Ma solo io sono disgustato dalla constatazione che l’inchiesta giudiziaria sulla gestione del COVID sia stata chiusa con grande attenzione DOPO le elezioni politiche e quelle regionali in Lombardia e in Lazio? La notizia infatti è comparsa sul Corriere della Sera solo il 2 marzo 2023, quindi tre anni circa dopo i fatti. Dove mi pare evidente alla fine il giudizio strettamente GIURIDICO sarà di assoluzione (gli imputati potranno sempre sostenere che la situazione era talmente nuova e imprevedibile che nessuno sapeva come e cosa fare), mentre il giudizio dovrebbe essere (sarebbe dovuto essere) POLITICO, nel senso più squisito del termine. E il luogo perfetto per un giudizio politico sarebbero state le elezioni generali e quelle locali di Lombardia e Lazio. Invece in Lombardia il presidente uscente Fontana si è ben guardato dall’esporsi a un dibattito pubblico con i suoi sfidanti e puntando sulla rendita di posizione si è ritirato nelle campagne (dove sapeva di avere vita facile) e si è portato a casa il successo: un successo tattico, ma ahimé sempre un successo. In questo contesto è solo un sfogo, il mio, quello di riproporre il video in cui il presidente della Regione Lombardia Fontana cerca maldestramente di indossare…
Io ho purtroppo dovuto affrontare diverse operazioni, anche piuttosto importanti: sempre i medici mi hanno ripetuto più volte: “la medicina non è una scienza esatta, noi pensiamo che le cose stiano così e così e pensiamo di fare cosò e cosà; speriamo che vada tutto bene!” Nessuno mi ha mai dato la CERTEZZA che sarebbe andato tutto bene: anzi ogni volta mi hanno fatto firmare una liberatoria in cui dichiaravo di aver capito che le cose potevano anche andar male e che in alcuni casi quella operazione aveva portato alla morte del paziente. Se avessi applicato la “logica” di certe persone che sento blaterare sul web(tipo la storiella inventata dell’ingegnere e del novax che discutuno sulla resistenza del ponte), oggi probabilmente sarei cieco. Prima delle operazioni, mi sembrava di essere su un trampolino da dieci metri: sai come devi fare (ossia, nel mio caso, lasciarti andare cadendo in verticale per entrare di piedi), sai che se riesci a mantenere il sangue freddo ce la farai, quello prima di te ce l’ha fatta senza problemi: bisogna fare un bel respiro e andare. Con questi vaccini è lo stesso: ci possono essere soluzioni migliori? Si, magari, forse, ma adesso QUESTA è la…
Forse siamo ancora in tempo per cercare di trarre qualche insegnamento da questi mesi difficili. Perché, certamente, bisogna che non siano passati invano; e che qualcosa rimanga, e che possa modificare il qualche misura quello che verrà dopo. Sarebbe terribile se alla fine ci dicessimo: ok ragazzi, l’emergenza è finita, a che pagina eravamo rimasti? Io sostengo che questi mesi sono l’occasione per una specie di «esperimento filosofico» che mai avremmo tentato da soli e che potrebbe aiutarci a capire di più e meglio in che cosa consista il processo di apprendimento/insegnamento (certo: io parto dal presupposto che ci sia qualcosa da capire e da capire sempre meglio. Chi pensa di aver già capito tutto, in effetti, potrebbe anche fermarsi qui, con la mia benedizione). In sostanza si tratta di questo: adesso che abbiamo provato a imparare e a insegnare a distanza, possiamo confrontare questa esperienza con quella di prima, ossia l’imparare e l’insegnare in presenza. Cosa è rimasto uguale? Cosa è cambiato? Cosa manca nell’uno? Cosa manca nell’altro? Come quando si confrontano due grafici, o due fotografie scattate a distanza nel tempo, dovrebbero emergere somiglianze e difformità, permanenze o assenze (ovvero nuove presenze). Quelli che dicono «lezione in presenza,…
“è possibile mai che nessun giovane abbia potuto dire la sua in tutti questi mesi di vertici, verifiche, seminari a Villa Madama?” scrive Veltroni nel suo articolo dedicato ai giovani e pubblicato sul Corriere il 7 gennaio 2021. Giusto, ma vorrei anche dire: “è possibile mai che nessun insegnante abbia potuto dire la sua in tutti questi mesi di vertici, verifiche, seminari a Villa Madama?” Tutti parlano degli insegnanti, ma chi li fa parlare? Qualcuno è riuscito a rintracciarne qualcuno negli infiniti talk show che affollano le nostre televisioni? Qualche insegnante vero, intendo, non qualche politico o qualche sindacalista travestito da insegnante. Sarebbe facile notare che un insegnante vero insegna, non va a fare sceneggiate in tv. Vero. Come sarebbe facile notare che la stessa cosa si può dire per medici e infermieri (anche se in questo caso in realtà una sottocategoria di medici e scienziati, cioè i virologi e gli epidemiologi, sono stati intervistati fin troppo). Ma gli insegnanti proprio no. Non se li è filati nessuno.
Quando un certo tema viene presentato come «evidente», così evidente da non meritare nemmeno una spiegazione, allora occorre drizzare le orecchie e prestare attenzione. Perlomeno, dovrebbero farlo quelli che si occupano di filosofia, perché quando si danno troppe cose per scontate l’odore dell’ideologia sale a volute e riempie le stanze (reali o virtuali che siano). In questi giorni mi pare sia il caso della didattica, ossia del dibattito sul modo «giusto» di insegnare. Tutti sono a parlare bene della «didattica in presenza», contrapposta alla «didattica a distanza», la famosa (o famigerata) Didattica a Distanza che in un modo o nell’altro ha tenuto in piedi la scuola italiana durante l’emergenza Covid-19. Tutti dichiarano nostalgia, come la collega Zenone su una pagina di Facebook il 25 maggio 2020: Non voglio essere una Brava Maestra “a distanza”, voglio tornare ad essere una normale Maestra in presenza. Sì, in presenza, come quando si fa l’appello al mattino e li guardo, assonnati e con ancora i loro sogni attorcigliati tra i capelli. Il loro vociare stridulo che ti riporta alla realtà, ti fa sentire la nostalgia del silenzio, ti fa contare i giorni che mancano al prossimo Ponte. Il loro continuo movimento…
Ho chben piesto ai miei studenti uno sforzo di riflessione per capire cosa ci insegna questo lungo periodo di lockdown, e in generale cosa ci insegna l’esperienza della pandemia. Mi sembra giusto dare l’esempio, per quel che può valere. Io sono vecchio (vecchietto, suvvia…., mi suggeriscono). Comunque ho passato la boa dei sessant’anni, e questo conta. Insegno da ben più di trent’anni, e questo mi mette nella condizione di non preoccuparmi più di tanto di quello che gli altri pensano di me. Arrivato a questo punto, quello che mi interessa è aiutare gli altri esseri umani, i giovani esseri umani che incontro a scuola, a costruire la propria visione del mondo, una visione del mondo che sia la più ricca, articolata, profonda e utile possibile. Per fare questo uso tutti gli strumenti che mi vengono in mente e che sono effettivamente utilizzabili. Ma il punto chiave rimane il contatto umano. Questo è un punto su cui tutti sono d’accordo ma che è potenzialmente carico di equivoci: in molti interventi che ho letto in questi mesi, il “contatto”, la “relazione”, il “rapporto” erano messi in stretta relazione con la presenza fisica, come se fosse una questione di corpi e di spazi…
A quanto pare qualcuno all’Agenzia Europea del Farmaco ha lasciato sfuggire una informazione preziosa: quanto costano i vaccini anti Covid. Non è chiaro se si tratta del costo di produzione o di quello di vendita. Il testo è in olandese. La prima colonna indica il prezzo per dose in euro; la seconda il numero (si suppone delle dosi per gli olandesi: il totale infatti è sufficiente per due dosi a ciascuno dei 17 milioni di abitanti dei Paesi bassi). La terza colonna dovrebbe indicare il costo totale per il governo olandese. L’immagine è ripresa da TGcom24 del 20 dicembre 2020.
Bene, l’ondata sta arrivando. La linea del groppo si sta avvicinando in fretta, molto più in fretta di quanto vorremmo. Il ridosso è lontano; la scogliera, sottovento, vicina. Avremmo dovuto prepararci meglio e per tempo, visto che la tempesta era segnalata negli Avvisi ai naviganti. Non lo abbiamo fatto, almeno a livello collettivo e di governo. Adesso non ci resta che rizzare tutto sul ponte, il meglio che si può, cercando di fare tesoro dell’esperienza della scorsa primavera. Prima di tutto, andiamo dal parrucchiere. Voglio iniziare con una cosa leggera, o che sembra leggera: in realtà tante signore e ragazze hanno sofferto per l’impossibilità di curare la propria immagine come erano abituate. Una cosa dovremmo averla capita: il virus fa quello che vuole, irridendo gli sforzi umani per contenerlo (almeno fin quando non arriverà da dietro la collina il Settimo Cavalleggeri a bandiere spiegate, ossia il vaccino). Le dinamiche delle pandemie del passato (ah, cosa vuol dire riflettere sulla storia!) mostrano che la malattia procede ad ondate e che ce ne sono almeno tre (per lo meno così andò con la Spagnola di un secolo fa; con quelle prima andò peggio), più o meno con lo stesso andamento. Perciò io…