Quando il mercante fiorentino si apprestava a lasciare la città per andare a rifornirsi di merci o per vendere le proprie fuori dei limiti territoriali, doveva procurarsi delle monete delle città vicine. Lo stesso doveva fare il mercante straniero che arrivava a Firenze. Così nacque il mestiere del cambiavalute, all’inizio modesto, che si svolgeva generalmente nel luogo del mercato principale.
A Firenze, nel Mercato Vecchio, si trovavano nel Quattrocento i “banchi de tappeto”. Banchieri si dicevano coloro che prima erano i cambiatori, che poi, col passare del tempo, presero a ricevere depositi, tenere registri su cui i mercanti potevano aprire dei conti e fare giri di partite.
Questi banchieri sedevano davanti a un tavolo, coperto da un tappeto, e aspettavano i clienti; sul tavolo vi era la tasca in cui tenevano il denaro necessario per le operazioni d cambio e i libri su cui facevano le registrazioni, “cum tasca e libro”.
Si discuteva e si trattava in mezzo alla folla, con il rumore di sottofondo delle altre persone che compravano e vendevano. Il mestiere del cambiavalute era tanto più necessario data l’estrema varietà delle monete in uso. I cambiavalute erano anche detti “tavolieri”, “banchieri” o “campsores” in latino. Questi ricevevano in deposito monete fiorentine e straniere, pezzi monetizzati, metallo prezioso. Cercavano di far fruttare il denaro che veniva loro affidato o con arbitrati fra valute, o con operazioni all’estero, o fondendo il metallo per battere altra moneta.
All’inizio si trattava solo di un’operazione manuale di cambio fra il cambiavalute e il cliente, resa necessaria dal gran numero di monete in circolazione. In seguito si aggiunsero operazioni che si svolgevano in larga misura fuori Firenze e anche fuori dal sistema monetario italiano, grazie alla lettera di cambio. La speculazione faceva parte integrante del lavoro del cambiavalute, e siccome manipolava migliaia di fiorini all’anno, traeva dalla sua attività importanti guadagni, chiedendo anche alti interessi sui depositi. Nel Quattrocento si affermarono i banchieri, riducendo i cambiavalute ad esercitare il mestiere nella forma originaria del cambio manuale, accompagnato da poche modeste operazioni bancarie a livello locale e regionale.
Il mondo della banca non era semplice, a Firenze, nell’Italia del Quattrocento. Lo storico R. de Roover ha individuato tre tipi di istituti di credito:
i "banchi di pegno" o "banchi a panello",
i "banchi a minuto" e
i "banchi grossi"
Il primo gruppo non era formato da banche nel senso autentico del termine ma da botteghe di prestito su pegno dirette da usurai, dette “banchi a panello” perché erano riconoscibili da un’insegna rossa appesa alla porta d’ingresso. I prestatori su pegno poterono essere cristiani per molti decenni, ma a partire dal 1437 questa attività fu riservata agli ebrei. Nonostante la scarsa stima di cui godevano, per cui erano esclusi da tutte le Arti, compresa quella del Cambio, i prestatori su pegno erano numerosi.
I "banchi al minuto" erano poco numerosi e poco rilevanti. Fra i loro gerenti troviamo un lontano cugino dei de Medici, che vendeva gioielli a crediti e insieme praticava il commercio e il cambio di monete d’oro e d’argento. Accettava anche depositi con interessi del 9-10%, ma non può essere considerata una vera e propria banca di deposito.
I "banchi grossi", come quello dei Medici, secondo de Roover, combinavano il cambio e il deposito locale, il commercio delle lettere di cambio e le operazioni bancarie a livello internazionale. Nel 1516 il sistema bancario fiorentino crollò e tale crollo trascinò la banca Medici. Bisognerà attendere il 1575 per assistere alla rinascita della banca, non solo fiorentina ma italiana in generale.