L'Arsenale di Venezia venne fondato nel 1104 in un'area retrostante la basilica di S. Marco e alquanto appartata rispetto alla laguna: per raggiungere lo stretto bacino rettangolare circondato dagli squeri e difeso da un alto muro merlato occorreva percorrere lo stretto rio della Madonna (ora dell'Arsenale).
Canaletto, Il cancello dell'Arsenale, 1732 (l'immagine risiede nella sezione Wikicommons di Wikipedia). Il quadro raffigura l'ingresso principale dell'Arsenale, che dava sul canale in primo piano che a sua svolta sfociava nel Canal Grande. A sinistra si vede il portale monumentale d'accesso, ancora esistente. Si noti, dietro la torre rossa di destra, il "cancello" che chiudeva il passaggio di comunicazione tra la darsena interna e il canale. Canaletto lo raffigura aperto, ma nella darsena non si vedono più galee ma un vascello tipico del XVIII secolo. Il ponte levatoio in primo piano veniva alzato per lasciar passare le navi.
Questa scelta era dovuta probabilmente a ragioni difensive, ma doveva in seguito rendere assai problematica l'uscita in mare delle grandi galee da mercato e più ancora dei vascelli a vele quadre. La prima carta di Venezia (1347) mostra il perimetro dell'Arsenale circondato da una serie di piccoli rii, forse con funzione tagliafuoco. Per tutto il XIII secolo la produzione dell'Arsenale non dovette essere troppo cospicua, e le grandi flotte di un centinaio di navi inviate alle crociate o contro Genova venivano raccolte affittando o cooptando unità private. All'inizio del Trecento invece, con l'introduzione della galea grossa o da mercato e della cocca, le esigenze della flotta veneziana crebbero enormemente, e crebbero di conseguenza anche i cantieri di stato: nel 1303 e nel 1325, con due successive espansioni verso est dette collettivamente «Arsenale Nuovo», la sua superficie venne quadruplicata. Tuttavia non dobbiamo pensare che nel XIV secolo tutte le navi militari veneziane uscissero da qui: al contrario, era prassi comune requisire unità private in caso di bisogno per incrementare le flotte della Serenissima. Di fatto, gran parte dell'attività dell'Arsenale era concentrata sulle galee da mercato. Delle venti che Venezia teneva armate in permanenza, quattro o cinque andavano sostituite ogni due anni. La costruzione di un paio di galee leggere all'anno era poi necessaria per rimpiazzare le perdite della flotta di sorveglianza, una squadra di una decina di unità che pattugliava continuamente il mare Adriatico.
Il vero momento di svolta nella storia dell'Arsenale fu l'avanzata dei Turchi nel XV secolo, che obbligò a costruire flotte sempre più grandi: nel 1442 venne deciso di costruire 50 nuove galee e di tenerne pronte altre 25, e nel 1470, dopo che la traumatica perdita dell'isola di Negroponte (Eubea) aveva obbligato Venezia a prendere coscienza del pericolo rappresentato dalla potenza navale di Costantinopoli, vennero varate 73 galee. Gli anni successivi la flotta veneziana arrivò a contare fino a 100 unità. Per far fronte a queste nuove esigenze, anche i cantieri dovettero venir ristrutturati. La prima trasformazione riguardò gli squeri: per poter lavorare anche con cattivo tempo tra il 1450 e il 1460 vennero costruiti 20 capannoni o "tesoni" nell'Arsenale Vecchio e lungo il lato meridionale dell'Arsenale Nuovo. Il secondo passo fu di raddoppiare le dimensioni dell'Arsenale con l'aggiunta nel 1473 del cosiddetto «Arsenale Novissimo», un vasto bacino scavato immediatamente a nord dell'Arsenale e protetto da mura e torri.
Dettaglio della Vista di Venezia di Jacopo de Barberi (1500) (Wikipedia Commons). Lo specchio d'acqua che si vede al centro è il cosiddetto Arsenale Vecchio; a sinistra si allineano i 'tesoni' che proteggevano le darsene dove le galee venivano allestite, ossia dotate di tutta l'attrezzatura necessaria a navigare. Sulla destra si intravvede l'Arsenale nuovo, con i tesoni che proteggono gli scali sui quali venivano costruite le galee. In alto a destra, in uno scorcio volutamente privo di dettagli, si distingue l'Arsenale Nuovissimo' L'imbarcazione al centro dell'Arsenale vecchio è il Bucintoro, ossia la galea di Stato riservata al Doge. |
La scelta strategica della Serenissima infatti fu quella di costruire una vera e propria «flotta di riserva», teoricamente di cento galee, da tenere in parte sempre armate nei bacini interni in parte in secco nei docks dell'Arsenale Novissimo. Queste ultime erano tenute pronte al varo con un minimo preavviso: durante una esibizione nel 1574 una galea venne calafatata, varata e completamente armata nel giro di un'ora mentre, per citare solo alcuni altri exploits, tra il novembre del 1534 e il maggio del 1535 vennero costruite in meno di sei mesi almeno 30 galee e nel 1570 l'intera flotta di 100 galee venne armata nel giro di 50 giorni. Era questo il segreto dell'efficienza dell'Arsenale come macchina di guerra, e insieme della resistenza di Venezia ai Turchi: evitare di disperdere le energie per mantenere costantemente in mare una flotta di galee sottili, ma tenere le navi al sicuro in secco e pronte a essere varate e armate in brevissimo tempo.
Per ottenere questi risultati di importanza decisiva sul piano strategico l'Arsenale doveva avere una organizzazione molto spinta, unica ai suoi tempi. Nella prima fase del suo sviluppo la gestione era relativamente informale, ma anche quando l'attività venne riorganizzata per far fronte alle esigenze della flotta di riserva rimase valido il principio fondamentale per cui l'Arsenale non poteva essere sotto il pieno potere di una sola persona o di un unico organo collegiale: si trattava infatti del cuore stesso di Venezia, il fondamento della sua potenza, e moltpilicare i controlli era l'unico modo per limitare i rischi di sempre possibili colpi di stato. Il gran numero di magistrature, di visite e di ispezioni erano finalizzate a mantenere l'Arsenale sotto lo stretto controllo del Senato e delle altre istituzioni della città, anche se ciò finiva per rendere più difficile o impossibile la razionalizzazione del lavoro. Sin dall'inizio l'organizzazione produttiva era centralizzata sotto la supervisione di tre «Patroni» o «Signori dell'Arsenale». Nel 1442 venne aggiunta un'altra magistratura, quelle dei due Provveditori all'Arsenale e infine agli inizi del Cinquecento si introdusse la carica dell'«Ammiraglio» con compiti di coordinamento. Gli «arsenalotti» (cioè i lavoratori dell'Arsenale) erano obbligati, in base allo statuto delle loro rispettive Arti (carpentieri, calafati, remieri, eccetera) a prestare servizio per lo stato, alle condizioni fissate dal Senato. Questa norma serviva a far fronte alle esigenze delle guerre improvvise, che obbligavano a concentrare tutte le risorse disponibili nell'allestimento delle flotte da guerra. Fino al 1480 circa questo obbligo venne sentito dagli artigiani come una corvée da evitare in tutti i modi, perché era molto più conveniente lavorare nei cantieri privati. Sul finire del secolo, però, la forte e prolungata crisi nella cantieristica mercantile rese estremamente appetibile il lavoro assicurato dall'Arsenale di stato. Infatti la Repubblica di Venezia, per evitare il rischio che il personale specializzato nelle costruzioni navali emigrasse in cerca di condizioni di lavoro migliori, indebolendo così la città in un settore di importanza strategica, copriva gli artigiani delle Arti più importanti (carpentieri, calafati, remieri) di privilegi eccezionali, come per esempio la certezza del posto di lavoro ma con la possibilità di abbandonarlo per uno più redditizio.
L'attività dell'Arsenale era finalizzata a tre obiettivi: costruire le navi, l'attrezzature e le armi di bordo; stivare tutto il materiale fino al momento del suo utilizzo; armare e preparare le galee allo scoppio della guerra. La prima fase era fortemente decentrata in dipartimenti, a capo dei quali erano i proti o capomastri che controllavano rispettivamente la costruzione degli scafi, la calafatura, la costruzione di alberi, pennoni e timoni, la preparazione dei remi, la realizzazione delle pulegge e degli argani. Il secondo obiettivo era la conservazione del materiale: per poter garantire l'armamento della flotta di riserva di cento galee era necessario avere pronti all'uso 5000 banchi per rematori, 5000 pedagne puntapiedi, da 5000 a 15000 remi, 300 vele, 100 alberi, 100 timoni, 200 pennoni, per non parlare delle ancore, dei cavi, della ferramenta, dei cannoni, della polvere, delle armi personali. Tutta questa enorme quantità di materiale doveva essere stivata con cura per garantirne la conservazione e il ritrovamento nel momento del bisogno. Le galee in secco sotto i tesoni (cioé i cantieri coperti) erano numerate, e tutti i pezzi che sarebbero stati montati su una certa galea erano identificati, nei vari magazzini, con lo stesso numero della nave, così che fosse facile ritrovarli e trasportarli sull'unità. La responsabilità di questa lunga e accurata preparazione gravava sull'Ammiraglio. Questi era sempre un uomo di vasta esperienza e sicura competenza nelle cose di mare, perché non poteva fallire la sua prova suprema: al momento dell'allarme, l'Arsenale doveva trasformarsi in un brulicante e ordinato formicaio, in cui ogni uomo doveva lavorare per così dire a memoria per mettere nel minor tempo possibile in condizioni di combattimento le galee da cui poteva dipendere la sopravvivenza della città. Proprio questa grandissima responsabilità al momento dell'armamento delle navi faceva apparire l'Ammiraglio come il capo supremo dell'Arsenale stesso.
L'operazione finale, cioè il varo e l'armamento delle galee, sfruttava la particolare pianta dell'Arsenale per dar vita a una specie di catena di montaggio: gli scafi già costruiti e tenuti in secco nell'Arsenale Nuovo e Nuovissimo venivano calafatati e varati, e poi rimorchiati nell'Arsenale Vecchio. Le navi lo percorrevano, secondo la testimonianza di un viaggiatore spagnolo, Pero Tafur, sostando davanti ai magazzini: da uno imbarcavano i cavi, da un altro i remi, da un altro ancora le armi. Alla fine del bacino saliva a bordo l'equipaggio e la nave era pronta per prendere il mare. Secondo Tafur, con questo sistema i veneziani potevano far uscire 10 galee nel giro di mezza giornata. Parte dei lavori necessari potevano venire svolti in darsene coperte, dove le navi già allestite venivano poi tenute per proteggerle dalle intemperie.
L'Arsenale seguì le sorti di Venezia: man mano che le energie della città si dirigevano, nel corso del Cinquecento e del Seicento, verso la terraferma, l'importanza dei cantieri di stato diminuì progressivamente, fin quando Venezia con il trattato di Campoformio (1797) non passò sotto l'Austria.