione attorno al Polo nord celeste, fornisce una variazione assai prossima a quella indicata da Colombo.
Perciò il primo dato essenziale per la navigazione stimata, la rotta bussola, era in realtà alquanto incerto. Ma anche il secondo dato fondamentale, ossia la velocità, non poteva essere conosciuto con esattezza. Nel Quattrocento non esistevano strumenti, neppure elementari, per misurare la velocità di  una nave (l’idea sarebbe apparsa nella letteratura nautica solo alla fine del secolo successivo). Probabilmente Colombo, e tutti i piloti del suo tempo, si limitavano a stimare a occhio la velocità della propria imbarcazione. Il risultato del calcolo non veniva segnato con una matita: il pilota forava invece delicatamente la  carta con una punta sottile in corrispondenza del punto nave stimato.
Durante il primo viaggio attraverso l’Atlantico non ci furono particolari problemi di rotta, perché le navi venivano spinte dall’aliseo e potevano tenere una rotta costante. Tuttavia da un breve cenno del Diario di bordo si può supporre che Colombo conoscesse anche quella che in veneziano si chiamava la raxon de marteloio, ossia il sistema di calcolo, diffuso da tempo in Mediterraneo, per stimare la propria posizione in caso di bordeggio controvento.
Ma il Diario ci fornisce altre indicazioni. Il giorno 13 settembre troviamo scritto: “Le correnti erano contrarie”. Come poteva Colombo, senza punti di riferimenti fissi, accorgersi che una corrente di superficie lo stava ostacolando? Come ci racconta Michele da Cuneo nella sua descrizione del viaggio, i marinai gettavano lo scandaglio due volte al giorno, con una sagola di 200 braccia (più di 350 metri). Naturalmente in pieno Atlantico il piombo non trovava fondo: tuttavia, trovandosi in strati d’acqua profondi e immobili, era sottratto al movimento delle correnti superficiali. I marinai perciò, se le navi si fermavano momentaneamente per compiere l’operazione, si potevano accorgere che la sagola non erano perfettamente verticale ma inclinata e ne deducevano quindi l’esistenza di una corrente. Si noti che questa pratica dell’uso dello scandaglio non nasce nel Mediterraneo ma nei mari del Nord, dove sapersi destreggiare tra bassifondi e piattaforme atlantiche è di importanza fondamentale.
E di fronte le tempeste come si comportavano i marinai di quell’epoca? Mentre il viaggio di andata era stato eccezionalmente tranquillo, in quello di ritorno Colombo dovette affrontare due violente tempeste, che rischiarono di mandare a fondo la Niña, la caravella su cui si trovava. Il comportamento tenuto dall'Ammiraglio in queste circostanze non solo è perfettamente ricostruibile e pienamente comprensibile, ma è anche grosso modo quello che avrebbe tenuto un marinaio di oggi. All'inizio della prima tempesta, scoppiata in pieno Atlantico, quando il vento cominciò ad aumentare Colombo fece ammainate tutte le vele: il pericolo maggiore era rappresentato dal fatto che le onde, di enormi dimensioni, provenivano da due direzioni diverse e incrociandosi generavano un mare estremamente confuso e infido. Questo mare incrociato a un certo momento diventò così pericoloso che Colombo decise di issare una piccola vela per disporre di più velocità e poter manovrare meglio. Il Diario registra anche una delle ragioni di pericolo: a causa del consumo di acqua e di viveri la Niña non era più zavorrata in modo adeguato, nonostante che Colombo avesse cercato di porvi rimedio imbarcando alcuni barili d’acqua prima di partire per l’Europa.
Nella seconda, violentissima tempesta, che colse la Niña a poca distanza dalla costa portoghese, un colpo di vento strappò tutte le vele, lasciando la nave in una condizione assai pericolosa. Infatti il vento, soffiando verso la costa, avrebbe certamente spinto la caravella a naufragarsi se non fosse stato possibile usare una vela di scorta per spostarsi fino a trovare un rifugio. Per far questo però la Niña dovette navigare prendendo il vento e le onde non esattamente in poppa, ma almeno parzialmente di fianco, esponendosi così al rischio di essere allagata da un colpo di mare. Tuttavia la nave riuscì ad arrivare fino all’estuario del Tago, dove trovò un rifugio sicuro. Il fatto che sia la Nina sia la Pinta (l'altra caravella che stava tornando in patria) siano riuscite a sfuggire a tempeste così violente testimonia l'ottima qualità della loro costruzione e l'abilità dei marinai che le conducevano.

Vedi anche

  • Testo

    <br /> <p lang="it-IT">Il periodo storico che va sotto il nome di «età delle scoperte» e che si estende approssimativamente tra la prima metà del Quattrocento e la seconda metà del Cinquecento costituisce uno dei periodi sto­rici più importanti per la ..."> I caratteri delle esplorazioni europee
  • Il primo viaggio di Colombo
  • L'Altro come problema

    </p> <p>&nbsp;</p> <p>L'«Altro», intendendo con ciò l' «altra persona», l' «altro uomo», dal punto di vista antropologico rappresenta un paradosso. Infatti, perché si possa davvero parlare di Altro bisogna che quest'ultimo sia ..."> Il tema dell' "Altro" in Todorov

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