Epicuro è il primo filosofo a trarre tutte le conseguenze dall’affermazione (che non è stato certo lui a inventare) che la felicità è il piacere e il piacere consiste nel soddisfacimento di un bisogno. Il nocciolo della questione consiste nel fatto che il bisogno è qualcosa di limitato: è una mancanza che deve essere sanata, un vuoto che deve essere riempito. Per Epicuro questo era essenziale: il limite offre la forma, cioè quel modo di essere che può essere raggiunto in modo definitivo e che non ha più senso oltrepassare. Questo schema di ragionamento si applica in modo perfetto alla fame, che non a caso diventa il paradigma (in positivo e in negativo) del modello epicureo. Quando ho soddisfatto l’appetito, in qualunque modo io lo faccia, il bisogno è sparito: se riesco a convincermi che la felicità è il «far sparire» i bisogni quindi il tornare in una situazione di equilibrio in cui il bisogno è assente, allora posso essere felice con un pezzo di pane secco. Il bisogno (quello che noi avvertiamo come «bisogno») è in realtà l’alterazione di un equilibrio che deve essere ristabilito. Tornare allo stato di equilibrio preesistente è il massimo cui possa aspirare l’uomo. Se…