Considerazioni sui libri di testo e una proposta

Libri di testo in arrivo

Io insegno filosofia e storia da quasi quarant’anni e tutte le primavere, più o meno in questo periodo, ho visto scene come quelle testimoniate dalla fotografia che vedete qui sopra: le case editrici ci mandano copia dei loro libri di testo per farceli visionare e possibilmente scegliere. I più giovani tra noi probabilmente non possono avere un’idea di quanto fossero incalzanti, per non dire asfissianti, i rappresentanti negli ultimi decenni del secolo scorso, quando internet si chiamava ancora Arpanet e stava solo nei film di fantascienza. Io all’epoca prendevo tutto e guardavo tutto, alla ricerca del libro se non perfetto, almeno adatto a me (per la cronaca, ho usato finché è esistito Il testo filosofico della Bruno Mondadori, mentre per storia ho sognato sopra L’operazione storica ripiegando però di volta in volta su testi più tradizionali).

Il punto è che col passare degli anni il confronto tra tutti questi manuali di filosofia me li ha fatti sembrare tutti uguali. Ogni volta la casa editrice di turno proponeva quella che sarebbe dovuta essere una “novità” (una nuova antologia di testi, un nuovo apparato critico, le mappe concettuali, i riassunti a fine capitolo, le domandine preparate dalle ragazze in redazione…) e io diventavo sempre più insofferente davanti a questi tentativi di farci credere di avere davanti LA soluzione al problema dell’insegnare filosofia.

Voi no? Non lo siete? Nemmeno un pochino? Se non soffrite per questa situazione allora in effetti potreste fermarvi qui, perché il resto del post descrive come io ho reagito a questa situazione.

Se invece almeno qualche volta vi siete irritati per non poter fare quello che volevate con i manuali allora magari potreste essere curiosi di sapere il resto.

Bisogna premettere che, è vero, io ero stato abituato male dal mio professore di filosofia al liceo, che lasciava assolutamente intonso il manuale (il Lamanna: mai usato e sempre rivenduto) e ci dettava la sua visione della filosofia (cosa di cui gli sono ancora grato), e soprattutto da alcuni professori in Cattolica (Bontadini su tutti) che mi avevano fatto vedere cosa vuol dire “pensare” senza preoccuparsi degli schemi precostituiti.

Be’ insomma per farla breve a un certo punto ho capito che il problema non era questo o quel libro di testo, ma era proprio il loro essere libri, ossia sequenze fisse di testi che, per il solo fatto di essere inamovibili e immodificabili, chiedono di essere ripetute nello stesso modo. Tu potevi fare la migliore lezione frontale del mondo, potevi fare schemi e mappe alla lavagna con i gessetti colorati, potevi ripassare ogni volta la lezione precedente con una serie di domandine dal posto senza voto, ma alla fine i ragazzi studiavano e ripetevano IL testo.

Non so se anche voi vi ritrovate in questa descrizione. Magari erano (e sono) fisse mie: magari qualcuno si trova bene a chiosare il manuale, oppure a spiegare una parte e lasciare che i ragazzi finiscano per conto loro dall’altra… non so, ciascuno ha scegliere il percorso che ritiene migliore e certamente anche affidarsi al manuale ha un suo perchè.

Io posso solo dire che mi ci stavo stretto e non ne potevo più. Ero certo di volere non solo ripetere quello che qualcun altro aveva detto e scritto, ma pensarlo e pensarlo con la mia testa. E volevo fortemente e consapevolmente che i ragazzi la smettessero di ripetere più o meno pedissequamente quello che io avevo detto loro (a volte erano così bravi in questo che potevo riconoscere le mie esatte parole pronunciate in una particolare lezione) ma cominciassero a pensare con la loro testa. E volevo avere uno strumento che mi aiutasse in questo.

Io cioè volevo qualcosa che si adattasse esattamente a me e a quello che sceglievo anno per anno di spiegare. Non volevo essere io a dovermi adattare al libro di testo e a essere costretto a ripetere le stesse cose quasi nello stesso ordine e nello stesso modo. Volevo essere libero di riscrivere i contenuti che intendevo mettere a disposizione degli studenti quando volevo. E allo stesso tempo non volevo limitarmi a “passare i miei appunti”, ma creare qualcosa che almeno potenzialmente fosse condivisibile e condivisa con i colleghi, in modo che ne venisse fuori il meglio possibile. Provate a pensarci: non sarebbe bello insegnare (e quindi far imparare) in questo modo?

E quindi attorno al 2000 mi sono messo a cercare una alternativa vera e credibile al manuale tradizionale e quindi alla sua forma di libro stampato.

Avevano senz’alto ragione i colleghi che all’epoca mi ammonivano: “Ma tu in fin dei conti gli passi i tuoi appunti e non puoi fare lezione solo sui tuoi appunti, perché ti chiudi su te stesso: sei troppo presuntuoso – per dirla tutta -se non accetti il confronto con gli altri. Chi ti assicura che tu non stia prendendo una cantonata pazzesca su Kant o su Hegel? Le case editrici invece hanno tutte un comitato scientifico che garantisce la correttezza di quello che viene pubblicato, e quindi bisogna continuare a usare i manuali”.

In effetti ero stato solo fortunato col mio docente alle superiori, quello che non usava il manuale e voleva solo i suoi appunti, perché era davvero un grande insegnante (e adesso posso dirlo con cognizione di causa). In linea di principio l’obiezione contro l’uso “privato” degli appunti era e resta valido.

Che fare dunque?

La prima idea fu quella di immaginare una specie di “ipertesto cartaceo”, formato di schede, ciascuna delle quali contenesse un solo paragrafo (sufficientemente lungo e comunque adattato alla misura della pagina stessa): il docente avrebbe scelto le cento o duecento schede che pensava di usare in quella determinata classe e la casa editrice (che avrebbe dovuto avere un enorme magazzino in cui tenere in pacchetti ben ordinati centinaia e centinaia di copie di ciascuna scheda) avrebbe “cucito” il libro addosso alla classe consegnando ai ragazzi solo le schede richieste dal docente: ogni classe quindi avrebbe avuto un percorso diverso, pur avendo in partenza materiali validati e omogenei per tutti.

“Bellissimo” mi dissero in Bruno Mondadori, “ma è una follia per i costi del magazzino e noi non lo faremo mai”. E furono di parola, naturalmente. Il progetto non partì mai.

All’epoca nessuna casa editrice aveva fiducia nella Rete, che peraltro era ancora primitiva da tanti punti di vista: si pensava che forse si sarebbe potuto fare qualcosa usando i cd, ossia dei supporti fisici di un contenuto digitale. La cosa essenziale, in questa procedura, era l’aggettivo “fisico”, che garantiva la persistenza del modello tradizionale di businnes: io vendo a te una cosa ben identificata perchè, appunto, materiale tu dai a me un po’ di soldi altrettanto solidi e materiali. Partecipai al progetti BIM della Bruno Mondadori con un libretto sulla Rivoluzione industriale, corredato di cd che riproduceva tutti i contenuti del libretto stesso. Era una idea carina, per l’epoca, ma in realtà la casa editrice non ci credeva veramente e comunque questa metodologia che io sappia rimase confinata a proposte di contorno, senza mai toccare l’hard core del manuale vero e proprio.

E poi arrivò internet, l’HTML 4.0, le prime versioni di MOODLE, la tecnologia in print-on-demand.

Personalmente arrivai a mettere insieme tutti i pezzi nel 2009 (anno in cui registrai il sito Il filo di Arianna. Rivista on line per la didattica nelle scuole superiori liberamente agli indirizzi www.ariannascuola.eu ewww.ariannascuola.org) e impiegai tre anni a realizzare il progetto.

Si trattava di questo: mettere insieme la tecnologia gutemberghiana tradizionale, con tutti i vantaggi che porta con sè (stabilità e ordine, soprattutto) con quella elettronica e i suoi vantaggi (facilità di modifica e di ricerca). Il trucco è quello di immaginare la cosa in modo dinamico e non statico.

Io parto da una lezione frontale, anche molto tradizionale se volete: spesso, oramai, mi aiuto con una presentazione tipo Google Slides, ma non è necessario. I ragazzi hanno a disposizione un libretto realizzato in print-on-demand (ossia, stampato di anno in anno nel numero esatto di copie che servono) ma il punto chiave è che gli stessi contenuti, le informazioni, i chunks, chiamateli come volete, sono a disposizione anche sul sito didattico (www.ariannascuola.eu /www.ariannascuola.org). Questi contenuti rappresentano un po’ la “spina dorsale” del lavoro vero e proprio, che consiste nell’aggiungere, nell’integrare, nel modificare, nello scegliere immagini, nel produrre mappe concettuali, nel seguire i link presenti sul sito e raccogliere ulteriori informazioni…

È come un enorme gioco del Lego, dove i mattoncini sono sostituiti dalle informazioni, che vengono offerte ai ragazzi in una modalità semilavorata, come i materiali di un cantiere che devono essere assemblati per realizzare la casa.

Ci riescono, i ragazzi? Valutate voi in fondo ci sono i link a un po’ di “quaderni-dispensa” realizzati nel corso degli anni

Quello che mi preme è sapere se per caso ci fosse qualcuno interessato a provare o meglio ancora a darmi una mano, dato che il progetto per definizione non ha limiti e rende davvero possibile la pluralità dei punti di vista, anche su uno stesso argomento.

mail to: martino.sacchi@liceo-melzocassano.edu.it

Una raccolta di esempi

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