INDICE DELL'ARTICOLO
L'esplorazione delle coste africane
La volta do mar
Le prime scoperte
La via per l'IndiaLe prime esplorazioni portoghesi lungo la costa occidentale dell'Africa, spesso sottovalutate, ebbero una notevole importanza sia pratica sia culturale perché non solo permisero di acquisire importanti basi commerciali ma contribuirono in modo decisivo a far superare i paradigmi della cosmografia tradizionale, secondo i quali la terra presentava una fascia equatoriale «torrida» nella quale ogni forma di vita era impossibile.
L’esplorazione delle coste africane

Nel corso del Medioevo il Portogallo non era un paese particolarmente sviluppato dal punto di vista economico e nautico: da un lato non riusciva a inserirsi nell’intenso flusso di traffici che transitavano davanti alle sue coste diretti ai paesi dell’Europa settentrionale o al Mediterraneo, dall’altro doveva difendersi dal regno di Castiglia, intenzionato a sottometterlo. I portoghesi decisero allora nei primi decenni del Quattrocento di espandersi nell'unica direzione rimasta libera, ossia l’oceano Atlantico. Chi più di tutti contribuì a questa strategia fu il principe Enrico (detto «il navigatore» anche se personalmente non partecipò a nessun viaggio di scoperta). L’obiettivo dei portoghesi tuttavia non era affatto l'India: essi si proponevano di trovare nuove terre da colonizzare, ma soprattutto di rintracciare la regione da cui proveniva l'oro che affluiva sulle coste mediterranee attraverso le carovane del deserto. Enrico organizzò una spedizione dopo l’altra lungo le coste africane, lungo le quali la navigazione presentava (e presenta) notevoli difficoltà. Il litorale infatti è estremamente inospitale, con pochissimi approdi dove rifornirsi d'acqua; spesso si incontrano secche pericolose e la corrente che scorre parallela alla costa da nord-est verso sud-ovest può creare gravi pericoli alle imbarcazioni. A partire da Capo Bojador, poi, cominciano a soffiare gli alisei, venti costanti da nord-est, che rendevano quasi impossibile per le navi a vele quadre risalire la costa verso nord.
La volta do mar

Nel 1434 però Gil Eanes, un gentiluomo portoghese, riuscì a oltrepassare il capo a bordo di alcune piccole imbarcazioni che potevano navigare sia a remi sia a vela. Questa tappa fu molto importante per le esplorazioni successive, che però proseguirono con le caravelle, navi agili e di scarso pescaggio, lunghe una ventina di metri e attrezzate con vele latine (cioè di forma triangolare). Con queste navi divenne possibile la cosiddetta volta do mar, il vero «segreto» dei portoghesi: una nave che avesse superato Capo Bojador per tornare in patria non doveva cercare di seguire una rotta diretta lungo la costa, ma doveva invece puntare verso nord-ovest in pieno oceano Atlantico, fin quando non incontrava, più a nord, i venti dominanti che soffiano da ovest e che la riportavano in patria. Le difficoltà erano soprattutto psicologiche, perché si doveva rimanere in mare aperto per molto tempo: in realtà si trattava di una rotta piuttosto sicura, dal momento che sfruttava venti costanti e che sul loro percorso le navi potevano incontrare alcune isole in cui sostare. La prima testimonianza scritta della volta do mar risale al 1441, ma doveva essere applicata già da tempo.
Le prime scoperte

L'esplorazione della costa dell’Africa occidentale per anni non riuscì a fornì alcun risultato pratico. In questo frangente si vide l’importanza della guida, anche indiretta, da parte del potere statale: un’iniziativa commerciale «pura», vista l'assenza di guadagni, si sarebbe probabilmente interrotta. I portoghesi invece continuarono nella loro marcia verso sud: nel 1442 venne fondata a Capo Bianco la stazione commerciale di Arguim, due anni dopo fu
raggiunta la foce del fiume Senegal e poi anche Capo Verde, la punta più occidentale della costa africana.
Queste scoperte furono estremamente importanti perché modificarono il quadro concettuale degli europei ereditato dagli antichi: gli esploratori portoghesi infatti scoprirono che, contrariamente a quando sostenuto dalla teoria di origine tolemaica, avvicinandosi all’equatore non solo esisteva una florida vegetazione ma si incontravano anche popolazioni numerose.
Tuttavia questa scoperta ebbe però impreviste conseguenze negative. Dal 1441, infatti, per ricavare un qualche guadagno dai loro viaggi,
i capitani portoghesi cominciarono a {tooltip}rapire gli indigeni{end-link}In questa fase una delle basi più importanti per i portoghesi fu senza dubbio Arguim, una piccola isola situata lungo la costa dell'attuale Mauritania. Situata all'interno del golfo omonimo, essa rappresentava uno dei pochi approdi sicuri lungo tutta la cosa africana fino a Dakar e, più a sud, fino alla foce del fiume Gambia.
Nel 1455 i portoghesi vi costruirono un forte, che divenne subito una base per la cattura degli schiavi (circa 800 l'anno). {end-tooltip} che riuscivano a catturare sulle coste africane per rivenderli in Europa come schiavi: iniziò così lo schiavismo, una prassi che nei secoli successivi sarebbe enormemente cresciuta e avrebbe devastato la popolazione africana.
La via per l’India
Dopo qualche anno di sosta successiva alla morte di Enrico il Navigatore (1460), le esplorazioni portoghesi ripresero nel 1469, raggiungendo l’attuale Liberia e Costa d’Avorio, dove cresce un tipo di pepe (la malagueta), e spingendosi fino alle isole di Fernando Po, Principe e Sao Tome, vicino all’equatore. Lungo le coste del golfo di Guinea gli esploratori trovarono finalmente la regione, corrispondente all’attuale Ghana, in cui veniva raccolto l’oro che arrivava sulle coste del Mediterraneo: il governo portoghese fece costruire in questa zona il forte di São Jorge da Mina. Dopo altre interruzioni, nel 1487 venne organizzata una nuova spedizione al comando di Diaz, che riuscì a spingersi fin oltre la punta meridionale dell’Africa. La scoperta mandò in frantumi un’altra antica convinzione dei geografi, ossia che l’oceano Indiano non fosse collegato con l’Atlantico. Tuttavia per un decennio i portoghesi non riuscirono ad aprire davvero la strada per l’India, perché questa rotta era enormemente più lunga e più difficile di qualsiasi altro mai tentato prima (circa 25.000 km tra andata e ritorno solo fino a capo di Buona Speranza). Solo nel 1497 partì una spedizione, al comando di Vasco de Gama, che riuscì a raggiungere il porto indiano di Calicut (da non confondere con Calcutta), nella parte meridionale del paese. A differenza di quello che era avvenuto cinque anni prima nelle Antille con Cristofero Colombo, De Gama si imbatté però in una società molto evoluta, anche dal punto di vista tecnologico, che non si dimostrò impressionata dalla tecnologia navale europea e tanto meno dalle merci che i portoghesi offrivano: per acquistare le spezie da riportare in Portogallo De Gama dovette cedere i suoi candelabri d’argento. Anche il ritorno fu lungo e travagliato, perché i portoghesi non avevano ancora appreso dai piloti arabi a sfruttare in modo corretto il regime dei venti nell’oceano Indiano. Tuttavia la strada era aperta, e da quel momento si susseguirono senza soste le spedizioni che riuscirono nel giro di qualche decennio a gettare le basi dell’impero coloniale portoghese.